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INFORTUNI SUL LAVORO: RESPONSABILITÀ OGGETTIVA DELL’IMPRESA

Il fatto è di quelli che, purtroppo, accadono con una certa frequenza negli ambienti di lavoro. Mentre esegue lavori di manutenzione su un autocarro provvisto di cassone ribaltabile, a causa dell’improvvisa chiusura del cassone un operaio resta schiacciato e muore. Gli accertamenti compiuti dai Carabinieri, dall’Ispettorato del lavoro e dalla Regione dicono che il lavoratore aveva manomesso gli spinotti siti sul carrello e non aveva utilizzato i puntelli di sostegno del cassone durante l’esecuzione dei lavori. Pertanto il procedimento penale per omicidio colposo, avviato dalla Procura della Repubblica di Foggia nei confronti del datore di lavoro, viene archiviato.
Gli eredi della vittima - la moglie e i due figli - non si danno però per vinti e citano in giudizio l’impresa davanti al Tribunale civile di Foggia per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a causa della morte del loro congiunto. La società resiste, affermando che l’incidente è solo da iscriversi alla colpa esclusiva del lavoratore; ma il Tribunale è di avviso contrario, e attribuisce la responsabilità dell’incidente al datore di lavoro, condannandolo al pagamento di una cospicua somma di denaro a titolo di risarcimento a favore dei congiunti della vittima.
Il provvedimento viene confermato dalla Corte di Appello di Bari e successivamente dalla Corte di Cassazione. La quale, nella sentenza del 25 febbraio 2008 numero 4.718, ha stabilito che configura una responsabilità anche oggettiva del datore di lavoro l’inosservanza delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro contenute nel decreto del presidente della Repubblica del 27 aprile 1955 numero 547, coordinate con i principi generali enunciati dall’articolo 2.087 del Codice civile. In base a quest’ultimo l’imprenditore è tenuto ad adottare, nell’esercizio dell’impresa, le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Grava pertanto sull’impresa, e non sui lavoratori o sui terzi danneggiati, il rischio inerente all’eventuale pericolosità dei macchinari di cui questa si avvale per l’esercizio della propria attività e nel proprio interesse.
Solo la responsabilità oggettiva, infatti, garantisce una certa efficacia dissuasiva dell’uso di mezzi o di attrezzature pericolose, in quanto fa gravare i costi degli incidenti sull’impresa che tali mezzi usa, anziché sui lavoratori o sui terzi danneggiati. Al riguardo va ricordato che già nella sentenza n. 7.010 del 1994 la Corte aveva avuto modo di distinguere le misure previste dall’articolo 82 del citato decreto, riguardanti il blocco assoluto delle macchine durante le operazioni di pulizia, manutenzione e simili, dalle misure protettive prescritte dall’articolo 68 dello stesso decreto, in base alle quali gli organi delle macchine e le relative zone di operazioni, quando possono costituire un pericolo per i lavoratori, devono, per quanto possibile, essere protetti o segregati, oppure provvisti di dispositivi di sicurezza. La finalità di quest’ultima disposizione, richiamata nella sentenza 4.718 del 2008, è quella di imporre all’imprenditore l’adozione di macchine industriali nelle quali la presenza di ripari o di dispositivi di sicurezza renda materialmente impossibile al lavoratore inserire le mani nelle parti mobili del macchinario in funzione, seppure per imprudenza, disattenzione o temerarietà.
Nel caso di specie si è accertato che l’automezzo non era dotato di alcun dispositivo di sicurezza, né di alcun mezzo idoneo ad impedirne il ribaltamento; che tali non si potevano considerare i puntelli, i quali non costituiscono di per sé soli un adeguato sistema di sicurezza; che accanto alla vittima erano stati trovati dei pezzi di semiasse, per cui non si poteva escludere che il puntello posto a sostegno del ribaltabile si sia spezzato in due, provocando la caduta del cassone; che non vi era prova che il lavoratore infortunato avesse posto mano ai lavori di manutenzione di sua iniziativa e senza averne ricevuto l’incarico dal datore di lavoro.
Ma, soprattutto, non vi era prova che il datore di lavoro avesse impartito al dipendente l’espresso divieto di provvedere di persona ai lavori di manutenzione del cassone; di averlo istruito circa le modalità con cui provvedere a detti lavori; di avergli illustrato i pericoli insiti nel lavorare sotto il cassone rialzato, rendendolo edotto della mancanza di mezzi tecnici idonei a garantire il fermo assoluto della macchina, come prescritto dall’articolo 4 del citato decreto secondo il quale il datore di lavoro deve rendere edotti i lavoratori dei rischi specifici cui sono esposti, e portare a loro conoscenza le norme essenziali di prevenzione degli infortuni sul lavoro, disponendo ed esigendo che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza e usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione.
D’altra parte, se è vero che i mezzi tecnici dell’epoca non consentivano di garantire l’adozione delle misure di sicurezza previste dalla legge, particolarmente accurate avrebbero dovute essere le disposizioni del datore di lavoro circa il divieto per il dipendente di intraprendere quella determinata attività di manutenzione, o le istruzioni impartite al fine di renderlo edotto dei rischi cui era esposto e dei mezzi per evitarli.

 

di Antonio Marini

 

Tags: lavoro datori di lavoro lavoratori sicurezza Antonio Marini Giugno 2008

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