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RISPARMIATORI, IMPRESE E STATO, I DANNEGGIATI DALLE «TRAPPOLE» BANCARIE

a cura di Romano Pizzuti

 

Il recente insediamento del nuovo presidente dell’Associazione Bancaria Italiana offre l’occasione per affrontare alcuni problemi, cercando di proporre modifiche indispensabili del comportamento delle banche e delle finanziarie italiane che negli ultimi anni, come si usa dire, ne hanno combinato di «cotte e di crude». Prendendo a riferimento gli ultimi dieci anni, è possibile costruire un museo degli orrori che difficilmente trova pari.

I crack finanziari dei primi anni 2000 - Parmalat, Cirio, Argentina ed altri 15-20 simili - sono costati ai piccoli risparmiatori oltre 30 miliardi di euro. Un danno non solo per i singoli, ma per l’intera economia nazionale visto che un importo così ingente, che corrisponde ad oltre due punti di prodotto interno, poteva essere convogliato, se solo si fosse voluto, in maniera economicamente più utile per il Paese e per i singoli.

Non passarono neppure tre anni e cominciarono i problemi con i «derivati» finanziari; privati cittadini, piccole imprese, enti locali furono ingannati con prodotti costruiti in modo tale da apportare un vantaggio solo a chi li collocava. Su tali strumenti finanziari ancora oggi stanno lavorando i Tribunali, ma nel frattempo essi hanno fatto indebitare molti Comuni fino al 2040, con danno diretto per i cittadini-contribuenti sui quali peseranno tutte le perdite provocate da amministratori inetti e da banchieri molto furbi.

Altri tre anni, e a gabbare i cittadini ha pensato lo stesso Stato che, con una sola legge, ha deciso di incassare i saldi dei rapporti bancari non utilizzati, delle polizze di assicurazioni, degli assegni, con il cosiddetto Fondo Depositi Dormienti, promettendo di rimborsare i piccoli risparmiatori che erano stati coinvolti nei crack finanziari. Ad oggi, solo di fronte a forti pressioni dei risparmiatori è in corso di restituzione parte delle cosiddette polizze dormienti, mentre non è possibile recuperare i saldi, girati al Ministero dell’Economia, di depositi, conti correnti e assegni, in quanto tale dicastero a 4 anni di distanza non ha ancora emanato il regolamento attuativo. Nello stesso modo il rimborso (molto parziale) ai risparmiatori coinvolti nei crack finanziari non è avvenuto, in quanto i fondi sono stati dirottati verso altre destinazioni, dalla ricerca al finanziamento dei contratti di lavoro.

Altri miliardi di euro persi dai piccoli investitori derivano dalla crisi internazionale, ma sarebbe sbagliato dare la colpa solo ed esclusivamente ai mutui sub prime americani o agli stessi emittenti di titoli «tossici». Il problema che si presenta, nonostante le leggi, è la vendita dei prodotti. Quanti risparmiatori sapevano e sanno che nella polizza vita o nel fondo che gli è stato venduto sono incorporati titoli Lehman, o islandesi, o AIG, o chi sa quanti altri, se nel prospetto informativo in prima pagina c’è scritto che il capitale dell’investimento è interamente garantito, e solo nell’interno viene precisato che la garanzia è offerta dalla società emittente e non della compagnia italiana che ha collocato il prodotto?

Da ultimo, il caso delle obbligazioni bancarie, su cui è dovuta intervenire anche l’autorità di vigilanza, la Consob, e pure con scarso successo. Le obbligazioni bancarie sono il mezzo di raccolta di risparmio da anni più usato dalle banche. I problemi si pongono, come sempre, a causa dell’asimmetria informativa che sussiste in fase di acquisto. E infatti l’acquisto da parte del risparmiatore spesso è solo «formalmente» volontario.

Il prodotto viene venduto come il migliore possibile in quel momento sul mercato, come il più sicuro, come quello utile per ottenere, magari, anche un affidamento. Il cliente si fida della propria banca, oppure ha bisogno di un affidamento e sottoscrive i titoli che poi resteranno in banca quale garanzia dell’apertura di credito. I «guai» cominciano se si cerca di vendere le obbligazioni (solo in minima parte quotate in borsa) prima della scadenza: infatti, trattandosi di titoli illiquidi, non hanno mercato e quindi il prezzo lo stabilisce la banca. La conseguenza è una perdita certa rispetto al valore dell’acquisto.

Questi pochi casi, ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo, dimostrano come il comportamento del sistema bancario abbia danneggiato cittadini, imprese e lo stesso Stato. Cittadini abituati a integrare il proprio stipendio o pensione con il rendimento sul risparmio investito. Nessuno lo mette in conto, ma può capitare che il rendimento scenda fino a zero, che svariate decine di miliardi di euro «prendano il volo» riducendo il reddito di quei cittadini il più delle volte ignari del rischio che stanno correndo.

Questo non deve avvenire in un Paese civile. Il sistema bancario ha danneggiato le imprese, soprattutto quelle piccole che, pur di sopravvivere, nei momenti di difficoltà accettano ogni proposta che la loro banca propone, senza sapere che spesso il sollievo momentaneo rischia di trasformarsi in una sofferenza futura, con danni, anche a causa della crisi economica, difficilmente sanabili. Ha danneggiato lo Stato, non solo per quanto successo a causa dei derivati, ma perché il risparmio è stato indirizzato verso investimenti pericolosi o quanto meno non produttivi; se i controlli su tutte le imprese incorse in fallimento avessero funzionato, si sarebbe potuto verificare che le aziende si stavano indebitando per importi due e più volte superiori al loro patrimonio, non per investire, ma per consolidare i debiti precedenti, o per far sì che le banche - che senza nessuna remora avevano finanziato gli imprenditori più che i progetti di impresa - rientrassero delle loro esposizioni. Solo con una parte delle centinaia di miliardi di euro investiti in obbligazioni bancarie si sarebbero potute finanziarie nuove infrastrutture o completare molte già cominciate, senza contare quante imprese medie e piccole ed esercizi commerciali sarebbero ancora in attività.

Se dalla finanza si passa al credito, sembra impossibile ma le cose peggiorano. Per comprendere le scorrettezze poste in essere dal sistema bancario basta ricordare gli interventi che l’organo di vigilanza, che ha comunque molte colpe da farsi perdonare, ha dovuto compiere negli anni: da interventi di grande spessore sui controlli, sull’organizzazione, sul rispetto delle regole, sulla conformità dei comportamenti, sulla professionalità e sull’onorabilità del management delle banche, sulla redazione dei bilanci, a quelli che sono di portata anche piccola ma incidono in maniera profonda e toccano le tasche di imprese e cittadini.
Sarebbe sufficiente verificare l’aumento delle spese e delle commissioni a carico della clientela negli ultimi anni solo per decidere di non ricorrere più a una banca per tutta la vita. Riempiono di carta che non serve a nulla, non avvertono che basterebbe usare Internet per evitare i costi postali; per chiudere un conto corrente aspettano che sia scaduto il trimestre, così ci guadagnano due volte. Ma il colmo è la commissione che fanno pagare per sostituire la carta bancomat o la carta di credito. Cioè se al cliente viene rubata la carta di credito che viene usano in maniera fraudolenta prelevando centinaia o migliaia di euro dal suo conto, la banca non solo pone mille difficoltà per riaccreditargli (qualche volta) quanto gli è stato sottratto facendo spesso sentire il malcapitato un cretino o un mentitore, ma per rilasciare un duplicato della carta stessa pretende una commissione di 5 o 10 euro. Un comportamento ridicolo.

Questo è ancora poco. Chiunque abbia chiesto un prestito in banca, un mutuo, un credito al consumo, un leasing o altro, si è chiesto perché debba pagare tassi di interesse tanto elevati. È la domanda che si fanno tutti. Il tasso fissato dalla Banca Centrale Europea è dell’uno per cento da mesi, e da anni è molto basso; il tasso Euribor è sotto l’uno per cento, ma ciononostante un prestito non costa, mediamente, meno dell’8 per cento con punte oltre il 15, e per il credito rateale oltre il 20 per cento.

Perché insieme a quel prestito le banche fanno sottoscrivere una polizza assicurativa, facendola credere obbligatoria, anche se non lo è affatto? Perché obbligano ad aprire un nuovo conto corrente anche se non è affatto obbligatorio? Perché al primo ritardato pagamento inoltrano subito la segnalazione che non è stata saldata la rata, lasciando la registrazione nel circuito bancario almeno per alcuni anni, quando la normativa prevede che bisogna attendere almeno 60 giorni? Perché offrono sempre un prestito a tasso fisso quando conviene stipularlo a tasso variabile o il contrario? Ovviamente la colpa è sempre del cliente che vuole risparmiare, e mai della banca che non ha spiegato la convenienza e i rischi nello scegliere un tipo di tasso rispetto a un altro.

Perché per un debito anche piccolo le banche, invece di chiedere le giuste garanzie, ne chiedono per tre, quattro e più volte il valore del prestito concesso? Quante volte è capitato di interi patrimoni immobiliari forniti a garanzia di prestiti anche di importi non elevatissimi? Garanzie che, come visto, sono i titoli della stessa banca che ne ricava un doppio guadagno.

Il peggio però è avvenuto con la commissione di massimo scoperto. Si tratta di una spesa che trimestralmente si riconosce sul picco più alto trimestrale di un’apertura di credito in conto corrente. Una commissione su cui da sempre i correntisti hanno avuto molto da dire per il suo importo molto elevato, aggiunto agli altri costi da pagare, al tasso di interesse e alle spese di contabilizzazione.

Alla commissione di massimo scoperto si sono opposti anche studiosi e gli stessi organi di vigilanza, ritenendola un costo molto discutibile. Alla fine sono intervenuti la Banca d’Italia e il legislatore, prima prevedendo alcune limitazioni nella sua applicazione, poi fissando anche una percentuale massima applicabile, infine prevedendo una diversa commissione, quella maggiormente usata in campo internazionale, basata sull’ammontare del credito concesso.

Le nostre banche hanno saputo realizzare un guadagno anche da una norma che doveva invece ridurre i loro introiti. Prima, anche se non tutte, hanno duplicato la commissione applicando sia quella di massimo scoperto sia quella di impiego. Una volta scoperte, hanno adottato commissioni di impiego estremamente elevate, tanto che l’Autorità Antistrust è più volte intervenuta affermando che, nel migliore dei casi, i costi non sono diminuiti, ma sono rimasti invariati.

Il massimo è stato realizzato nei casi di superamento del fido concesso. I costi sono enormi, arrivando in alcuni casi anche a 5-8 euro al giorno. Per cui uno scoperto extrafido di 100 euro per 10 giorni può costare anche 80 euro, ovviamente da aggiungere agli interessi, alla commissione di impiego e a tutte le altre spese legate alla tenuta di un conto corrente affidato. Altre banche hanno adottato un tasso di interesse più alto per i cosiddetti extrafido e allo sfortunato cliente l’hanno applicato a tutto lo scoperto e non solo alla parte eccedente il fido. Tali comportamenti, secondo l’Antitrust, hanno portato a costi anche 30 volte superiori a quelli del passato.

È utile ricordare che situazioni di extrafido si possono creare anche per piccoli errori: è sufficiente prelevare un giorno prima della disponibilità dei fondi, ricevere o versare una somma il giorno dopo quello previsto e tanti altri casi. Queste operazioni, cui spesso non si fa nemmeno caso, possono costare molti soldi. Ma situazioni di extrafido avvengono anche perché sono proposte dagli stessi addetti bancari. Una scelta totalmente da condannare, perché basata solo sulla possibilità di avere maggiori introiti.

Basterebbe che venisse elevato lo scoperto, anche solo temporaneamente, per evitare che tante piccole e medie imprese siano costrette a pagare oneri finanziari assurdi a danno della stessa attività. Peraltro, se la banca consente operazioni anche oltre il fido concesso - magari con qualche assegno in garanzia chiuso in cassaforte -, significa che ritiene il cliente meritevole di credito e quindi in grado di ottenere un affidamento maggiore di quello concesso.

Un comportamento che non ha alcuna giustificazione, tanto che da mesi la stessa Autorità di vigilanza del settore si è trovata sconfitta, da ritenere necessario un nuovo intervento del legislatore che imponga un comportamento diverso, con certezza dei costi e, si aggiunge, che elimini la possibilità di interpretare la norma a danno della clientela. In questa tragica situazione in cui è sempre la banca ad avere il coltello dalla parte del manico, provvedimenti significativi sono stati adottati dall’Antitrust. Provvedimenti per costi concordati o troppo elevati, per mancanza di concorrenza, per pubblicità ingannevole, per restrizione della concorrenza.

I risultati sono stati sempre molto scarsi. Da un lato tutte, o quasi le sanzioni comminate sono state successivamente annullate dal Tar; dall’altro le sanzioni, per quanto aumentate nel tempo, se non commisurate al fatturato della banca condannata non avranno nessun potere reale, in quanto si è in presenza di un crudo calcolo economico: le conviene essere sanzionata fino a quando il suo guadagno sarà superiore alla sanzione subita. Il rischio di sanzioni molto elevate o di chiusura dell’attività avrebbe un potere deterrente molto maggiore.

Infine, per arrivare alla crisi attuale, le banche invece di compiere operazioni anticicliche finanziando l’economia, sostenendo consumi e imprese che hanno difficoltà enormi a restare aperte, hanno chiuso i rubinetti riducendo il credito erogato soprattutto alle imprese e a piccoli esercizi commerciali, che hanno difficoltà enorme a rimanere aperti, come dimostrano i cimiteri di negozi chiusi in tutte le strade cittadine. La conseguenza, che si sposa con la crisi anche delle grandi imprese, è la riduzione dei consumi, la permanenza della crisi e il rinvio della ripresa economica.

È troppo facile sostenere che il sistema bancario ha reagito meglio degli altri alla crisi economica, che ne è uscito sostanzialmente senza grandi problemi e, si può aggiungere, lasciando tutti i manager sul ponte di comando, come se nulla fosse accaduto. È più difficile o impossibile dire che tutto è stato reso possibile grazie alla tenuta dei cittadini che, anche nei momenti più difficili, non si sono mai fatti prendere dal panico, anzi hanno seguitato a risparmiare e, nello stesso tempo, hanno dovuto subire i costi loro imposti dalle banche senza avere alcuna possibilità di difesa.

Tags: banche ABI Associazione bancaria italiana Settembre 2010

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