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Giampiero Massolo: L’intelligence e le nuove minacce alla sicurezza

Giampiero Massolo, direttore generale del DIS, Dipartimento delle informazioni per la sicurezza

Nato a Varsavia, Giampiero Massolo si è laureato nel 1976 in Scienze Politiche, con indirizzo politico-internazionale, nell’università Luiss di Roma e nel 1977/1978 ha prestato servizio nella direzione per le Relazioni economiche e sociali e poi nella direzione per le Questioni comunitarie e gli Affari internazionali della Fiat a Torino. Entrato nella carriera diplomatica nel 1978, a 23 anni, dal 1980 al 1985 ha prestato servizio nelle ambasciate d’Italia presso la Santa Sede e presso l’Unione Sovietica come primo segretario nel settore economico-commerciale. Dopo un altro periodo trascorso presso l’Unione Europea a Bruxelles come portavoce della delegazione italiana nei gruppi di lavoro per la politica dell’ambiente e dell’energia, per gli aiuti di stato e la politica industriale, nel 1990 è passato all’ufficio diplomatico del presidente del Consiglio per poi divenire consigliere diplomatico aggiunto nel governo Ciampi, quindi capo della segreteria del presidente nel primo governo Berlusconi e nel successivo governo Dini. Rientrato nel 1996 al ministero degli Esteri come capo del servizio stampa e informazione e portavoce del ministro, a fine ‘97 è stato nominato ministro plenipotenziario.
Ha assunto poi gli incarichi di vicesegretario generale della Farnesina; di direttore generale per gli Affari politici multilaterali e i Diritti umani; e di capo di Gabinetto del ministro degli Esteri Gianfranco Fini. Nominato ambasciatore nel 2006, è stato direttore generale per il Personale, quindi segretario generale del Ministero degli Esteri, il più elevato incarico della carriera diplomatica italiana. Dall’aprile 2008 al dicembre 2009 ha svolto la funzione di rappresentante personale del presidente del Consiglio dei ministri per il G8 e per il G20. In tale veste è stato anche responsabile del coordinamento tematico generale della presidenza italiana del G8 nel 2009 e della preparazione del vertice dell’Aquila. L’11 maggio 2012 è stato nominato direttore generale del dipartimento delle Informazioni per la sicurezza, la cosiddetta intelligence italiana.
Domanda. Com’è strutturata oggi l’intelligence italiana?
Risposta. Il comparto intelligence, come lo chiamiamo noi, è unitario e dipende interamente dal presidente del Consiglio, il quale può delegare alcune proprie funzioni a un’autorità di Governo, cioè a un sottosegretario. Il comparto è composto da due agenzie operative, una interna e l’altra esterna, e da un organismo di coordinamento, il DIS. Ma in realtà si tratta di una struttura unitaria, operante in maniera coerente, integrata, centripeta.
D. Quali sono le nuove situazioni da affrontare?
R. Il mondo è cambiato, esistono fenomeni nuovi che rappresentano una sfida. La minaccia non è più quella cui eravamo abituati, che in qualche modo poteva localizzarsi dal punto di vista geografico, cioè l’attacco di una grande potenza contro un’altra grande potenza. Oggi la minaccia è totalmente diversa, asimmetrica, come la definiamo noi; muta in continuazione, viaggia in rete, è immediata ed è soprattutto rivolta contro l’intero sistema. Non punta a colpire solo bersagli militari o politici, ma interessi industriali, scientifici, tecnologici, economici, finanziari. Quindi il Paese rischia un vero declassamento strutturale. Se non si è attenti, la minaccia punta al cuore del sistema. Questo fornisce all’intelligence un compito nuovo: da una parte parare il rischio per l’intero sistema, dall’altra proteggere gli anelli deboli. Perché, colpendone uno, si può azzerare un’intera filiera produttiva, con un danno molto grave per l’economia nazionale, il tessuto sociale, ed in definitiva l’intero sistema Paese.
D. Come affrontare allora questa nuova situazione?
R. Poiché questi organismi, come in tutti i Paesi - ma in Italia la portata culturale della novità è maggiore -, devono far fronte a una minaccia completamente nuova, tutto ciò esige un aggiornamento continuo, un cambiamento delle «teste», cioè della cultura aziendale. Non si può più rimanere fermi, perché si può trovare la realtà davanti al proprio tavolo di lavoro senza accorgersene; quindi occorre necessariamente adeguare i metodi operativi, la cultura aziendale.
D. Come adeguare tali sistemi senza conoscere quelli degli altri Paesi?
R. La minaccia è nuova per tutti per cui è fondamentale la collaborazione internazionale, soprattutto fra Paesi alleati che condividono gli stessi valori ed hanno lo stesso obiettivo, la sicurezza dei cittadini, delle istituzioni e dei sistemi Paese, che da questo punto di vista è fondamentale. Non è possibile operare da soli, è necessario mettere insieme gli sforzi, e questo è ancor più vero per la minaccia cibernetica, che viaggia in rete ed è in grado di paralizzare di colpo un intero sistema elettrico, idrico, autostradale, o far saltare per esempio tutti i bancomat. Sono attacchi che non si riescono a parare individualmente, ma aggiornandosi tecnologicamente in casa propria e attraverso un’accresciuta collaborazione internazionale. La dimensione e l’evoluzione della minaccia porta a un’evoluzione anche del concetto di quanto può fare l’intelligence, cioè proteggere non in uno splendido isolamento ma cercando forme di collaborazione internazionale, ineliminabili.
D. Con chi collabora di più l’Italia?
R. Facciamo parte saldamente del cosiddetto mondo occidentale, abbiamo alleanze solide cui possiamo fare ricorso e affidamento in ambito atlantico e dei nostri rapporti europei. Esistono modelli di collaborazione molto consolidati, che stiamo seguendo e sviluppando. Questo non ci esime dal ricorrere internamente a un continuo aggiornamento aumentando la consapevolezza degli addetti e affinando i loro requisiti professionali per svolgere i compiti. Le risorse umane impiegate molto diversificate, ed i più recenti reclutamenti hanno ampliato ed aggiornato le competenze professionali su cui possiamo fare affidamento.
D. Come procedete in questo campo?
R. Non casualmente. Organizziamo campagne di reclutamento anche on line per diversificare e raccogliere i migliori elementi, soprattutto giovani laureati ed elementi meno giovani ma con significative esperienze lavorative nei settori informatico, cibernetico, economico e finanziario, della gestione di sistemi complessi, delle reti infrastrutturali. Competenze che fino a pochi anni fa non erano presenti in questo organismo. L’Italia forse in questo ha più strada da fare, ma anche in Paesi che vantano maggiore competitività internazionale questo campo si è evoluto molto rapidamente. Quindi da un lato abbiamo la nuova minaccia, dall’altro la necessità di aggiornarci ma questo comporta anche un investimento in tecnologie che stiamo facendo in maniera molto determinata, proprio perché nell’intelligence, pur essendo ancora fondamentalmente un settore in cui contano molto la persona umana, l’intuito e il colpo d’occhio, la possibilità di disporre di tecnologie avanzate aiuta notevolmente.
D. Quanto si investe in Italia in questo settore?
R. Il settore dell’intelligence si è autoimposto una spending review piuttosto rilevante, ma una spending review intelligente è sempre opportuna perché impone l’eliminazione delle inefficienze e delle duplicazioni; da noi essa ha comportato anche un risparmio finanziario che abbiamo reinvestito in aggiornamento tecnologico. Il bilancio della CIA americana ammonta a più di 14 miliardi di dollari l’anno: i nostri stanziamenti non sono nemmeno paragonabili. Non siamo la CIA e non navighiamo nell’oro, per cui dobbiamo usare molto oculatamente le risorse finanziarie; nel comparto è presente la consapevolezza della difficoltà di bilancio dello Stato, e del fatto che l’Intelligence grava sui contribuenti.
D. Quali sono i vostri rapporti con il Governo?
R. C’è molta sintonia. L’idea che il Governo dispone di uno strumento per sua natura non convenzionale, ma che opera all’interno dell’ordinamento giuridico verso obiettivi che lo stesso Governo decide, rafforza l’immagine dell’intelligence; abbiamo sviluppato questo raccordo, ed esiste un comitato per la sicurezza della Repubblica, presieduto dal presidente del Consiglio, di cui fanno parte i principali ministri con competenze affini a quelle dell’intelligence. Questo comitato è diventato una sorta di unità di crisi a geometria variabile, i suoi lavori vengono preparati da un gruppo di addetti nel corso di assidue riunioni tecniche che consentono di orientare, in un rapporto di reciproco scambio con l’intelligence, l’attività verso obiettivi prioritari, altrimenti il nostro lavoro rischierebbe di disperdersi. Visto che le nostre risorse, dal punto di vista umano e finanziario, sono limitate, senza una costante messa a punto dell’attività rischieremmo di allontanarci dalle priorità del Governo.
D. La segretezza continuerà a caratterizzare tutta la vostra attività?
R. Sono convinto che la riservatezza e il segreto siano uno strumento fondamentale per la tutela della sicurezza nazionale. Cionondimeno non siamo affatto affezionati all’idea che la riservatezza deve necessariamente coprire tutto quello che l’intelligence fa. Gioverebbero a questa una sua maggiore conoscenza da parte dei cittadini, la sua presentazione ad essi, l’essere considerata un normale strumento esistente in tutti i Paesi. Puntiamo molto sulla trasparenza dei Servizi, che cerchiamo di realizzare sulla risposta a tre quesiti: «Chi siamo, cosa facciamo, a cosa serviamo». Dallo scorso novembre stiamo compiendo visite nelle principali università italiane per rispondere ad essi, raggiungendo un discreto auditorio e suscitando un vivace interesse. I giovani sono molto incuriositi; quando abbiamo messo on line una richiesta di inviarci curriculum, in breve ne abbiamo ricevuti 7 mila, alcuni molto interessanti. Data la scarsità dei fondi, non tutti potranno essere assunti ma rappresenteranno un bacino dei migliori talenti per le eventuali nostre future esigenze.
D. Oggi quante persone occupa l’intelligence e quali requisiti occorrono a un aspirante dipendente?
R. Il numero non può essere reso pubblico, ma sono meno di quelli di un ministero di medie dimensioni. Il primo requisito per un’eventuale assunzione è la formazione su cosa significa servire lo Stato; nel nostro ambito questa consapevolezza è più importante che in altri. L’intelligence non metterà mai un proprio dipendente in condizione di dover fare una scelta etica, cioè rinunciare a valori in nome dell’attività svolta, ma determinati valori devono essere molto radicati in chi vuole servire lo Stato.
D. Ma come capite se una persona li possiede o no?
R. In un corso di preparazione piuttosto lungo e articolato si impara a conoscere le persone, ad acquisirne la confidenza. Caratteristiche più personali sono la curiosità, il colpo d’occhio, una cultura quasi da «uomo rinascimentale», perché un buon agente segreto è in grado di emettere valutazioni e giudizi equilibrati e di avere un coraggio personale. Non siamo dei Rambo, ma possono presentarsi casi in cui occorra coraggio, fino talvolta al sacrificio della vita. La vicenda di Nicola Calipari lo dimostra. Poi occorrono skill di carattere più propriamente tecnico. Finora, per esempio, abbiamo cercato soprattutto informatici, ingegneri di sistema, gestori di infrastrutture critiche, economisti, esperti di finanza e di materie prioritarie per l’intelligence, come la sicurezza cibernetica, la competenza economico-finanziaria, l’esperienza nel settore dell’energia e delle reti complesse. Oggi l’intelligence è una struttura di servizio che aiuta prima di tutto il Governo a vedere nel buio e gli fornisce informazioni che lo pongano meglio in grado di assumere decisioni. E le decisioni che adotta, anche in base alle informazioni dell’intelligence, riguardano la sicurezza nazionale e la protezione degli interessi fondamentali del Paese, dei cittadini e delle stesse istituzioni.
D. Come agiscono tra loro i vari Servizi segreti?
R. Si scambiano informazioni, dati, valutazioni. L’intelligence esiste per prevenire, per far sì che alcuni eventi non si verifichino; lavorano rimanendo nel buio, con la soddisfazione di essere riusciti a prevenire qualcosa. Non sempre il lavoro riesce, va sfatato il mito che l’agente tutto sa e tutto possa fare; perché dinanzi a un determinato numero di successi si assiste anche a degli insuccessi.
D. Che cosa vorrebbe cambiare lei in questa struttura?
R. Provengo da un mondo professionale relativamente insolito per questo comparto; nella mia attuale posizione vi è stato un solo predecessore proveniente dalla diplomazia, l’ambasciatore Francesco Paolo Fulci, all’inizio degli anni 90, in un mondo e con funzioni diverse. Questo mi ha offerto il privilegio di arrivare con un bagaglio professionale nuovo, e sto cercando di modificare con esso la cultura aziendale, finora tipica del mondo militare, degli apparati della sicurezza, di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza. Mondi ad elevatissima professionalità. Forse finora era mancata questa dimensione diplomatica più internazionale che chiamo, sorridendo, la «consuetudine con il mondo». Credo che anche in Italia, dove la conoscenza delle situazioni del mondo è meno sviluppata e ci occupiamo di più degli avvenimenti interni, questa contaminazione possa giovare. Spero che questo innesto possa essere positivo.
D. Quali altri progetti avete?
R. Bisogna far crescere la consapevolezza di quello che oggi è il mondo, aggiornare la cultura aziendale, sfruttare il progresso tecnologico, far lavorare bene le due agenzie in maniera complementare, rendere un servizio di sicurezza sempre più efficace alla società, ai cittadini, alle istituzioni e al Paese. L’Italia deve strutturarsi sempre più all’interno per rendere efficiente il sistema Paese e il proprio assetto istituzionale.
D. Come è possibile in un momento in cui i Governi cambiano così spesso?
R. L’interesse nazionale è qualcosa di abbastanza immutabile e costante nel tempo; individuarlo e difenderlo entro certi limiti prescinde dalla continuità dei singoli Governi. Inoltre bisogna pensare a quanta domanda d’Italia c’è nel mondo, del nostro patrimonio culturale, dei nostri beni e di quelli che produciamo; di quanta domanda di tutto ciò esiste nel mondo, e questo ci deve dare fiducia. Credo che gli ingredienti per la ripresa ci siano, mentre le riforme istituzionali e la crescita economica rappresentano assolute priorità del Governo.

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