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RICCARDO MORGANTI: LA MAGIA DI UN BUON CAFFÈ, AL BAR OPPURE IN FAMIGLIA

Riccardo Morganti Morganti Caffè

Reduce da un folle amore con la bellissima attrice cinematografica inglese Belinda Lee, rientrato in casa in Viale Bruno Buozzi a Roma una notte del 1960, il principe Filippo Orsini, assistente al soglio pontificio, mise sul gas una moka per farsi un caffè. Ma triste e sconsolato, se ne ricordò solo quando la macchinetta scoppiò riempiendogli la faccia di frammenti di alluminio e caffè. È un episodio inedito di una serie incalcolabile di vicende che hanno costellato la storia affascinante e misteriosa, quanto alle origini, della preziosa bevanda tratta dalle bacche di una pianta esotica: preziosa sia perché irrinunciabile per milioni di consumatori, sia per il giro di affari che alimenta. Ad illustrare come si produce, si lavora e si consuma oggi il caffè non c’è migliore esperto di chi, ereditando un’azienda di torrefazione nata oltre cent’anni fa e lavorandovi direttamente da oltre mezzo secolo, ne conosce tutti i segreti: Riccardo Morganti, un nome diventato un marchio di qualità.
Domanda. Sono 120 anni che esiste il caffè Morganti. Qual è la storia di quest’azienda? Come è nata, quali sono state le sue origini?
Risposta. La fondò mio nonno Romeo Morganti, appartenente a una famiglia di speziali. Ad un certo punto, a causa di un dissidio verificatosi con un fratello, cominciò ad interessarsi di liquori e contemporaneamente di caffè; quindi, coadiuvato dai figli Giovanni, Armando e Corrado, avviò a Roma un’attività sia di produzione dei primi, sia di torrefazione del caffè in uno stabile di Via Ripetta in cui risiedo tuttora. All’epoca il caffè proveniva dal Brasile, dall’America centrale, dall’Asia e dall’Africa e sbarcava a Genova. A quel punto proseguiva il suo viaggio fino alla foce del Tevere e da lì risaliva il fiume con un vaporetto chiamato «Garibaldi» che lo scaricava nel porto fluviale di Ripa Grande, di fronte a Porta Portese. Poi con dei carri veniva portato in torrefazione, dato che ancora non si parlava di autocarri, tanto che avevamo anche delle scuderie per i cavalli. Questo fu l’inizio.
D. Poi che cosa avvenne dopo?
R. Mio nonno morì prematuramente nel 1915 e i tre figli proseguirono l’attività sempre nei locali, allora ingranditi, di Via di Ripetta e nei magazzini di Via del Fiume. Intorno al 1969 tutto lo stabilimento fu trasferito in Via di Tor Cervara, in prossimità di Via Tiburtina. Quando si decise il trasloco dell’azienda dai locali divenuti ormai insufficienti, dal momento che mi ero laureato in architettura e ci occupavamo anche di costruzioni edilizie, curai personalmente la realizzazione del nuovo stabilimento. Successivamente, a causa di una malattia di mio padre, dovetti interessarmi anche del funzionamento dell’azienda del caffè e da quel momento, circa 45 anni fa, me ne sono sempre occupato gestendola con mio cugino Massimo e con le nuove leve, costituite da mia nipote Vega e dal mio figlio primogenito Andrea.
D. Quali programmi avete per il futuro?
R. Cerchiamo di sviluppare l’attività, che si svolge tuttora in Via di Tor Cervara, dove stiamo realizzando un ampliamento, sempre alla ricerca della qualità, risultato che più ci interessa e ci distingue. Abbiamo sempre avuto la passione per il caffè e siamo sempre vissuti in questo ambiente, svolgendo l’attività soprattutto nell’ambito dei pubblici esercizi. Il caffè viene consumato prevalentemente in due diversi ambienti: in locali pubblici, in particolare nei bar, e in famiglia. Si tratta di due canali ben distinti. Nel caffè del bar si cura molto la qualità, il servizio, l’assistenza; quello di uso familiare si caratterizza per la qualità e il prezzo inferiori, per l’estetica della confezione e per la componente pubblicitaria. Sono due mercati diversi. A noi interessa anche il comparto famiglie, ma con volumi di vendita marginali rispetto al resto.
D. Per quale motivo?
R. Dal momento che la vendita del caffè viene favorita dalla pubblicità e dai prezzi inferiori, questo comporta costi maggiori per le aziende, che cercano una compensazione nella qualità del prodotto. La nostra azienda riesce però ad essere competitiva grazie anche ai minori costi di gestione, gestione che è sempre stata familiare. La differenza di qualità tra i due mercati pertanto è notevole, si tratta di due mondi diversi. Il consumatore da bar preferisce i caffè dolci, quindi quelli brasiliani e centro-americani e alcune varietà etiopiche; non è vero che il caffè africano è tutto di qualità inferiore, alcuni sono anche buoni, quelli etiopici sono altamente profumati e quindi vanno inseriti in miscele di maggior valore.
D. Chi ha scoperto il caffè?
R. Secondo una leggenda risalente al 1300, la pianta arabica è nata in Etiopia ma è tipica anche dello Yemen, Paesi che in tempi antichissimi erano uniti. Le capre che ne mangiavano le bacche davano segni di nervosismo e i pastori ne chiesero la spiegazione ai monaci che, ricavandone delle pozioni, si accorsero che la loro ingestione consentiva di stare più a lungo svegli per le preghiere notturne. Lasciate accanto al fuoco, le bacche si abbrustolivano sviluppando, alla temperatura di 170 gradi, un gradevole profumo; i monaci ne trassero allora delle misture da cui il primo caffè. Il nome deriva da «kahve» che indica il caffè sia dell’Etiopia dove esiste una zona chiamata «Caffa», sia nello Yemen dove Caffa è il nome di una città. Un’altra leggenda narra che Maometto fu colpito dalla malattia del sonno e che l’arcangelo Gabriele gli somministrò un infuso a base di bacche nere; Maometto bevve la bevanda e si riprese talmente che disarcionò 20 cavalieri e soddisfò 20 donzelle.
D. Come si diffuse poi nel mondo?
R. Diventato un prodotto molto richiesto, gli arabi lo diffusero in Arabia e in Asia. Da Costantinopoli dilagò a Venezia, dove sorsero i primi caffè, quindi in Europa. Nell’assedio di Vienna del 1529 arabi e turchi furono sconfitti e fuggendo lasciarono sotto le mura della città sacchi di caffè che gli austriaci ritenevano fosse un alimento per i cavalli, poi ne appresero l’uso dai prigionieri turchi.
D. Come viene lavorato?
R. La lavorazione è tutta computerizzata e automatizzata, è completamente cambiata dai tempi in cui la nostra azienda fu fondata; oggi si avvale di un numero limitatissimo di persone, i dipendenti sono assorbiti piuttosto dalla distribuzione e dalla vendita. Abbiamo un’adeguata diffusione nell’Italia centrale e già da alcuni anni ci siamo dedicati all’estero con soddisfacenti risultati in Cecoslovacchia, Polonia, Grecia, Finlandia e Svezia. Sei anni fa abbiamo rilevato la Caffè Camerino che disponeva di validi concessionari; ne abbiamo mantenuto il marchio «Caffè Camerino» con 3 effe nel logo. Nei supermercati Metro e in Vaticano siamo presenti con entrambi i prodotti Morganti e Camerino; comunque offriamo il Morganti come caffè d’élite e l’altro come un prodotto più commerciale.
D. Cosa cambia nel vostro caffè se viene consumato al bar o a casa?
R. Cambia l’aroma, perché al bar viene estratto con macchine a pressione, con la moka invece per ebollizione; il primo è più forte, il secondo più dolce. Il bar impiega caffè fresco, in grani macinati all’istante, ed è senz’altro migliore; quello usato in famiglia è macinato industrialmente e confezionato in sacchetti. Generalmente il barista non vende il caffè in chicchi al dettaglio, al massimo lo vende macinato a meno che, oltre alla licenza per la somministrazione, non possieda anche quella per la vendita; per venderlo confezionato occorrono entrambe. Nel caso del «Camerino» abbiamo rilevato a Roma dei bar, ad esempio in Largo Arenula e in Piazza Irnerio, dove abbiamo mantenuto le miscele di tale marchio.
D. Quali sono le zone più adatte alla coltivazione?
R. I terreni migliori sono innanzitutto quelli lontani dal mare, privi di salsedine, situati preferibilmente in collina, a un’altitudine di 600-800 metri. Sia per il caffè che si consuma al bar sia per quello usato in famiglia, sono importanti le ricette per ottenere buone miscele delle varie qualità; i prodotti centro americani, che sono più dolci, abbinati ad altri indiani o africani, assumono una corposità diversa e danno ottimi risultati. Noi preferiamo miscelare Brasile, Sud e Centro America, Colombia, Costarica, Guatemala, un po’ di Messico. Confezionato in sacchi, il prodotto in chicchi verdi arriva in container e viene inserito in silos; le varie qualità vengono miscelate e poi tostate senza alcuna aggiunta di aromi o altre componenti, dato che in Italia è vietato ogni tipo di aromatizzazione. La mia azienda importa annualmente circa 40 mila sacchi di 60 chili ciascuno, con caratteristiche diverse secondo la provenienza.
D. Come è diffuso il caffè Morganti in Italia?
R. Con il caffè da bar non siamo molto presenti nel Nord Italia; il Paese è suddiviso per regioni soprattutto in base al gusto, e a volte il caffè gradito in una regione non lo è in un’altra, perché la tostatura è diversa. Esistono tre tipi di torrefazione più o meno avanzata: nel Nord si preferiscono caffè tostati più leggeri, più chiari; nel Centro, una tostatura media; nel Meridione, più forte. Abbiamo tentato di espanderci in altre zone d’Italia dove sporadicamente abbiamo alcuni clienti; nel Centro Italia abbiamo una presenza estesa, capillare; altrove spediamo il prodotto ma non prestiamo assistenza. Ai bar forniamo anche macchine in comodato e attrezzature; poiché questo servizio ha un costo, va seguito con particolare attenzione.
D. Cosa occorre a un bar per dare un buon caffè?
R. La mia risposta è formata dalle cosiddette 5 emme: «miscela, macchina, macina, mano e Morganti». La moka non deve essere mai lavata con detersivi, il caffè non deve essere né poco né molto, l’acqua deve essere a livello della valvola, non sopra né sotto; posta la moka su un fornello medio, quando comincia a «borbottare» va lasciata farlo, poi spegnere il fuoco, far riposare per 20 o 30 secondi quindi versare nelle tazzine. Da qualche anno è comparso un diverso modo di fare il caffè; il metodo monoporzionale. Anche noi l’abbiamo adottato fornendo singole porzioni di miscela; lo facevamo già per il «decaffeinato», venduto in bustine di 6,5 grammi. Ai bar generalmente forniamo un macinino con caffè decaffeinato in grani per mantenerne la freschezza.
D. Quale tipo di caffè contiene più caffeina?
R. Quello americano, perché viene tenuto in infusione per un tempo superiore, 5 o 10 minuti. Nella moka a parità di caffè la sua presenza è minore, ma quello che ne ha meno di tutti è l’«espresso», perché il passaggio dell’acqua attraverso il caffè è immediato, rapido, con limitata diluizione. Il suo sapore è più forte, ma non dipende dalla caffeina che è insapore.
D. Come si decaffeinizza il caffè?
R. È un’operazione che non compiamo noi ma la Verwerkaf, alla quale spediamo i nostri caffè verdi, crudi. I chicchi di caffè puro immersi in vapore acqueo, si dilatano e fuoriesce la caffeina; si usano anche solventi organici che si trovano nella frutta come banane e albicocche, e che provocano la fuoriuscita della caffeina. Da questa si ricava una polvere bianca per usi farmaceutici. Comunque la caffeina non produce lo stesso effetto su tutti, molto dipende dalle miscele. Quelle molto raffinate contengono poca caffeina; i caffè a prezzo basso ne hanno solitamente di più. Poiché si tratta di un prodotto insapore e il costo della macinazione è lo stesso, non si capisce la differenza di prezzo. I caffè più buoni ne hanno poca.
D. Che cosa si prepara per il futuro di questa bevanda?
R. Si sta diffondendo molto il caffè monodose anche perché è molto pubblicizzato; la cialda non inquina e si smaltisce facilmente, le capsule hanno il problema dello smaltimento ed entrambe hanno bisogno di macchine particolari. Noi produciamo anche le cialde Morganti, presenti nei punti vendita del nostro caffè per famiglia. Mentre la cialda è unica, usabile in tutte le macchine, la capsula può essere usata solo in alcune di esse. Comunque in futuro si consumerà molto caffè monoporzionale, ovvero cialde, capsule ecc.
D. Di tutti i modi di fare il caffè qual è, a suo giudizio, il migliore?
R. Il miglior caffè per la famiglia si ottiene dalla caffettiera napoletana che però non viene più usata sia perché il caffè dovrebbe essere macinato differentemente, sia perché la fuoriuscita è più lenta. La moka ha preso il sopravvento, ma ora subisce la concorrenza delle macchinette monocialda. Personalmente preferisco il caffè della moka, più dolce e piacevole.
D. Quali sono i vostri programmi?
R. Abbiamo interesse a sviluppare l’attività e ad ampliare l’azienda; siamo impegnati a diffonderne il marchio, sempre in linea con la qualità. Della diffusione all’estero si occupa principalmente mio figlio. In Danimarca abbiamo una grande diffusione con il marchio Camerino. Ci stiamo affacciando negli Stati Uniti partecipando a fiere e inserendoci nei mercati; è difficile, anche se all’estero il caffè italiano è amato.
D. Se tornasse indietro, sceglierebbe lo stesso lavoro?
R. Rifarei questa attività i cui risultati mi hanno portato a coniare lo slogan «Morganti, caffè d’autore»

Tags: caffè Novembre 2011

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