Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

ENRICO BRACALENTE: IL RE MIDA DELLE SCARPE ITALIANE

Enrico Bracalente NeroGiardini

Ha deciso che la sua produzione debba essere tutta italiana ed è andato fino in fondo, alla faccia di coloro che risparmiano sulla manodopera e si affidano al «made in China». Enrico Bracalente non ha nulla contro i cinesi, ma preferisce investire in Italia per garantire occupazione; e, sulla base del principio della «goccia nell’oceano», con il proprio marchio NeroGiardini cavalca l’onda come se, anziché produrre calzature, producesse ali per i piedi; o surf «made in Italy» per affrontare il mare. Quest’artigiano marchigiano, che a 17 anni aprì con il fratello e un altro socio una ditta calzaturiera, la Batam, non ha voluto perdere la sfida «contro gli italiani»: consistente nel dimostrare che proprio la qualità dei prodotti italiani batte ogni concorrenza. Cosa che la maggior parte dei suoi connazionali stentano a credere per due fondamentali motivi: la sfiducia generalizzata verso l’Italia e il sistema italiano, che registra scarse risorse finanziarie da investire, limitati guadagni, fuga di cervelli e bisogno di manodopera straniera; e la difficoltà di trovare gente disposta a lavorare e a compiere sacrifici, per cui si preferisce andare a produrre in Paesi in cui vigono bassi costi e che, proprio grazie a questo fattore, stanno costruendo un potere economico.

Riorganizzata nel 1990 Batam con l’obiettivo di concentrare tutte le risorse nella costruzione del marchio di proprietà NeroGiardini, nel 1998 Enrico Bracalente, iattraverso Bag srl da lui interamente posseduta e di cui è amministratore unico, rileva tutte le quote della vecchia società e realizza nel 2003 un fatturato di 39,5 milioni di euro che nel 2006 salgono già a 110. Trasformata poi in società per azioni, Bag impiega oggi 800 persone, produce 12 mila paia di scarpe al giorno pari a 2 milioni l’anno, e dispone di 6 punti vendita monomarca NeroGiardini in Italia a Milano, Venezia, Roma, Firenze, Riccione e altri prossimamente in Europa. Ma la «delocalizzazione» no: si fa tutto a casa, a Monte San Pietrangeli in provincia di Ascoli Piceno. Tutto ciò che questo Re Mida delle scarpe tocca, purché italiano, si trasforma in oro. E in scarpe di qualità.

Domanda. La produzione di calzature è stata una scelta casuale oppure voluta?
Risposta. Nella nostra zona il settore più importante, quello che ha portato ricchezza e benessere nel dopoguerra, sono state proprio le calzature. Così, giovanissimo, entrai in un’azienda calzaturiera in qualità di dipendente e presto, per migliorare la qualità della vita, provai a confrontarmi: a 17 anni avviai con mio fratello questa attività creando l’azienda artigianale Batam che produceva trenta paia di scarpe giornaliere, aumentando il quantitativo nel tempo. Negli anni Ottanta nacque NeroGiardini, negli anni Novanta la svolta: in un primo momento rendemmo la struttura più commerciale attraverso la comunicazione e la visibilità del marchio. La collaborazione con mio fratello si interruppe però per divergenze di vedute, e nel 1998 rilevai tutte le quote della società e detti vita alla Bag, titolare dei marchi di calzature e accessori NeroGiardini e NG NeroGiardini. Da quel momento sono rimasto da solo e ho potuto mettere in campo tutte le mie idee e le azioni che avevo intenzione di sviluppare.

D. NeroGiardini è un prodotto italiano pensato e realizzato in Italia. In che modo questa politica è vincente? E perché non fate come tutti gli altri, che utilizzano manodopera straniera a basso costo?
R. La mia scelta del made in Italy è stata fatta a monte per un motivo ben preciso: credo fermamente nel fatto che l’imprenditore non debba pensare solo alle proprie tasche. È giusto che le aziende lavorino a scopo di lucro e dev’essere così perché, in momenti di crisi, sono necessarie risorse finanziarie per i nuovi prodotti o per gli investimenti nella comunicazione. Ma questo non è il solo obiettivo di un’azienda di successo: bisogna pensare anche al tessuto sociale e culturale. Se la mia azienda ha un certo successo è grazie a tutto lo staff, ai dipendenti diretti e indiretti, ai «satelliti» che, nella zona marchigiana, producono solo per noi. So che l’obiettivo principale dell’imprenditore è guadagnare il più possibile, quindi anche trasferendo all’estero le proprie attività, e sono cosciente che questo conviene, ma onestamente non è nella mia natura. Ho una certa sensibilità verso coloro che hanno contribuito a fare di quella mia un’azienda di successo e debbo essere a loro grato. Perciò ho scelto di continuare a produrre in Italia: per salvaguardare i posti di lavoro, per continuare a creare ricchezza e benessere e a far crescere il mio territorio nelle Marche, che ospitano il distretto più importante delle calzature in Europa. Un patrimonio che io stesso desidero salvaguardare.

D. Questo finisce per ripercuotersi sui prezzi dei prodotti finali?
R. I prodotti degli altri non costano meno dei miei: ciò mi fa pensare che gli imprenditori che hanno «delocalizzato» l’abbiano comunque fatto per un interesse personale, e che questa operazione vada solo ed esclusivamente a vantaggio loro e delle loro aziende. Penso che, ristrutturando, organizzando, pianificando e usufruendo di economie di scala e di razionalizzazione dei costi si possa rimanere competitivi in un mercato globalizzato come io stesso sto facendo, pur creando un prodotto tutto made in Italy che ha un maggior valore rispetto a quello delle aziende che hanno trasferito all’estero la produzione. Fino ad oggi siamo cresciuti a ritmi rilevanti e i primi risultati della nuova collezione estiva ci fanno sperare in un ulteriore incremento di fatturato anche nel 2008.

D. Made in Italy nel suo caso vuol dire non solo manodopera ma anche disegno. In che modo la vostra moda risente di quella internazionale e in quali limiti mantiene l’italianità?
R. Ricordiamoci che il 70 per cento dei beni culturali esistenti nel mondo è in Italia; è la stessa storia a mostrarci la creatività del nostro popolo, la genialità, il gusto. Perciò io dico che abbiamo qualche dote diversa, perché certe cose non si possono inventare. Milano si trova in Italia e, con Parigi e New York, è una delle tre città a livello mondiale nelle quali si svolgono le sfilate: è tra gli italiani e i francesi che nascono gli stilisti e si crea la moda grazie alla sensibilità, al gusto, al piacere. Lo si vede anche nella cucina italiana, nello champagne francese e nei migliori designer del settore automobilistico, che portano i nomi di Giugiaro e Pininfarina. Abbiamo qualcosa di diverso e, insieme ai francesi, siamo coloro che hanno la creatività nel sangue. Ma paradossalmente proprio noi italiani siamo anche coloro che sottovalutano il made in Italy.

D. Quindi NeroGiardini, tutta italiana, gioca fuori casa?
R. Parto sempre dal presupposto che bisogna prima essere profeti in Italia per poi espandersi, ma senza fare passi da gigante o salti oltreoceano, dove comunque arriveremo. Puntiamo innanzitutto ai Paesi occidentali che costituiscono mercati interessanti, quindi ai Paesi emergenti, più difficili. Ma prima di espanderci in Europa dobbiamo consolidarci bene nel Paese in cui siamo nati e cresciuti. Abbiamo cominciato in Belgio, nei Paesi Bassi, in Spagna; in Germania stiamo creando una struttura commerciale e vogliamo diffonderci anche in Grecia. Il prossimo obiettivo prevede la creazione di tre negozi a livello europeo, a Parigi, Londra e Barcellona.

D. Quale politica sarà attuata per esportare all’estero il marchio NeroGiardini?
R. La mia intenzione è creare progressivamente un marchio nazionale, quindi europeo e un domani internazionale, ma con un processo naturale. L’imprenditore che possiede un’azienda non deve avere paura del mercato globalizzato: se Renzo Rosso di Diesel è riuscito a vendere i jeans in America dove questi sono nati, perché noi non dovremmo conquistare il mercato internazionale? Bisogna prima stabilire i mercati che si intende conquistare, perché avere un cliente in Cina, un altro in Giappone, un terzo negli Stati Uniti, non serve se poi non siamo nessuno in tutte le parti del mondo. Quindi per cominciare dobbiamo prima essere leader in Italia nel nostro prodotto; poi ci muoveremo in Europa investendo nella comunicazione per far conoscere il marchio e creando, all’estero, negozi riconoscibili dall’insegna, in grandi metropoli frequentate dal mondo intero. Punto a realizzare la presenza del mio marchio nelle strade principali, quelle più importanti per il settore della moda, magari attirando la curiosità di qualche grande compratore o distributore mondiale. Ma per ottenere ciò bisogna esservi.

D. Avete già stretto alcuni accordi particolari all’estero, ad esempio con il Barcellona Calcio. Fanno parte di un progetto più ampio?
R. Rientrano in una promozione della visibilità del marchio in campo mondiale. Il Barcellona è una squadra simpatica e della quale fanno parte i migliori talenti del calcio mondiale: questo comporta che, se vi gioca Ronaldinho, il marchio viene visto anche in Brasile. In Spagna abbiamo cominciato la distribuzione in Catalogna e per questo abbiamo preferito il Barcellona al Real Madrid, ma intendiamo estenderci gradualmente in tutto il Paese. Siamo partiti e abbiamo messo un punto fermo: Barcellona. Adesso, strada facendo, valuteremo un più massiccio programma di comunicazione da attuare nella penisola iberica. Stiamo valutando la possibilità di stringere altri accordi.

D. Quali sono i concorrenti di NeroGiardini? Intendete espandervi anche nel campo degli accessori?
R. Dal momento che puntiamo a qualificare il nostro marchio al livello più alto o comunque al livello medio-alto, i nostri concorrenti potrebbero essere i marchi Janet & Janet, Vic Matié, Guess, Paciotti, Bikkembergs. Quanto agli accessori, siamo nati con le calzature e per le calzature, ma attualmente stiamo allargando la gamma dei nostri prodotti inserendovi borse, cinture, portafogli, portachiavi. Ora abbiamo allargato la produzione anche al mondo dei bambini: nel programma aziendale è prevista l’apertura di negozi diretti ma anche, nei prossimi anni, di cento punti vendita monomarca in franchising, per i nostri clienti storici. Vogliamo offrire una gamma completa rivolta al bambino, al ragazzo, alla persona adulta; quindi borse, cinture, portafogli, portachiavi e vari altri accessori coordinati: insomma un «total look», dalle calzature a tutto quanto il resto.

Tags: made in italy Marche imprenditoria moda Giugno 2007

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa