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Paolo Righi: investire in immobili? perché, se non si vede alcun vantaggio?

Paolo Righi, presidente nazionale della Federazione Italiana Agenti Immobiliari Professionali

di ANNA MARIA PESENTI

Si è concluso lo scorso ottobre, con la conferma di Paolo Righi alla carica di presidente, il 13esimo Congresso nazionale della FIAIP, Federazione Italiana degli Agenti Immobiliari Professionali. Nato a Carpi in provincia di Modena dove risiede, Righi svolge dal 1990 l’attività di agente immobiliare ed è presidente nazionale dal 2009. Molti gli incarichi da lui ricoperti nell’ambito della FIAIP, principale organizzazione rappresentativa di professionisti, imprese e agenzie di intermediazione e di servizi immobiliari, Righi è componente del Comitato tecnico scientifico di Tecnoborsa, società consortile del sistema delle Camere di Commercio italiane; è coordinatore della Consulta nazionale dell’intermediazione immobiliare e vicepresidente di Mediaconsum. Ha sempre svolto attività politico-sindacale a sostegno della categoria degli agenti immobiliari e dei mediatori e consulenti del credito; negli ultimi anni si è occupato, oltreché della riforma della professione, di antiriciclaggio, liberalizzazioni, sviluppo economico, credito al consumo, lotta all’abusivismo, edilizia, piccole e medie imprese, studi di settore e fiscalità immobiliare.
Domanda. Cosa intende fare la Federazione per rendere gli agenti immobiliari sempre di più protagonisti e per rispondere alle esigenze di crescita e di sviluppo economico del territorio?
Risposta. Nel recente Congresso abbiamo ribadito la centralità della nostra professione soprattutto in questo momento in cui, per le difficoltà del mercato, difficilmente si incontrano domanda e offerta, con rilevanti divaricazioni di prezzo. Un agente immobiliare formato e professionale può favorire l’incontro delle parti anche nella fase della perizia estimativa. Oggi il mercato è molto variegato, vi si affacciano proprietari di vari tipi: chi vende per necessità, chi vende per migliorare il proprio stato abitativo; l’agente immobiliare deve saper guidare il cliente nell’attuale giungla di leggi. La normazione sulla casa è impressionante, c’è bisogno di professionisti che uniscano la capacità commerciale alla conoscenza delle norme e del diritto; che facciano da collante tra le varie parti del mercato che vedrà sempre più in campo anche lo Stato, con le dismissioni del patrimonio per abbattere il debito pubblico. La FIAIP cerca di elevare la professione a un livello più alto di quello attuale.
D. Cosa è emerso dal Congresso?
R. Sono stato confermato nella carica su un progetto preciso: portare gli agenti immobiliari verso la professione intellettuale senza nessuna volontà ordinistica. L’Europa oggi rifugge da Ordini ed Albi, però c’è bisogno di requisiti particolari che, per gli agenti immobiliari, non possono più consistere nei normali criteri di accesso. Oggi ogni investimento viene compiuto se c’è la certezza di stabilità normativa. Negli ultimi tre anni si sono allontanati dal mercato immobiliare molti possibili acquirenti, perché dal Governo Monti in poi la casa è stata vista come un bancomat da cui prelevare i fondi per risanare i conti pubblici. Nell’ultima legge, definita «di stabilità», i nomi delle tasse si sprecano, ogni anno se ne cambia il nome; chi governa non riesce a dare un indirizzo, ad elaborare un piano per il settore immobiliare. Tutte le attività e le aziende hanno bisogno di una strategia a medio e lungo periodo, invece si vive alla giornata, senza dare stabilità ai mercati e soprattutto a quello immobiliare.
D. Che cosa dimostra questo continuo ricorso alle tasse?
R. Rispecchia l’incapacità della politica di dare un indirizzo al popolo che aspetta di capire come investire i propri risparmi. Se avessero studiato una strategia per distruggere il mercato immobiliare, non avrebbero saputo fare di meglio. La mancanza di certezze allontana gli investitori, si assiste ad una pressione fiscale altissima che rende inutili gli investimenti in quanto non danno un ritorno economico. I nostri clienti - cittadini, istituzioni, investitori -, non riescono a immaginare quale vantaggio possono ottenere dai loro investimenti. Incertezza e pressione fiscale hanno allontanato dal mhousisssssercato buona parte dei possibili investitori. In Italia l’80 per cento delle famiglie è proprietario di case, in Germania solo il 40 per cento, per cui la ricetta tedesca nel settore immobiliare non può essere uguale a quella italiana.
D. Quale sistema vige in Germania?
R. Le agenzie immobiliari tedesche indicano nella pubblicità non solo il prezzo degli immobili in vendita, ma anche il loro reddito; questo è reso possibile da decenni di stabilità delle leggi. In gran parte d’Europa gli immobiliaristi detengono buona parte del patrimonio. In Svizzera i fondi immobiliari sono proprietari di quasi tutto il patrimonio. I cittadini italiani sono proprietari sia del 60 per cento delle abitazioni sia, attraverso l’acquisto dei Bot, del 50 per cento del debito pubblico; con tale ricchezza garantiamo il debito pubblico contratto con l’estero. Quindi, nonostante il forte aumento della pressione fiscale, il settore immobiliare in questi ultimi due anni ha salvato l’Italia. Si tratta di un settore strategico che, però, non può essere trasferito nei paradisi fiscali perché l’immobile non può essere nascosto: ecco perché ci troviamo in queste condizioni, e lo Stato non riesce a trovare un sistema per ridurre il debito pubblico.
D. Quali sono le vostre proposte per il rilancio di questo settore?
R. Nel gennaio scorso abbiamo avanzato undici proposte, accolte in alcune parti nel cosiddetto «decreto Lupi». In esse, per esempio, si favoriva l’accesso al credito tramite la Cassa Depositi e Prestiti. In base a un protocollo tra questa e l’ABI che rappresenta le banche, una parte dei mutui da erogare potranno essere garantiti da tale Cassa; quindi lo Stato scende in campo per favorire l’acquisto di abitazioni da parte di giovani coppie e famiglie. Ma la nostra proposta principale prevede di ridurre notevolmente il debito pubblico con il ricavato della vendita dei beni dello Stato, cioè di un patrimonio immobiliare che non rende nulla perché è nelle mani di persone che non riescono a gestirlo e a farlo fruttare.
D. Può fare qualche esempio?
R. A Bologna lo Stato ha messo all’asta per ben 8 volte una caserma senza prima aver né valorizzato l’area né ottenuto il cambiamento di destinazione d’uso. Chi è quel pazzo che compra una caserma? L’unico acquirente potrebbe essere uno Stato straniero che tenti di invadere l’Italia. La FIAIP sostiene la ricerca di una più proficua politica della cessione delle aree demaniali balneari: una politica che stabilizzi le concessioni incentiverebbe gli investimenti e quindi un maggiore  sviluppo delle coste, e apporterebbe alle casse dello Stato miliardi di euro, favorendo nello stesso tempo il turismo. A questa proposta sono contrari buona parte dei politici, perché perderebbero il potere che oggi hanno nel rilascio delle concessioni. Una buona parte della classe politica vede, nella riduzione del debito pubblico e della spesa corrente, una perdita di potere e di capacità di attrarre voti e consensi.
D. Quali sono le altre proposte?
R. Lo Stato riduca la spesa pubblica; abbiamo una pressione fiscale insostenibile su famiglie, aziende e settore immobiliare, stiamo esaurendo la capacità di pagare tasse. Con l’abolizione dell’Imu sulla prima casa, la legge di stabilità prevede di ridurre di 4 miliardi di euro le entrate, ma il Governo non è riuscito a trovare somme sufficienti per coprire questa lacuna. La spesa pubblica complessiva tocca ormai gli 880 miliardi, non si comprende perché non si riesca a trovare 25 miliardi per un rilancio del Paese.
D. In che modo la Federazione tutelerà la professione dell’agente immobiliare, garantirà servizi competitivi, consentirà agli associati di incrementare l’attività, assisterà le imprese del comparto?
R. Oltre a tutelare la categoria e a farci parte attiva delle rappresentanze politiche, insieme ad altre associazioni come l’Ance e la Confedilizia con cui collaboriamo in modo costruttivo, già da un anno abbiamo avviato un’attività rivolta a reperire opportunità di lavoro per i nostri associati. Siamo l’unica associazione in Italia che stipula convenzioni con gli istituti di credito per risolvere contenziosi bancari; aiutiamo i nostri associati ad assumere incarichi di vendita di immobili, e assistiamo il sistema bancario istituzionale nella vendita di particolari tipi. Abbiamo una rete di agenzie di oltre 15 mila unità e abbiamo creato un sistema di interscambio per cui un immobile affidato al singolo agente della FIAIP può essere venduto da ognuno degli agenti associati. Oggi è difficilissimo operare, bisogna massimizzare il profitto aziendale, per cui fare rete è l’unico modo per un’azienda o per un professionista per salvarsi da una pressione fiscale così alta. Stiamo incrementando il lavoro degli associati anche attraverso la partecipazione alle aste immobiliari.
D. Come si spiega l’esistenza di un milione 200 mila abitazioni invendute?
R. Il nostro Paese ha smesso di progettare nell’edilizia negli anni 60, alla fine del Piano Fanfani, quando si costruirono case popolari. Da allora si è guardato alla casa in maniera ideologica, parlando esclusivamente di emergenza abitativa. Oggi l’housing sociale e il comparto dell’edilizia agevolata devono cambiare modalità, le Amministrazioni Pubbliche devono avere un rapporto molto più stretto con l’operatore privato, e devono trasferire all’edilizia agevolata gli immobili costruiti ma invenduti. Però edilizia non significa solo costruire, ma anche rimodernare le città, riqualificare l’esistente, abbattere le costruzioni non più idonee,  costruirne altre dotate dell’efficienza energetica prescritta.
D. Sono d’accordo i costruttori?
R. Certamente. Non si possono costruire milioni di case, quelle esistenti bastano, occorre riqualificarle, aumentarne il valore, dotarle di nuove tecnologie, imparare un modo nuovo di vivere la casa. Le nuove costruzioni devono servire dove ve n’è bisogno, ma la riqualificazione dei centri storici è necessaria perché da due o tre decenni assistiamo al loro svuotamento. Restaurare un appartamento in un centro storico è più costoso che acquistarne uno nuovo in periferia. Purtroppo non sono stati concessi incentivi per indurre la gente a rimanervi.
D. La crisi del settore immobiliare è fenomeno omogeneo geograficamente?
R. Tendenzialmente la crisi è uniforme, ma vi sono alcune nicchie: le abitazioni di lusso hanno acquirenti anche tra gli stranieri. Per le altre abitazioni la crisi è omogenea e le difficoltà delle piccole imprese artigiane hanno creato più problemi nel ricco Nord-Est che nel Sud.
D. Cosa chiedete al Governo attuale?
R. Nei 4 anni della mia presidenza si sono succeduti tre Governi e si è verificata la crisi più pesante per l’economia. Abbiamo dovuto combattere sempre con l’emergenza, anche sul recepimento della direttiva Bolkestein che imponeva al Governo italiano di liberalizzare la professione, in modo che chiunque potesse fare l’agente immobiliare. Siamo riusciti ad ottenere un decreto che ha rafforzato il nostro ruolo e la trasparenza sul mercato. Abbiamo cercato, inutilmente, di far comprendere che l’immobiliare non è un bancomat; il Governo Letta sembra aver compreso che questo settore può far ripartire il Paese. Come FIAIP auspichiamo un abbassamento consistente delle tasse sugli immobili e ci auguriamo una riscrittura complessiva della riforma sull’imposizione immobiliare.
D. E i rapporti con la Pubblica Amministrazione?
R. La Burocrazia e le mille commissioni stanno ingessando il Paese. Bisogna ridare fiato all’economia anche abolendo centri di potere come Regioni e Province, in cui si replicano le competenze e si ostacolano i piani strategici del Paese. La riforma del Titolo V della Costituzione ha aumentato la spesa pubblica. È necessario ridurre il personale politico e i centri di potere e di costo, ma per fare questo occorre un Governo forte. Quello di oggi non è riuscito a contenere la spesa pubblica.
D. Quali sono i suoi obiettivi?
R. Sono convinto che, senza rinunciare agli obiettivi primari, le associazioni di categoria debbano far pesare di più le loro esigenze. Un nostro obiettivo è internazionalizzare il mercato, valorizzare all’estero il patrimonio immobiliare perché, a causa dell’incertezza e della scarsa  conoscenza delle leggi italiane, molti investitori si allontanano. In febbraio andremo a Miami a proporre immobili italiani agli americani. Uno straniero che viene in Italia e compra una casa fa vivere la città, fa la spesa, paga le tasse, crea attività indotte e benessere per tutti.
D. Basterebbe eliminare realmente gli intralci burocratici che ritardano e talvolta impediscono l’attività edilizia?
R. Non capiamo perché con i bravi ingegneri e architetti che vi sono, in Italia non si riesca ad autocertificare l’inizio di una serie di attività, ma si finisce in pasto alla burocrazia. Vorremmo professionisti che sfuggissero alle autorizzazioni comunali. Sono riforme a costo zero che avvantaggerebbero l’economia. Invece siamo in mano ad una burocrazia creata anni fa dalla vecchia politica e mantenuta dalla nuova. Ma la vecchia politica era più autorevole e sapeva gestire la burocrazia, i politici attuali son meno autorevoli, hanno preso il sopravvento i burocrati.
D. Perché l’italiano continua a voler investire nella casa e non in gioielli?
R. Storicamente il settore immobiliare è stato più redditizio. Per investire in opere d’arte occorre un grado di cultura, quindi non è un investimento di massa; il diamante e altri generi sono anch’essi un mercato di nicchia del quale è essenziale conoscere determinati meccanismi.
D. Le punte massime e minime del mercato immobiliare negli ultimi anni?
R. La punta massima si è avuta nel 2006 quando in Italia vi furono 860 mila transazioni. L’anno scorso si è toccato il picco più nero con 430 mila compravendite. Quest’anno c’è stata una leggera risalita, 440 mila. In 5 o 6 anni si sono dimezzate. Ed anche le entrate fiscali dello Stato si sono ridotte a metà.
D. Le case nei centri storici e nelle periferie hanno avuto prezzi analoghi?
R. Dal 2006 nei centri storici non sono calate di valore perché il livello è sempre lo stesso, ma si sono allungati i tempi di vendita, ci sono meno compratori disposti a investire. Per le zone buone di periferia, gli immobili hanno avuto un calo del 25-30 per cento. In Italia non c’è stata una bolla immobiliare, il nostro è un mercato maturo, i prezzi sono stati sempre abbastanza coerenti, riteniamo che il loro riposizionamento degli ultimi 5 o 6 anni sia il punto massimo di caduta.
D. La situazione dei mutui?
R. Tra il 2006 e il  2008 le banche avevano concesso molti mutui sulle case,  poi c’è stato un drastico blocco. Adesso stanno lentamente riprendendo le concessioni, ma sta anche notevolmente aumentando il contenzioso per i mutui concessi in passato e i cui pagamenti rateali sono stati ritardati o ostacolati dalle difficoltà finanziarie sorte con la crisi economica tuttora in atto.   

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