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terrorismo nucleare sempre più «da zaino», sempre meno piccolo

di ANTONIO MARINI

Con la sua partecipazione alla conferenza internazionale sulla sicurezza nucleare, organizzata a Vienna dall’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), il Governo italiano ha dimostrato di essere pronto a completare rapidamente la ratifica dell’emendamento del 2005 alla convenzione sulla protezione fisica dei materiali nucleari, nonché della convenzione internazionale sulla repressione degli atti di terrorismo nucleare.
È quanto ha dichiarato il viceministro degli Esteri, Lapo Pistilli, intervenuto alla conferenza dello scorso luglio. L’Italia, ha sottolineato Pistilli, è fortemente impegnata nel decommissioning dei siti del dismesso programma italiano dell’energia nucleare e offre agli altri Paesi le proprie eccellenze formative come la scuola del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste per rafforzare il regime internazionale di sicurezza nucleare.
Aperta alla partecipazione di 159 Stati membri dell’Agenzia, la conferenza ha rappresentato un’occasione importante per discutere i problemi posti dalla sicurezza nucleare e per rinnovare l’impegno della comunità internazionale. Il primo strumento normativo predisposto per definire ed attuare adeguate misure di protezione per le materie nucleari dal rischio di prelievo non autorizzato, fu la convenzione sulla protezione fisica delle materie nucleari aperta alla firma a Vienna e a New York il 3 marzo 1980, entrata in vigore nel 1987. Facendo riferimento ai principi contenuti nel trattato di non proliferazione di armi nucleari, nelle intese di Londra e nelle linee guida della Aiea, la Convenzione prevedeva, tra l’altro, una serie di obblighi per gli Stati aderenti sulle misure concrete di protezione fisica delle materie nucleari nella fase del trasporto internazionale.
Negli anni successivi la rivalutazione del rischio associato anche agli eventi dell’11 settembre 2001 ha portato ad un rafforzamento del regime internazionale della protezione fisica attraverso la definizione di importanti emendamenti alla convenzione stessa, prevedendo altresì fattispecie criminose derivanti dalla rimozione non autorizzata e dal sabotaggio delle installazioni e del materiale nucleare.
Quindi la convenzione emendata, firmata dall’Italia l’8 luglio 2005, ha esteso il proprio raggio d’azione dal trasporto delle materie nucleari all’impiego generale delle materie ed alle installazioni, ponendo particolare attenzione al concetto di sabotaggio, sia in fase di trasporto delle materie, sia riguardo alle istallazioni. Ulteriori aspetti innovativi della convenzione sono i principi, fortemente sostenuti dall’Italia, del danno ambientale e della sicurezza delle informazioni classificate.
Altri obblighi e principi generali previsti dagli emendamenti, anche con riferimento al modo più funzionale a darvi attuazione interna, sono quelli di predisporre un adeguato regime di protezione fisica da applicare alle installazioni e alle materie nucleari impiegate o trasportate allo scopo di prevenire e contrastare atti illeciti, recuperare eventuale materiale trafugato, mitigare le conseguenze di un sabotaggio.
A tutt’oggi, però, la convenzione così emendata non è stata ancora ratificata in Italia. Lo stesso deve dirsi per quanto riguarda la convenzione internazionale per la repressione di atti di terrorismo nucleare, adottata a New York il 14 settembre 2005, di cui si è già fatto cenno. Tale convenzione ha inteso rafforzare una serie di disposizioni in cui  strumenti adottati nell’ambito delle Nazioni Unite si combinano con altri adottati in sede europea, specificamente dedicati alla lotta contro il terrorismo internazionale, che negli ultimi anni ha assunto una dimensione globale.
Nel corso della XV legislatura il Governo aveva presentato il 18 settembre 2007 un disegno di legge per la ratifica e l’esecuzione di tale convenzione, ma la conclusione anticipata della legislatura stessa non ne aveva consentito l’esame. Anche il disegno di legge presentato durante la XVI legislatura non veniva approvato per la conclusione anticipata anche di questa.
Vale comunque la pena di ricordare che, in ottemperanza all’articolo 2 della convenzione, tale disegno di legge introduceva nel codice penale l’articolo 280 ter, che prevedeva il  reato di «atti di terrorismo nucleare». In particolare, era prevista la reclusione da cinque a dieci anni per chiunque, allo scopo di causare morte o gravi lesioni personali, di recare danni rilevanti a beni o all’ambiente, avesse procurato a sé o ad altri materiale radioattivo o creato un congegno radiologico o nucleare, ovvero ne fosse venuto altrimenti in possesso.
Una pena da sette a quindici anni di reclusione era prevista per chi avesse utilizzato in qualsiasi modo materiale radioattivo o un congegno nucleare, ovvero utilizzato o danneggiato un impianto nucleare in modo tale da rilasciare materiale radioattivo, e ciò anche allo scopo di costringere una persona fisica o giuridica, un’organizzazione internazionale o uno Stato a compiere o astenersi dal compiere un atto.
Una pena da tre a otto anni era prevista, poi, per chi avesse richiesto un congegno nucleare o un impianto nucleare mediante minaccia, se compiuta in presenza di circostanze di fatto che ne avvaloravano la credibilità, ovvero mediante violenza. Le stesse pene erano previste nell’ipotesi in cui la condotta avesse avuto per oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici.
Come si vede, il provvedimento legislativo recepiva in pieno la definizione di terrorismo nucleare che prevede l’impiego di ordigni nucleari o di sostanze radioattive per il raggiungimento di obiettivi terroristici. Non è detto, però, che un atto di terrorismo nucleare consista in una vera e propria esplosione di un ordigno nucleare. Il semplice impiego di sostanze radioattive per contaminare l’atmosfera o le risorse idriche può costituire atto terroristico.
Tali sostanze provocano, infatti, danni devastanti. Esse emettono radiazioni che distruggono le singole cellule. Particolarmente vulnerabili sono le cellule del midollo osseo. La loro morte scatena tutta una serie di effetti, tra cui emorragie e crollo delle difese immunitarie. A differenza delle armi chimiche, che si degradano a contatto con l’ossigeno e con l’umidità, il materiale radioattivo può continuare a nuocere per anni.
Anche se in questi ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nella prevenzione del terrorismo nucleare e molti Paesi hanno preso misure efficaci per prevenire furti, sabotaggi, accessi non autorizzati, trasferimenti illegali o altri atti premeditati che coinvolgono materiali nucleari o altro materiale radioattivo, non bisogna abbassare la guardia.
Lo stesso direttore generale dell’Aiea, Yukiya Amano, parlando di prevenzione del terrorismo nucleare ha ammonito i partecipanti alla conferenza di Vienna ad abbandonare ogni forma di autocompiacimento, evitando di cullarsi in una falsa sensazione di sicurezza. La minaccia del terrorismo nucleare è, infatti, sempre reale e il sistema globale di sicurezza va continuamente rafforzato, anche attraverso una solida attività di cooperazione a livello internazionale.
Di qui l’impegno assunto dai 53 Capi di Stato e di Governo, contenuto nella dichiarazione approvata alla conclusione del secondo summit sulla sicurezza nucleare tenutosi a Seoul nel marzo dello scorso anno. Tutti si sono trovati d’accordo sulla necessità di garantire maggiore sicurezza nell’approvvigionamento mondiale di materiale nucleare.
L’Italia, con l’intervento del presidente del Consiglio dell’epoca, Mario Monti, si è distinta nel rappresentare la necessità di favorire le sinergie fra la sicurezza nucleare legata agli atti terroristici e quella relativa agli incidenti negli impianti civili, con l’obiettivo prioritario della protezione della popolazione e dell’ambiente.
In attesa del prossimo vertice olandese del 2014 sul tappeto restano, però, aperte questioni come l’armonizzazione del sistema di sicurezza, il disarmo e la non proliferazione delle armi nucleari. L’idea che gruppi terroristici o addirittura singoli terroristi possano avvalersi di armi nucleari, specialmente quelle molto piccole e leggere progettate «ad hoc» come la bomba atomica da zaino, è diventato un incubo nell’immaginazione collettiva.
Invero, una bomba di questo tipo potrebbe essere costruita con varie sostanze radioattive, come ad esempio il cobalto-60 utilizzato nella radioterapia, e da esplosivi convenzionali.  Il materiale radioattivo disperso dalla detonazione dell’esplosivo sarebbe in grado di causare un fallout nucleare di notevole proporzione. Resta, quindi, grave il rischio di un uso sconsiderato di tale materiale da parte dei gruppi terroristici o criminali.
Nel novembre del 2006 il controspionaggio britannico MI5 ha accertato che terroristi islamici, appartenenti ad Al-Qaeda, avevano elaborato piani per l’impiego di armi nucleari contro la capitale del Regno Unito. Da parte sua, l’agenzia FBI, nel giugno del 2007, ha individuato in Adnan Gulshair el Shukrijumah il leader operativo per lo sviluppo di piani tattici per la detonazione di bombe nucleari, simultaneamente in alcune città degli Stati Uniti. Alcuni analisti ritengono possibile che dei terroristi riescano a impadronirsi di armi nucleari.   

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