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ANTONIO REBUZZI: DAGLI STILI DI VITA PIÙ RISCHI PER LA SALUTE

«In Italia ogni anno oltre 120 mila persone sono colpite da infarto. Di queste, ne muoiono subito circa 500 fra gli uomini e 320 fra le donne. E nel 2017 i colpiti saranno 240 mila». Cifre allarmanti che il professore Antonio Rebuzzi, direttore dell’unità del dolore toracico e del servizio di cardiologia del Policlinico Gemelli di Roma, fornisce sulla base delle ultime stime della Società italiana di prevenzione cardiovascolare. «In Italia le malattie cardiovascolari sono la prima causa di mortalità, superando di gran lunga tutte le altre, tumori compresi. Tra le regioni italiane la più colpita è la Campania. Probabilmente ciò è dovuto al maggiore stress cui è soggetta la popolazione, legato al precariato, alla carenza di lavoro e all’ambiente sociale delle città», sottolinea il professor Rebuzzi.
Domanda. In Europa quali sono i Paesi più a rischio?
Risposta. Anche in Europa queste patologie sono in cima alle cause di morte, ma negli ultimi anni la situazione è cambiata: il numero dei decessi, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è salito drammaticamente nei Paesi centrorientali, ed è diminuito in quelle del nord, del sud e dell’ovest. Il fenomeno è legato ai diversi stili di vita. Ogni anno le malattie cardiovascolari uccidono nel nostro continente più di 4 milioni 300 mila persone. Le principali forme di queste patologie sono le malattie cardiache coronariche e l’ictus.
D. Quali sono i costi economici delle malattie cardiache?
R. Ogni infarto costa al sistema sanitario nazionale italiano non meno di 3-4 mila euro. In un anno la spesa si aggira sui 3 miliardi e mezzo. In Europa, secondo dati non aggiornatissimi, le cifre complessive sono impressionanti. In un anno le malattie cardiovascolari sono costate circa 190 miliardi di euro, dovuti per il 57 per cento, pari a 110 miliardi, ai costi sanitari, per il 21 per cento alla produttività persa e per il 22, pari a 82 miliardi, alle cure informali.
D. Quali sono le principali e più rischiose malattie cardiache?
R. Prima di tutto l’infarto. Nei Paesi occidentali si sta assistendo ad un aumento delle malattie cardiovascolari ischemiche, appunto come infarti e angina, e a una diminuzione netta di quelle valvolari e infettive, anche se questo trend sta cambiando con l’arrivo degli extracomunitari che, invece, presentano malattie valvolari come la stenosi mitralica e quella aortica. Nella popolazione italiana, invece, l’infarto domina proprio a causa del disordinato regime alimentare e dello stile di vita, spesso stressante, che mettono a dura prova le coronarie.
D. Quali interventi vengono compiuti per queste differenti patologie?
R. Sono vari, secondo le diverse malattie. Sicuramente per l’infarto e l’angina sono quelli volti a ridurre i fattori di rischio. Diciamo subito che i modi di intervenire, come è ovvio, sono cambiati negli anni, anche radicalmente. Quando mi sono laureato nel 1974 la cura principale, per chi era colpito da infarto, era l’assoluto riposo a letto per un mese e più. Oggi, invece, grazie ad uno studio italiano che si chiama «Gissi», si è visto che esistevano farmaci in grado di sciogliere il trombo che ostruisce un’arteria e provoca l’infarto perché impedisce di portare il sangue al cuore. Fu dimostrato dai ricercatori italiani che un farmaco, la streptochinasi, riusciva a sciogliere il trombo che ostruiva l’arteria e a ripristinare la regolarità della circolazione sanguigna.
D. Come mai allora si verificano morti improvvise per infarto addirittura in sala operatoria, come è accaduto a più di un chirurgo mentre eseguiva l’intervento su un paziente? Perché non hanno somministrato subito il farmaco miracoloso?
R. Nelle prime fasi dell’infarto intervengono una serie di aritmie, battiti fuori tempo del cuore, che possono essere anche molto violente tanto da provocare l’arresto cardiaco impedendo qualsiasi soccorso. Oggi, per fronteggiare questo gravissimo aspetto dell’infarto, si sta sviluppando in tutte le città una rete di defibrillatori per favorire il più rapido intervento sui pazienti colpiti da aritmie cardiache. Dopo lo studio Gissi si sono compiuti altri progressi.
D. Quali, in particolare?
R. Si è dimostrato che il farmaco scioglieva il trombo in poco meno del 60 per cento dei soggetti colpiti da infarto mentre in oltre il 40 per cento dei casi la coronaria rimaneva chiusa. Per cui si è sviluppata un’altra tecnica che si chiama angioplastica primaria e che consiste, in pratica, nel portare con un catetere un palloncino dentro l’arteria e nel gonfiarlo: in tal modo nella coronaria torna a scorrere il sangue. L’intervento ha successo nell’85 per cento dei casi. E la mortalità, che in fase acuta prima era del 30 per cento, ora si è ridotta al 6 per cento.
D. Quali sono i principali fattori del rischio di infarto?
R. Sono quelli che portano alla formazione della placca che ostruisce le arterie. Quindi, direi anzitutto malattie genetiche come il diabete, l’ipercolesterolemia, l’aumento dell’LDL colesterolo, cioè del colesterolo cattivo, l’ipertensione, il tipo di vita. Si impone quindi una prevenzione primaria per chi non ha avuto una patologia cardiovascolare ma potrebbe andarvi incontro, e una prevenzione secondaria per chi invece già è stato colpito da infarto. Chi ha il diabete deve evitare l’innalzamento dei valori glicemici, chi ha l’ipercolesterolemia deve evitare i cibi grassi, le carni rosse, i formaggi soprattutto quelli stagionati, il sale che costituisce un fattore di rischio grave.
D. Quali sono i valori che occorre rispettare per la glicemia e per il colesterolo?
R. Diciamo che, per la glicemia, quello che importa è che vi sia l’emoglobina glicata, ossia che il livello di glucosio nel sangue durante le varie fasi della giornata non superi il 6,5 per cento. Per il colesterolo è essenziale invece distinguere tra pazienti con altri fattori di rischio e pazienti senza questi fattori. Per quest’ultimi diciamo che il livello dell’LDL colesterolo non deve superare i 130 milligrammi per decilitro di sangue, mentre per coloro che hanno altri problemi, come diabete e ipertensione, questi valori non devono superare i 100 milligrammi, e secondo alcuni scienziati devono addirittura essere sotto i 70 milligrammi per decilitro. Il colesterolo totale deve essere, invece, al di sotto dei 200 milligrammi in persone sia sane che malate. Ma attenzione, chi ha il diabete è come una persona che ha già avuto un infarto.
D. Quanto sono pericolosi altri fattori di rischio, come il fumo e l’uso di droghe, in particolare la cocaina?
R. Il fumo di sigaretta rappresenta sicuramente un alto rischio, come fattore scatenante però più del tumore polmonare che direttamente dell’infarto. Chi fuma riduce la capacità dei polmoni di pompare il sangue, e ciò contribuisce notevolmente ad affaticare il cuore. Altro problema è la cocaina. Il suo effetto consiste nel provocare una vasocostrizione molto energica ed immediata. Questo stupefacente si «sniffa», per cui la forte vasocostrizione da esso provocata conduce la necrosi delle cellule nasali. Per le coronarie, invece, la vasocostrizione prolungata può portare anche all’infarto. Due sono, in sintesi, i possibili effetti: o la vasocostrizione di un grosso vaso, che porta all’infarto, o tante microcostrizioni che provocano microinfarti che, sommandosi nel tempo, portano allo scompenso cardiaco. Occorre riflettere bene su questo dato: trent’anni fa era molto raro, in pronto soccorso, intervenire su persone giovani colpite da infarto; oggi invece è sempre più frequente soccorrere uomini e donne con meno di 40 anni colpiti da patologie cardiache spesso dovute all’assunzione di cocaina.
D. Quali sono i sintomi cui prestare particolare attenzione, rappresentando veri campanelli d’allarme ?
R. L’affanno e la tachicardia per sforzi modesti che potrebbero essere un segnale di scompenso, i dolori al centro del petto, segno di stenosi coronarica. Ma vediamo in particolare che cos’è lo scompenso cardiaco. È l’affaticamento del cuore che non ce la fa a pompare la necessaria quantità di sangue. Quindi senso di affaticamento, difficoltà a salire le scale, a recuperare energia dopo uno sforzo, in quanto si va subito in debito d’ossigeno. Oppure non riuscire a dormire sdraiati ma avere bisogno del supporto di più cuscini per stare sollevati. E infine il gonfiore delle caviglie, altro segnale dello scompenso. Perché accade questo? Può essere presente una malattia valvolare, oppure può esservi stato un infarto e quindi una parte del cuore non contrae più in maniera valida inviando meno sangue in circolo. La tachicardia è una conseguenza dello scompenso, è la risposta del cuore, che accelera i battiti per aumentare il pompaggio del sangue. Esistono vari tipi di tachicardia dovuta ad altre cause: ad esempio al malfunzionamento del sistema elettrico del cuore, oppure ad ischemie cardiache.
D. Veniamo all’infarto. Come ci si può accorgere che sta arrivando?
R. A parte quello fulminante per il quale non c’è nulla da fare, uno dei sintomi canonici è costituito da un forte dolore al centro del petto. Attenzione, al centro, non a sinistra come molti erroneamente credono, soprattutto le donne quando avvertono dolore sotto il seno. È un dolore oppressivo, una morsa che stringe il petto dietro lo sterno, con estensione dei sintomi dolorosi al collo, al braccio sinistro, alla schiena. Negli infarti della parte inferiore del cuore, si può avere una sintomatologia anomala, cioè l’infarto può presentarsi come un mal di stomaco. Ecco perché nei pronto soccorso degli ospedali si può sbagliare la diagnosi nel 30 per cento dei casi, non comprendendo che si tratta di infarto anziché di una semplice indigestione. E i pazienti in molti casi, purtroppo, muoiono. Così come può accadere ai diabetici che, per la particolarità della loro malattia, non sentono il dolore e non avvertono, pertanto, segnali di allarme.
D. Quali controlli occorre fare per attuare un minimo di prevenzione?
R. Per gli uomini dopo i 40 anni, e per le donne dalla menopausa in poi, è indispensabile sottoporsi ad un elettrocardiogramma ogni anno per verificare se esistono aritmie o sofferenze ischemiche. Se poi si pratica dello sport, allora occorre sottoporsi ad elettrocardiogramma sotto sforzo, proprio perché si chiede al cuore di lavorare di più, per cui occorre verificare la capacità di farlo senza danni. Troppe sono le persone che decidono di diventare atleti non avendone più il fisico; e che, senza alcun esame preventivo, affrontano impegni che ne danneggiano il cuore, per cui trovano la morte su un campo da tennis o in sella a una bicicletta.
D. La prevenzione è concepita come fenomeno di massa?
R. La prevenzione è un fatto culturale. Diciamo che è più diffusa tra le classi medio-alte rispetto a quelle meno abbienti o povere. Questo è da imputare ovviamente alle maggiori difficoltà che incontrano i meno abbienti per prenotare visite e controlli nelle unità sanitarie, dove esiste il problema delle liste d’attesa. Chi non ha questi problemi finanziari, può rivolgersi a studi privati.
D. Dopo una grave malattia cardiaca o un intervento al cuore, quali comportamenti si devono adottare nelle abitudini alimentari e fisiche?
R. Dal punto di vista alimentare occorre tenere presente che è il cuore a lavorare per compiere la digestione, quindi se si consuma un pasto abbondante si affaticherà maggiormente l’organo cardiaco. È preferibile pertanto consumare piccoli e frequenti pasti durante l’arco della giornata; evitare le carni grasse e tutti i latticini e gli insaccati; limitare in misura massiccia l’uso del sale; mangiare prodotti freschi e non inscatolati perché quelli contenuti nelle lattine sono tutti conservati nel sale. Niente formaggi perché contengono grassi. Io consiglio solo lo stracchino. I superalcolici vanno assolutamente evitati. Si può invece bere un bicchiere di vino rosso a pasto. E veniamo al cosiddetto «paradosso francese». In base al consumo dei loro formaggi veramente molto grassi, i francesi dovrebbero registrare un numero di infarti molto superiore a quello reale. Una delle spiegazioni fornite a questo fenomeno è che nei pasti bevono di solito vino rosso che, consumato in modica quantità, sembra svolgere una funzione protettiva delle arterie. Quanto all’attività fisica di un post-infartuato, a differenza del passato quando lo si costringeva a letto per un mese, essa va sicuramente svolta. Ovviamente dovrà essere graduale e senza sforzi improvvisi: una passeggiata di cinque chilometri sì, i «cento metri» no. Ed è vietato sollevare pesi o compiere altre attività del genere.
D. E per quanto riguarda l’attività sessuale?
R. Ovviamente si può praticare, tenendo però presente che lo sforzo richiesto è pari a una camminata di cinque chilometri a passo svelto. Ognuno di noi ha un proprio bioritmo e su quello dobbiamo basarci. Il cuore è sottoposto ad impegni diversi durante l’arco della giornata, con varie punte di affaticamento. Ora si è visto che infarto ed angina insorgono nelle prime ore del giorno. Dunque, se devono compiersi degli sforzi, è molto meglio farli di pomeriggio o sera.
D. Quali sono i centri migliori per la cura delle malattie cardiache?
R. Ne esistono molti. La maggior concentrazione è nel nord, soprattutto a Milano, ma anche nel sud vi sono ottime strutture, ad esempio a Catania e Napoli; Roma pure dispone di centri di eccellenza. Inoltre ogni regione ha un proprio centro-trapianti, ma in realtà in 7 o 8 di essi non è stato mai compiuto un trapianto. Si assiste ad uno spreco di risorse e di competenze. Sarebbe preferibile averne meno, ma farli lavorare di più, realizzando economie di scala, nuove esperienze e maggiori professionalità. Nel 2009, secondo gli ultimi dati del Ministero della Salute, vi sono stati 285 trapianti e la Lombardia è in testa, con 83. La richiesta è di circa 700 interventi, la lista di attesa è di 2-3 anni.
D. Quali novità in questo campo nel Policlinico Gemelli di Roma, dove lei opera?
R. Non eseguiamo trapianti perché a Roma l’unico centro trapianti è quello dell’ospedale San Camillo. Per le malattie cardiache il settore più sviluppato è quello degli interventi sul sistema coronarico e su quello elettrico cardiaco, cioè nei vari tipi di aritmie. Si sono fatti progressi nell’angioplastica e nella sostituzione dell’aorta per via percutanea e passi avanti si avranno presto con l’uso di nuovi materiali. Parlo dei cosiddetti «stent», una sorta di guaine metalliche che avvolgono il «palloncino» quando viene introdotto all’interno dell’arteria occlusa. Presto avremo stent riassorbibili, quindi più fisiologici. Abbiamo migliorato la stessa tecnica di intervento per le angioplastiche, ora inseriamo il catetere non più attraverso la gamba ma nel braccio, con evidenti benefici per la mobilità del paziente.

Tags: Novembre 2011 medici

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