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Romano Bartoloni: le confessioni di un settantottino

Romano Bartoloni

Le generazioni dai capelli bianchi hanno conquistato la longevità, il più ambito traguardo di tutti i tempi, ne hanno scoperto i segreti nella voglia di fare e di distinguersi, opponendosi agli attacchi dei rottamatori. Rivendicano pari dignità con i giovani, rifioriscono nell’entusiasmo di esistere, si cimentano con gagliardia per restare sulla cresta dell’onda, all’occasione sanno resettarsi. Si sentono una razza a parte di longevi, e rifiutano le corrose etichette di vecchi, anziani, terziari o quaternari per ragioni di età. I «vegliardi» italiani sono fieri di essere in testa alle classifiche mondiali per longevità. Tengono duro anche se il fisiologico conflitto generazionale è diventato negli attuali tempi grami lotta di classe. Mio figlio mi incolpa per la mia parte. Nostro strenuo paladino è papa Francesco. Nel rovescio della medaglia il tu per tu con il dramma e lo scandalo dell’Alzheimer e gli Amarcord contro la damnatio memoriae.

Romano Bartoloni giornalista professionista da oltre 50 anni; presidente del Sindacato cronisti romani. Dopo aver lavorato per diversi lustri nelle redazioni di quotidiani e agenzie di stampa - da il Giorno all’Agenzia Italia, al Popolo di cui è stato vicedirettore, oggi commenta e scrive sui fenomeni del mondo della comunicazione e sulla Roma di oggi e di ieri. Autore ed editore di varie pubblicazioni, fra le quali la Guida all’universo comunicazione, Cento anni di cronaca a Roma, 60 anni di cronache di Roma, devolve i propri diritti all’associazione «Alzheimer anziano fragile» onlus.

«QUALCHE CHICCA» dal suo libro «Confessioni di un Settantottino - Panchinari mai», disponibile nelle librerie e in quelle online Bompiani, Feltrinelli, IBS. «I pensionati pagano 66 miliardi di tasse l’anno, benché ingiuste ed illegittime, e che andrebbero messe nel conto per la quadratura in attivo del sistema previdenziale. L’Italia è l’unico Paese nel mondo che non offre né sconti sulle tasse, né altri benefici di carattere sociale. Se il carovita e un fisco cinico ed esoso ammazzano le pensioni, non resta che andare ad abitare all’estero (complessivamente per 6 mesi all’anno) in uno dei tanti Paesi che non ti spellano vivo. In 500 mila sono fuggiti dall’Italia in 5 anni. I pensionati sono veri e propri ammortizzatori sociali. Contribuiscono con 6 miliardi di euro l’anno per mantenere figli e nipoti. Le famiglie risparmiano 24 miliardi di euro all’anno grazie all’aiuto dei nonni baby-sitter. Coraggio, avanti c’è posto! Questo e altre ghiottonerie si trovano nel mio libro dedicato agli adulti maturi e longevi»

Lo Stato dilapida i soldi dei pensionati
Gli italiani della terza e quarta età hanno subito un attacco senza precedenti al loro potere di acquisto: pensioni ridotte al lumicino (meno 30 per cento), drastico calo dei consumi, perequazione solo per i poveracci, spese vitali più costose, boom delle tasse, e in più la scure della spending review sulla sanità e sui livelli essenziali dell’assistenza. L’ingiusta quanto illegittima abolizione dell’indicizzazione al costo della vita colpisce pensioni medio-basse e strema 6 milioni di anziani già salassati nel corso degli anni. Il blocco degli scatti è costato ben 40 euro al mese nel 2012 per ogni pensionato, spillando mediamente 1.135 euro in un biennio.
Tasse e tariffe, in aumento senza freni, hanno infierito duro anche nel 2013 per una spesa media totale di 2.064 euro a testa, il 20 per cento in più rispetto al 2012. La favola degli anziani sperperatori delle casse dello Stato è sbugiardata dalla quadratura dei conti (contabilità disponibile del 2012), perché le entrate contributive di ben 190,4 miliardi coprirebbero in larga misura i costi previdenziali, 211,1 miliardi se una buona parte della spesa non si disperdesse nei mille rivoli dell’ombrello sociale, in altri Paesi a carico della fiscalità generale. Pesano sull’Inps 83 miliardi di spesa assistenziale in perenne crescita, l’inglobamento delle perdite stratosferiche dell’assorbita Inpdap (23 miliardi) senza contare che, via via, dovranno caricarsi altri enti previdenziali in bancarotta.
Così finisce che il welfare ammazza il sistema pensionistico, che raggiunge l’astronomica spesa totale di 294 miliardi, devastando le casse dell’Inps. Peraltro, lo Stato spendaccione recupera sulla pelle dei pensionati (l’unica categoria che paga fino all’ultimo spicciolo) ben 66,35 miliardi di tasse. Che, sommati alle contribuzioni, supererebbero con tanto di surplus megamiliardario la spesa pensionistica. L’Italia, inoltre, è la Nazione meno ospitale dell’Occidente per i pensionati che altrove godono di sconti fiscali e benefici sociali di ogni favore. Il «dalli all’untore» costa caro prezzo. Per ammissione dello stesso Inps, il pensionato nostrano è il più tartassato rispetto ai coetanei di altri Paesi occidentali, perché da noi, e solo da noi, lo si tassa due volte, prima sul lavoro e poi sui soldi risparmiati (le contribuzioni). La scure fiscale si abbatte in spregio dei princìpi costituzionali sulla tutela del risparmio (la pensione è un risparmio accumulato tutelato dall’articolo 47 della Costituzione e dalla sentenza della Corte costituzionale del 2004 sulla parità di trattamento fra pensioni e redditi di lavoro.
Nel Paese della Grande Evasione, solo i pensionati, anche i meno abbienti, pagano le tasse fino all’ultima lira.

Fuga dei capelli bianchi
Dall’Italia fuggono i cervelloni senza prospettive in casa propria, i capitali dei ricconi menefreghisti ed emigrano persino i pensionati in cerca di dove trascorrere meglio i residui anni concessi dal Padreterno. I senior del mondo contemporaneo scappano, volano via, emigrano verso il sole e climi migliori, lontani dal carovita, con in tasca qualche quattrino da spendere a proprio capriccio, tanti anni davanti e sogni ancora da realizzare. E perché no? Con il desiderio di rimettersi in gioco, di provare innanzitutto a se stessi di essere in buona forma fisica e mentale. Si calcola che, negli ultimi 5 anni, si siano trasferiti all’estero almeno 400 mila nostri anziani. Il problema della vecchiaia ridotta in povertà sta diventando un’emergenza sociale. Si dice e si ripete che tasse e costo della vita ammazzano le pensioni.
Chi non vuole finire sul lastrico ed è padrone del proprio destino, si rifugia all’estero, cerca patria nei tanti Paesi in cui la leva del fisco è più leggera. La Grecia, la Spagna e il Portogallo con offerte di detassazione stracciata guidano la classifica europea dei paradisi fiscali con le carte in regola.
Come è possibile fuggire dal nostro inferno per conquistare un posto al sole nei paradisi (dove non ti chiedono un centesimo) o anche nei purgatori fiscali, per risparmiare sulle tasse? È più facile di quanto si possa immaginare, la svolta fiscale non richiede il coraggio di recidere completamente le radici con i propri cari, le proprie abitudini, la propria terra. Se si rimane in territorio straniero più di sei mesi, esattamente 183 giorni, il gioco è fatto. Ci si può iscrivere nei registri dell’Aire, l’anagrafe degli italiani residenti all’estero. L’iscrizione è accettata dal consolato della capitale del Paese prescelto. Una volta con le carte in regola, l’Inps o altro ente previdenziale non ha più titolo per effettuare le trattenute, e deve accreditarti l’intera pensione direttamente in una banca estera. Non è necessario inseguire i paradisi fiscali, perché in tante Nazioni, anche in Europa, la mano dello Stato è meno pesante. Se si vuol restare nel vecchio Continente, porte spalancate persino nei Paesi vicini che corteggiano, riveriscono, non affossano i pensionati. Se ti trasferisci in mondi a reciprocità fiscale con l’Italia, riconquisterai il tuo potere d’acquisto, non pagando più le tasse in Italia bensì nel Paese che ti ospita senza torchiarti. Sei poi hai il coraggio di andare più lontano, magari nei Paesi esotici degli altri continenti, ti assicurerai una vita da signore.

C’è anche giannelli
Appartenente ad una famiglia di autentici e illustri giornalisti, Romano Bartoloni ha riservato ai lettore del suo ultimo libro anche un’altra sorpresa: il disegno di copertina appositamente risevatogli da Emilio Giannelli, il vignettista principe del Corriere della Sera.

Tags: Giugno 2015 sindacato Romano Bartoloni giornalisti

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