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Presidente renzi ancora, ancora, l’italia deve tornare sul Don

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Proprio in questi giorni il fiume Don ci sta procurando una serie di preoccupazioni a causa della pretesa dell’Ucraina di staccarsi dall’alleanza con la Russia e di aderire all’Unione Europea, diventata ormai il «refugium peccatorum». Il rifugio di popolazioni che per oltre 70 anni di storia non hanno creato nulla, hanno vivacchiato protette da Stati e regimi autoritari mentre noi abbiamo lavorato sodo per tutta la vita e, grazie al lavoro e ai sacrifici, abbiamo, con gli altri Paesi dell’Europa Centrale, creato un’Eden, un Paradiso terrestre oggi invidiatoci ed agognato da tutto il Terzo Mondo. Tanto che dobbiamo continuare a caricarci sulle spalle tutto il peso non solo delle nostre nuove popolazioni via via abituatesi al benessere da noi creato ma al cui mantenimento non vogliono contribuire, pretendendo solo di avere diritti, tutti i diritti compreso quello di non lavorare, grazie alla protezione mafiosa più che all’assistenza di associazioni sindacali che li sfruttano ulteriormente, non gli fanno produrre nulla ma solo pretendere. Ricordiamo il Don, almeno quei pochi che lo ricordano, che significò per l’Italia e per gli italiani la più grande illusione e tragedia vissuta negli ultimi secoli a causa non tanto e non solo di politici inaccorti come Benito Mussolini, ma dei suoi sostenitori, del suo entourage di vigliacchi, buffoni e traditori, di gente che ad esempio, come Achille Starace, dopo aver obbligato gli italiani anche più sensati e di buon senso alle peggiori buffonate pubbliche, il giorno della caduta della Repubblica di Salò, mentre il suo Duce finiva fucilato e appeso a Piazzale Loreto, continuava a circolare per Milano ad allenarsi in quello che oggi è il cosiddetto footing. Non possiamo avere pietà per i gerarchi fascisti vittime di quella tragica stagione, non possiamo non approvare l’unico sistema messo in atto dagli italiani, cioè dai partigiani, di eliminare fisicamente una classe politica che aveva comandato e rubato per oltre vent’anni; non sarebbe stato possibile cambiare altrimenti la classe politica, come fecero i partigiani, talvolta a torto ma comunque quasi sempre a ragione. Altrimenti i gerarchi, i federali, i consoli della Milizia Volontaria Nazionale non sarebbero mai scomparsi, si sarebbero sempre riciclati, come è avvenuto alla caduta della prima Repubblica, a quella di Bettino Craxi e, attualmente, a quella di Silvio Berlusconi. Anche questo vittima, come Mussolini, della propria ingenuità, della propria convinzione di superiorità, e che si è circondato di mediocri, incapaci e traditori pronti ad abbandonarlo come è accaduto e tuttora accade; ma è anche vero che non ha fatto crescere persone intelligenti e preparate. Il Don fu la linea della sconfitta, del disonore totale per l’Esercito italiano e per tutta l’Italia, che aveva inviato ben 230 mila uomini a sostenere le forze tedesche contro la Russia perché Hitler aveva aiutato le forze italiane nella sfortunata campagna d’Africa. Tra pene, stenti immensi, neve, gelo, fango, acqua, offensive nemiche, lunghe marce a piedi, riuscirono a tornare solo 114.520 militari; Renato Moscatelli, un giovane di Monte Compatri più grande di me, trascorse 33 giorni su una tradotta militare per arrivare a Roma. E poi tutte le conseguenze della guerra perduta, di città bombardate, ferrovie, porti, aeroporti, industrie distrutte: povertà, fame, disoccupazione, cappotti fatti con coperte militari, abiti rivoltati, cioce ai piedi, palazzi sventrati, montagne di macerie. A Frascati bombardata l’8 settembre 1943, mi arrampicavo con una ragazzetta dietro lo scheletro della facciata di un palazzo rimasta in piedi dinanzi alla Cattedrale di San Pietro, e ascoltavo i discorsi della povera gente nella piazza illuminata da una sola, fioca lampadina elettrica. Nel bombardamento era rimasto sepolto in un rifugio, con tutta la famiglia, Mercanti, il mio compagno di banco, figlio d’un sarto. Eppure c’era una grande frenesia di lavorare, fare, sgombrare le macerie, ricostruire, produrre, inventare servizi necessari come i trasporti con le camionette, riparare ingegnosamente mezzi lasciati dagli americani, raccogliere cicche, estrarne il tabacco, ammucchiarlo su banchetti, venderlo per farne schifose sigarette con cartine. E che necessità c’è di enumerare ancora i grandi sacrifici fatti con entusiasmo, abnegazione e solidarierà umana negli anni successivi, subiti anche da noi studenti con impegno straordinario nello studio? In appena una dozzina di anni avevamo ricostruito l’Italia, realizzato grandi infrastrutture, portato l’industria pesante ai primi posti nel mondo. Che significa tutto questo discorso, questo ricordo? Che abbiamo dimenticato tutto. Che la tragedia del Don ripropostaci dalle pretese di due parti un tempo fra loro alleate ci riporta alla nostra italianità vera, esclusiva, ai caratteri e ai valori della nostra popolazione millenaria. C’è una grande crisi mondiale che dura da 5 o 6 anni? Dobbiamo fare sacrifici, dimenticare per un po’ il Paradiso terrestre, rimboccarci le maniche. Che ci ricorda il fiume Don? Gli immensi sacrifici dei nostri giovani, morti abbandonati nel gelo, la voglia di riprendere la vita, lavorare, rinunciare a privilegi, prebende, guadagni eccessivi. Non è più possibile che milioni di dipendenti pubblici protetti dai sindacati che li sfruttano assorbendo una parte cospicua dei loro guadagni senza arrecare loro, almeno ora, alcun miglioramento, continuino a beneficiare di questa situazione di arbitrio, corruzione, approfittamento, furto e rapina a danno dei veri, genuini, storici cittadini italiani. Bisogna interrompere la sequenza, fare un break, avviare una pausa. Basta aiuti a chi non ne ha bisogno, basta stipendi da nababbi e organizzazioni mafiose da Alì Babà e dai 4 milioni di ladroni. Bisogna tornare spiritualmente al Don, a quell’atmosfera, a quei valori. Pochi sopravvissuti ricordano quell’Italia, ma non è detto che i giovani, perché non hanno vissuto tanti sacrifici ma siano cresciuti nell’Eden, non capiscano e non vogliano sacrificarsi. Sono convinto che non aspettano altro che scagliarsi contro gli Alì Babà sparsi in tutte le pubbliche amministrazioni d’Italia, anche nella magistratura. Il presidente Renzi deve andare avanti, tagliare, ridurre, senza farsi impressionare da manovre, inganni, talk show che vanno di colpo aboliti perché diffondono malcostume, inganno, sotterfugi, truffe e tradimenti.

Tags: Maggio 2014 Renzi Victor Ciuffa

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