FABIO PISTELLA: PIÙ ICT NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
“Sono per una revisione, nell’ambito del Cnipa, dei rapporti tra la pubblica amministrazione e gli utenti al fine di individuare quanto questi si aspettano. E questo non perché in passato il Centro nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione abbia operato in modo errato, ma perché bisogna adattare continuamente l’offerta alla domanda prestando attenzione a ciò che desiderano le persone. La revisione deve cominciare sin dalla terminologia: si sente spesso affermare, infatti, che nella pubblica amministrazione si cerca di lanciare servizi innovativi, ma che cosa significa questo? Perché si continua a parlare di informatica quando in tutto il mondo si parla di ICT, ossia di information and communication technology? Oggi un confine tra i due settori dell’informatica e delle telecomunicazioni non esiste più. Chiamiamo allora le cose con il loro vero nome, tanto più che, per risparmiare, l’ultima Finanziaria ha assegnato al Cnipa il compito di provvedere all’introduzione massiccia dell’ICT nella pubblica amministrazione”.
Così Fabio Pistella, dallo scorso agosto presidente del Cnipa, illustra il nuovo corso che intende instaurare. “Un’ulteriore spinta alla riforma–precisa–, sta nel fatto che la legge istitutiva del centro, risalente al 1993, si basa su una ripartizione dei ruoli fra lo Stato e le Regioni esistente in quegli anni, mentre dopo sono intervenute varie riforme, in particolare quella del Titolo V della Costituzione, che ha trasferito alle Regioni e alle autonomie locali responsabilità e poteri decisionali”.
Domanda. Come deve adattarsi il Cnipa di fronte alle nuove esigenze?
Risposta. Deve prenderne atto, e proprio a tal fine è stato elaborato un piano triennale sulla base di un documento recentemente approvato in seguito a una valutazione concorde dello Stato, delle Regioni e delle autonomie locali. Come dire che tra loro è scoppiata la pace, sia pure basata su un protocollo contenente solo dei principi; ma quanto meno esso consente ora di costituire dei tavoli come quello previsto, e che io presiedo, per la realizzazione dell’SPC, il sistema pubblico di connettività.
D. Di che cosa si tratta?
R. Di una rete a disposizione di tutte le pubbliche amministrazioni: centrali, regionali e comunali, nel cui ambito il Cnipa è una cerniera che garantisce l’equilibrio. La connessione delle maglie regionali con la rete nazionale a servizio dell’amministrazione digitale è definita «federale». Il documento approvato si intitola “Regole tecniche per il funzionamento del sistema pubblico di connettività”. Per fare un esempio, possiamo riferirci all’Italia postbellica quando la ricostruzione della rete infrastrutturale fu affidata al Genio civile: oggi il Cnipa usa l’informatica come il Genio usava il calcestruzzo.
D. Fino a quando opererà il Cnipa?
R. Giungerà un momento in cui non servirà più un’apposita struttura per svolgere queste funzioni, perché la nuova tecnologia sarà sufficientemente diffusa. Ma ritengo che tra una quindicina di anni, più che una scomparsa del Cnipa, saranno avvenute una sua evoluzione e trasformazione in un organismo pubblico destinato ad assistere la pubblica amministrazione nel passaggio ad un super SPC, un super sistema pubblico di connettività.
D. Quali novità saranno introdotte con la revisione da lei annunciata?
R. Le innovazioni riguarderebbero prima di tutto i processi organizzativi basati sull’informatica. Oggi esiste un’unica entità responsabile, in sede politica, dell’innovazione tecnologica e della funzione pubblica; è la prima volta che ciò accade, e lo ritengo un fattore positivo. Da uno studio della London School of Economics sui benefici prodotti dagli investimenti nelle tecnologie, nell’organizzazione o in entrambi i settori, risulta che, investendo solo nelle prime, i risultati migliorano del 2 per cento; nella seconda, l’aumento della produttività è dell’8 per cento; investendo in entrambe è del 20 per cento. Non vogliamo informatizzare gli attuali processi che, se erano ridondanti, tali resterebbero ancorché informatizzati; desideriamo piuttosto ridisegnarli. Tutto questo servirà a rafforzare la funzione del Cnipa diretta a migliorare i risultati ottenuti dai cittadini e dalle imprese. L’informatica non è un bene in sé, ma uno strumento finalizzato al bene dei cittadini. Queste sono le novità rispetto alla passata visione, piuttosto introflessa.
D. Come rendere più efficiente l’informatica?
R. Questa è una domanda riduttiva. Bisogna chiedersi, invece: “Come accontento l’utente?”. La risposta è: aggiornando i processi e utilizzando l’ICT; partendo dalle necessità pratiche della gente; cambiando anche il modo di lavorare. Questi sono i tre rilevanti cambiamenti. Utenti della pubblica amministrazione sono i cittadini, le imprese e, da qualche tempo, anche le associazioni dei consumatori: siamo nella stagione della class action, nascono nuovi soggetti di democrazia, di partecipazione e di richiesta; inoltre vi sono gli intermediari come le agenzie di certificati o i consulenti fiscali. Quindi in realtà l’utenza non è costituita solo dai cittadini, ma da vari soggetti sociali, politici, economici. Anche su problemi semplicissimi esiste una molteplicità di interlocutori simultanei. Purtroppo ciascuna amministrazione non è un blocco unico, è formata da vari servizi; spesso la lenta trattazione della pratica è dovuta ai rapporti con questi uffici, a volte distanti un piano ma non dotati di un unico protocollo. Inoltre le amministrazioni hanno rapporti molto frammentari con i fornitori di ICT, perché ognuna ha il proprio. Con norme e con risorse finanziarie bisogna aiutare i responsabili dei sistemi informativi automatizzati previsti dalla legge a realizzarne l’integrazione.
D. Quali suggerimenti dettagliati fornisce perché questo avvenga?
R. Qualcosa è stato fatto perché esistono dei portali di orientamento che rispondono alla prima affannosa domanda: «Con chi devo parlare?». L’utente è un cercatore. Il secondo passo è raccogliere le informazioni, attraverso il protocollo digitale, sullo stato di avanzamento di ciascuna pratica nelle diverse Amministrazioni; ecco che l’assistenza, finora limitata alla fase di ricerca, viene fornita anche nella fase di monitoraggio.
D. Ma il protocollo attualmente non è unificato?
R. La parola “unificato” mette fuori strada. Esiste una norma che in ciascuna Amministrazione impone l’uso dei protocolli, ma non sono del tutto usati. Il nostro intento è avere un “metaprotocollo”, un “protocollo dei flussi dei protocolli” che informerà a che punto è la pratica nelle diverse amministrazioni, e quindi il monitoraggio sarà facilitato. Per accertarne l’avanzamento non vanno interrogati quotidianamente i vari portali, ma solo quello di assistenza nel monitoraggio. Ci stiamo organizzando per farlo istituire ad alcune amministrazioni. Dobbiamo creare un dialogo tra questi soggetti, perché bisogna far parlare tra loro i protocolli.
D. Come questo sarà possibile?
R. Vanno creati non standard rigidi, ma regole di compatibilità fra le soluzioni informatiche che ciascun fornitore di ciascuna amministrazione ha introdotto; per fortuna l’informatica è abbastanza flessibile. Ciò non genera costi: semplicemente bisogna tener conto di alcune condizioni, peraltro molto generali, perché questi sistemi si parlino tra di loro. Abbiamo realizzato i requisiti tecnici del sistema pubblico di connettività, che quindi ci sono; inoltre tutto ciò è oggetto di manutenzione continua, per cui in occasione di quella prossima occorre rendere compatibili i sistemi.
D. Le prospettive quindi sono positive per l’utente?
R. Andiamo verso soluzioni soddisfacenti. In molti casi si può identificare un’amministrazione capofila, allora non sarà l’utente ma essa che deve organizzarsi e procurarsi le informazioni necessarie; con l’SPC questo diventa ancora più facile. Occorre cominciare dalle esperienze più efficaci e trasformarle in soluzioni standard. Un paio di mesi fa abbiamo concluso un bando da noi indetto, chiamato “riuso”, che prevede l’assegnazione di incentivi per l’adozione, da parte delle Amministrazioni, di soluzioni informatiche messe a punto da altre Amministrazioni; vengono messe a disposizione di Regioni ed enti locali somme per i lavori di adattamento. Le parole chiave della nostra azione sono «standard», «concertazione», «collegamento», per passare, da una serie di amministrazioni dialoganti ognuna per conto proprio, a un sistema unico.
D. Che cos’altro prevede il piano triennale?
R. Tutto questo e molto altro ancora. È in atto o in arrivo un’ondata crescente di nuove esigenze. Per esempio, quelle collegate all’infomobilità. Sono stati compiuti investimenti per la misurazione del traffico come pure dell’inquinamento nei centri urbani, ma ancora non c’è un sistema che colleghi il cellulare Gps con le reti dedicate a traffico e inquinamento urbano, che quasi tutti i grandi centri hanno. In prospettiva c’è da collegare tutto ciò; il Cnipa fissa le regole tecniche per gli standard, riunisce i sistemi isolati, migliora il servizio, elabora modalità per razionalizzare e rendere fruibili tempestivamente le nuove applicazioni. Il settore dell’infomobilità è trasversale, coinvolge i ministeri dei Trasporti e dell’Ambiente, le Regioni, i Comuni; si presta alla raccolta, ma non pensiamo certo di collocare una serie di pali nelle città; si possono utilizzare, magari, le esistenti centraline per i cellulari.
D. In quale arco temporale potranno essere sviluppate le innovazioni presenti nel piano triennale?
R. I progetti che abbiamo raccolto in una decina di anni sono divisi in tre gruppi. Il primo contiene quelli da completare in seguito a una revisione che abbiamo condotto per accertare i risultati intermedi ottenuti e le trasformazioni esterne avvenute. Il secondo gruppo riguarda l’elaborazione di un progetto organico per l’infomobilità che assorba quanto già realizzato e soddisfi vecchie esigenze ancora disattese. Il terzo è la digitalizzazione del comparto salute, della quale si parla da tanto ma che ha compiuto poca strada; vogliamo portare a conclusione il progetto della tessera sanitaria ed evitare di lasciare incompiute vecchie iniziative. In questi anni si è attuata una politica dei cento fiori, di creatività positiva, ma ora dobbiamo elaborare un piano regolatore per mettere ordine, standardizzare e portare a conclusione le realizzazioni. In Italia si valuta un progetto, in alcuni casi abbastanza bene, ma non lo si verifica in itinere e tanto meno dopo l’esecuzione. Abbiamo compiuto una ricognizione dei progetti, abbiamo riempito due pagine di quelli da ricondurre alla puntualità. Allora fissiamo una griglia di obiettivi, indichiamo i fondi assegnati, quelli spesi, quelli da spendere entro un certo tempo, ma soprattutto stabiliamo con quali partner procedere precisando se questi apportano o meno risorse finanziarie.
D. E i progetti per il settore della sicurezza?
R. Abbiamo compiuto uno studio qualche mese fa e diviso la sicurezza in tre momenti. Il primo è quello logistico-infrastrutturale, consistente nella realizzazione di costruzioni con un adeguato spessore dei muri, con la dotazione di serrature ecc. Il secondo è il momento logico-informatico, riguardante i dati contenuti in un computer, basato su password, backup e altro. Il terzo è quello organizzativo-culturale e comportamentale, che ha i piedi di argilla perché, pur avendo edifici muniti di mura d’acciaio e antifurti vari, si lascia la porta aperta o la chiave nella toppa; in tal caso è inutile fare ulteriori investimenti, costruire un muro largo 80 anziché 70 centimetri ecc. In questo campo la P.A. è abbastanza indietro.
D. Avete nuovi progetti?
R. Regole ed educazione comportamentale. Nella sicurezza informatica si può fare di più, unendo i sistemi per avere una logica unitaria di “disaster recovery”, operante in caso di disastro, comune ai grandi enti di previdenza come Inps, Inail, Inpdap. La sicurezza si presta ad essere gestita in maniera coordinata fra più soggetti, ed è un obiettivo prioritario. Esiste già infatti un centro unico di backup per i tre istituti, che interviene in caso di difficoltà. Non desidero delineare strategie militari o di pubblica sicurezza che non sono il mio mestiere, ma i maggiori analisti internazionali sottolineano la vulnerabilità dei sistemi ad alta tecnologia dinanzi ad attacchi terroristici, pirati informatici, messa fuori servizio di strutture essenziali attraverso il lancio di segnali, di applicazioni e di messaggi che saltano la rete e i centri di smistamento. Un elevato numero di servizi essenziali è suscettibile di gravi danneggiamenti nelle infrastrutture e soprattutto nelle prestazioni. Bisognerebbe progettare edifici anti-sismici e sistemi informativi in grado di resistere al terremoto che non è il sisma tellurico ma è l’attacco informatico, la perdita di energia elettrica, l’interruzione di alcune linee fisiche.
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