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Corsera Story. Ma è così necessario seguire certa televisione?

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L’opinione del Corrierista


Nel settore della televisione in queste settimane è scoppiato un duplice scontro. In realtà la miccia bruciava da decenni, solo che ora è giunta ad attivare due ordigni esplosivi, innescati entrambi dai politici, supremi beneficiari dei programmi ed anzi dell’esistenza stessa della tv, soprattutto di quella di Stato. I due ordigni esplosivi si chiamano: perentorio invito del Governo alla Raitv a ridurre di 250 milioni di euro l’anno i costi operando tagli e attuando consistenti risparmi; e, il secondo, annuncio a tutti indistintamente cittadini e famiglie dell’imminente obbligo di pagare il canone televisivo sotto altra forma, inserendolo nelle bollette elettriche ed estendendolo ai nuclei familiari fantasma, quelli che abitano o meglio non abitano nelle cosiddette seconde case.
Anche in questa circostanza i grandi satrapi della Pubblica Amministrazione, cioè i direttori generali dei Ministeri, gli alti magistrati, i grandi e sussiegosi suggeritori e factotum dei ministri, per continuare a salvare le loro misteriose e incalcolabili prebende, non fanno altro che escogitare sempre nuove, surrettizie, subdole forme di prelievo fiscale a carico del maggior numero di persone, delle masse, colpendo anche i ceti meno abbienti, sfortunati, diseredati e disoccupati. Ma acquisendo fruttuosi meriti presso i loro referenti politici che sono espertissimi nel trarre vantaggio dal maggior afflusso di entrate.
Ma chi sono stati i primi a ribellarsi a questi nuovi diktat dei politici sia di maggioranza sia di opposizione? Diktat che si riducono poi ad uno, il secondo, perché sicuramente la Raitv non realizzerà il primo, ossia quel risparmio. Mentre un ulteriore, illegittimo gettito i politici otterranno dall’inasprimento del canone radiotelevisivo. Per ciò non si può non pensare che il taglio dei costi imposto alla Raitv sia stato solo un alibi, uno dei soliti inganni per la massa. Per vari motivi a cominciare dalla qualità dei programmi tv, i primi a ribellarsi a questi nuovi diktat avrebbero dovuto essere proprio i cittadini. Invece, guarda un po’ chi è stato? I dipendenti della Rai, tra i quali si è distinto il sindacato dei giornalisti della Rai stessa, l’Usigrai, da tempo immemorabile schierato a difesa non dei giornalisti della Rai e di quanti giovani aspirano ad essere da questa assunti, ma solo di alcuni di loro. Rappresentanti di tale sindacato sono stati eletti addirittura in Parlamento, rimanendovi per decenni e percependone tutti i vantaggi. Il che dimostra che, per fare carriera, ai giornalisti, anche a quelli della carta stampata, conviene trascorrere sempre più tempo nei corridoi delle redazioni a chiacchierare e a giocare a fare i sindacalisti, anziché a rimanere seduti ore ed ore dinanzi al desk, impegnati in un lavoro di effettiva utilità per la gente.
Questo spiega anche la bassa qualità dei programmi, molti dei quali del resto sono affidati a pseudo giornalisti, ossia a persone addette a ben altre attività, che vanno dall’organizzazione alla conduzione di trasmissioni e rubriche che spesso squalificano la categoria e la funzione dei veri giornalisti. Inutile ripetere il numero dei giornalisti o pseudo tali, stipendiati, sovvenzionati e beneficati dalla Raitv; sono decine di migliaia, e non si sa per quale motivo questo avviene. O meglio si sa, ma a ripeterlo si perderebbero soltanto spazio e tempo. È inutile ricalcolare qual è il costo di tali sovvenzioni, o quello delle varie troupes inviate nel mondo, anche in zone cosiddette di guerra e pertanto troupes folte e ben attrezzate. Tanto più che questi inviati, e a maggior ragione queste inviate speciali, una volta raggiunta una relativamente tranquilla località più o meno vicina alle zone calde, cioè alle operazioni militari, vengono presi in consegna dalle truppe della parte più interessata al conflitto e, con il pretesto di assicurare loro la sicurezza, vengono isolati e confinati a trascorrere, in qualche confortevolissimo albergo, aggiornatissimi «ozi di Capua». Severamente sorvegliate, ossia sempre accompagnate dai militari ma solo in alcuni tragitti sicuri, ossia lontani dalla vera guerra, tali troupes vengono rifornite di notizie interessate, su quanto accadrebbe nei dintorni, dai servizi militari di informazione del Paese che le ha prese in custodia.
Un episodio clamoroso: alcuni anni fa l’inviata di un telegiornale da un albergo in zona cosiddetta di guerra riportò come esclusive, in una cronaca serale cosiddetta «diretta», notizie diffuse la mattina, quindi molte ore prima, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ubicato a Washington, notizie che pertanto i telespettatori avevano già appreso. Quanto costava quella troupe comodamente acquartierata in un accogliente e confortevole albergo? È mai pensabile che le inviate, e spesso gli inviati tv, eludendo la sorveglianza dei reparti militari, possano da soli circolare ovunque per vedere, sapere e riferire quello che effettivamente avviene in zona di guerra?
Torniamo a costi, sprechi, necessità di risparmio e in particolare al cosiddetto «caso Todini», ossia alle recenti dimissioni dal Consiglio di amministrazione della Raitv di Luisa Todini, contraria al ricorso al Tar deciso dallo stesso Consiglio per annullare quel risparmio di 250 milioni di euro. Giovane esponente femminile della prima Forza Italia e poi deputata europea, la Todini era stata scelta da Silvio Berlusconi e lanciata in politica perché esponente di un mondo produttivo ed economico che aveva contribuito a ricostruire in pochi anni l’Italia distrutta dalla guerra; e quindi perché cresciuta in un ambiente contraddistinto da laboriosità, onestà, risparmio privato e quindi pubblico.
Ora, inserita in tale Consiglio, come «poteva non vedere» gli sperperi della tv, gli squilibri, la dilapidazione di valori economici, culturali e morali di cui specialmente la tv è diventata una vera e propria sentina? Probabilmente il gesto della Todini non servirà a nulla, partiti e sindacati che vivono proprio sugli sprechi della tv continueranno con le loro solite litanie e liturgie a governare l’azienda come in passato, e ad aumentare la truffa compiuta ai danni dei telespettatori. Perché è una vera truffa, avallata da legislatori e magistrati dello stesso stampo, chiamare tassa il canone pagato per un servizio, ossia per la diffusione di notizie di pubblica utilità: vero compito della tv che diffonde invece immoralità e pubblicizza reati e malaffare.

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