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Enzo Donald Mularoni: le ceramiche del gruppo Del Conca raddoppiano in USA

Enzo Donald Mularoni, amministratore delegato del Gruppo Del Conca

Il Gruppo Del Conca, gruppo societario che si occupa di produzione di pavimenti e rivestimenti ceramici, composto dalle società produttive Ceramica Faetano, Ceramica Del Conca e Pastorelli, dalle due società commerciali Produco e Del Conca Usa e dalla Fondazione Cino Mularoni, è sempre più internazionale. Del Conca Usa infatti, costituita per seguire gli aspetti logistici negli Stati Uniti che assorbono metà del 65 per cento del prodotto destinato al mercato internazionale, raddoppia le linee produttive presenti da due anni in Tennessee: da tre a sei milioni di metri quadrati di capacità produttiva. Enzo Donald Mularoni, amministratore delegato del Gruppo con 600 dipendenti e un fatturato di 150 milioni di euro, ne descrive le attività e i progetti.
Domanda. Come si è arrivati all’apertura di uno stabilimento negli Stati Uniti?
Risposta. Siamo grandi esportatori, questo ci ha consentito di superare la crisi degli ultimi anni: ormai l’80 per cento della nostra produzione viene esportata. Dal momento che gli Stati Uniti sono il mercato al quale è destinato un terzo del nostro fatturato, tre anni fa abbiamo optato per uno stabilimento in loco che ci ha consentito di fornire un servizio migliore al mercato e di distribuire il prodotto, creato in Italia e secondo il gusto italiano, negli Stati Uniti. Si tratta di un grande vantaggio perché gli americani preferiscono comprare a livello domestico, non sono così costretti ad aspettare quel mese in più che il trasporto via nave richiede e la spedizione costa meno. Inoltre, gli importatori americani non sono vincolati a dazio e soprattutto possono offrire un migliore servizio ai propri clienti servendo il mercato con prodotti reperibili a livello nazionale.
D. Che effetti ha avuto questa apertura sulle esportazioni?
R. Per mantenere e rafforzare le nostre quote di mercato negli Stati Uniti siamo in un certo senso stati costretti ad aprire una sede americana. In realtà la scelta si è rivelata particolarmente opportuna anche ed incredibilmente per rafforzare il nostro export. Se infatti in America offriamo piastrelle in grès porcellanato made in Usa di utilizzo quotidiano, - e quindi riusciamo a mantenere aperto il canale dei volumi con la produzione domestica, - riusciamo anche a collocare dall’Italia il prodotto più particolare che lì non conviene produrre. Lo stabilimento in America non ha rappresentato quindi una delocalizzazione ma un’internazionalizzazione, oltre che un rafforzamento del nostro prodotto italiano. Il 2014 è stato un anno di avviamento, nel 2015 abbiamo registrato un po’ più di 20 milioni di dollari di fatturato. Quest’anno abbiamo una previsione di oltre 30 milioni ma di conseguenza siamo già vicini alla saturazione della capacità produttiva dello stabilimento americano: questo ci ha spinti a decidere di raddoppiarne la capacità produttiva entro il 2016. Entro la fine dell’anno completeremo le installazioni e con l’inizio del 2017 contiamo di iniziare a produrre. La parte esistente lavora naturalmente a pieno ritmo e con l’ampliamento ci saranno ulteriori assunzioni. Passeremo dagli attuali 90 a circa 130 dipendenti in territorio americano. Il primo investimento Usa, per la realizzazione dello stabilimento, è costato 50 milioni di dollari, la seconda parte dell’investimento sta richiedendo ulteriori 30 milioni. Spendiamo una quantità rilevante di denaro, però coltiviamo delle aspettative molto importanti e crediamo che sia motivo di salute per il nostro gruppo.
D. Gli investimenti maggiori sono quindi stati in questa direzione?
R. Esatto, però a breve ci saranno novità anche per gli stabilimenti italiani dove si renderà necessaria qualche modifica che adesso non voglio anticipare; l’Italia resta comunque il centro della nostra attività perché passeremo da 15 a 18 milioni di metri quadri di capacità produttiva di cui solo un terzo è negli Stati Uniti.
D. Com’è diviso il mercato americano?
R. Il consumo del mercato americano è formato per un terzo da merce di gusto europeo prodotta negli Stati Uniti da italiani o da industrie italiane che hanno internazionalizzato la loro produzione. Poi c’è un terzo dell’offerta che è formato da merce importata da Paesi a basso fattore di costo come Messico e Cina, destinata alla fascia bassa del mercato. Infine c’è un altro terzo di merce di qualità medio-alta importata soprattutto dall’Europa. Noi, aumentando la produzione nello stabilimento americano, possiamo conquistare anche una parte di questa fascia di mercato perché il distributore americano preferisce comunque avere merce domestica anziché merce da importare. Siamo quindi convinti che quest’ulteriore investimento sia stato opportuno.
D. La partecipazione a fiere straniere vi torna utile?
R. Ovviamente partecipiamo da sempre alla fiera principale a livello mondiale, il Cersaie di Bologna. La nostra prima edizione risale al 1979, quando ancora neanche si chiamava Cersaie. L’Italia è rimasta il punto di riferimento per qualità nel mondo mentre per quantità i primi sono i Paesi in via di sviluppo come quelli asiatici. Non c’è una nuova tendenza nella ceramica che non sia nata in Italia poiché il nostro Paese è ancora il luogo della ricerca e della sperimentazione, primato riconosciuto anche attraverso la fiera dei produttori italiani e punto di riferimento per tutti i produttori a livello mondiale che vi si ispirano. Un vantaggio non da poco che consente di avere alcuni mesi di vantaggio rispetto ai concorrenti stranieri che ci imitano, dato che il prodotto si vende anche per l’estetica. Partecipiamo inoltre al Batimat di Mosca, perché desideriamo promuovere in un mercato evoluto come quello russo il prodotto italiano, che ha le caratteristiche giuste. Purtroppo negli ultimi anni il mercato russo è calato in maniera drammatica a seguito delle sanzioni e per il costo di energia e materie prime. Altra partecipazione significativa è Coverings, fiera itinerante nordamericana della quale l’associazione italiana, la spagnola e l’americana sono i proprietari; quest’anno si è tenuta a Chicago, capitale insieme a New York del design e dell’interior decoration. Coverings non raggiunge i livelli di sofisticatezza di Cersaie ma ha sicuramente uno standard elevato rispetto alla media delle fiere americane. C’è attenzione da parte dei designer americani perché il nostro prodotto non solo ha caratteristiche qualitative elevate ma viene anche esposto con una cura particolare che ispira i designer ad utilizzare il prodotto italiano.
D. A Loudon porterete manodopera specializzata?
R. Due anni fa abbiamo assunto soltanto 5 italiani perché riteniamo sia opportuna la guida e la formazione per i lavoratori locali. Gli stessi sono stati anche portati inizialmente in Italia per familiarizzare con i macchinari già presenti nei nostri stabilimenti italiani; italiana infatti è tutta la tecnologia impiegata negli Stati Uniti. Oggi c’è già un nucleo di persone in grado di condurre gli impianti oltre ai 5 supervisori italiani esperti del settore ceramico che detengono la conoscenza e il know how del settore.
D. Cosa fa Del Conca per la sostenibilità?
R. Curiosamente in Italia le regole sulle emissioni per il settore della ceramica sono più strette che in altri Paesi europei, e negli Stati Uniti sono ancora più strette che in Italia. Nei nostri stabilimenti non scarichiamo acqua ma la ricicliamo così come tutte le polveri e le sostanze potenzialmente inquinanti che vengono riciclate e vanno a formare le piastrelle che si faranno un domani. Gli impianti realizzati con la tecnologia italiana sono i più avanzati nel mondo anche per quello che riguarda il rispetto dell’ambiente, l’impatto ambientale e l’uso delle risorse naturali.
D. Quanto si differenziano i prodotti destinati al settore residenziale e commerciale?
R. Sono un po’ diversi tra loro ma occasionalmente si sovrappongono. In genere il prodotto scelto dal progettista per la catena alberghiera è monocolore, sobrio e neutro rispetto a quello residenziale che di norma è esteticamente più forte, con un’impronta stilistica più accentuata perché creato per essere scelto dal consumatore finale.
D. Portate avanti spesso collaborazioni?
R. Nella nostra storia abbiamo collaborazioni con designer e artisti abbastanza singolari, come ad esempio Milo Manara e Monkey Punch, autore di Lupin III, che riscuotono un seguito apprezzabile. Lo scorso anno abbiamo avuto la collaborazione con Giugiaro Architettura. Ispirandosi alla fibra di carbonio e alla griglia d’aspirazione della vettura Parcour, è nato un prodotto molto sobrio che si presta sia al design sia al commerciale. Andando a ritroso, siamo stati fornitori ufficiali per le sedi e gli showroom sia di McLaren che di Toro Rosso, specializzandoci in prodotti anche qualitativamente adatti ai luoghi della progettazione della meccanica di grandissima precisione.
D. Quali sono le vostre aspettative di crescita?
R. Ovviamente più investi, più ti aspetti di crescere. Negli Stati Uniti, fino a due anni fa, avevamo il mercato ma non le unità produttive; ora ci aspettiamo di raggiungere i 60 milioni di dollari di fatturato nell’arco di 3-4 anni. Anche in Europa, forti degli investimenti che andremo a lanciare nei prossimi mesi, abbiamo una strategia di miglioramento e di sviluppo significativa che si basa non solo sulla nostra presenza nel mercato del residenziale e del commerciale. Nei mercati europei, in particolare, siamo leader di un nuovo segmento, quello delle lastre di grande spessore per ambienti esterni come camminamenti, lastrichi solari, bordi piscine etc. Per questi utilizzi, fino a poco tempo fa, si usavano principalmente pietra e cemento ma non ceramica. Noi oggi realizziamo piastrelle in grès porcellanato - antigelo, antiscivolo - che sopportano grandi carichi e, grazie ai vantaggi che questo materiale offre, stiamo riscuotendo negli ultimi anni un grande successo e contiamo di continuare ad averlo nei prossimi.       

Tags: Giugno 2016 Giosetta Ciuffa architettura architetti

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