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PAOLO REBOANI: COME RIUNIRE CONCRETAMENTE «ITALIA» E «LAVORO» IN UN PROGETTO

Paolo Reboani Italia Lavoro

Italia Lavoro è una società per azioni, totalmente partecipata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze. Opera, per legge, come ente strumentale del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per la promozione e la gestione di azioni nel campo delle politiche del lavoro, dell’occupazione e dell’inclusione sociale. Paolo Reboani ne è presidente e amministratore delegato: romano, classe 1965, già consigliere economico e capo della segreteria tecnica del ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, vanta una lunga esperienza nazionale e internazionale nel campo delle politiche del lavoro ed è autore di numerosi saggi, tra i quali «La società attiva. Manifesto per nuove sicurezze», scritto nel 2004 con Maurizio Sacconi e Michele Tiraboschi. Inoltre, è stato membro del comitato di redazione di numerose riviste, come «Diritto delle relazioni industriali» e «Il diritto del mercato del lavoro». Dopo la laurea in Economia e Commercio alla Sapienza di Roma, si è specializzato in relazioni industriali alla London School of Economics e ha svolto attività didattica nelle stesse università, oltre che a Tor Vergata e alla Luiss. Come ricercatore, ha poi collaborato con numerosi istituti, tra cui l’Isae e l’Istat, e organismi europei.

Tra gli incarichi ricoperti da Reboani, quello di consigliere del Cnel dal 2005; è stato anche consulente del ministero del Commercio internazionale e Politiche europee e del ministero degli Affari esteri, oltre che della presidenza del Consiglio dei ministri in particolare per i temi del mercato del lavoro, della previdenza e della politica industriale, e membro del Comitato europeo per l’occupazione a Bruxelles, con funzione anche di vicepresidente. È stato componente del nucleo di monitoraggio per il piano di azione nazionale per l’occupazione e della commissione per la verifica del protocollo del 23 luglio 1993. Al ministero del Lavoro, inoltre, si è occupato di politiche dello sviluppo, politica dei redditi e relazioni industriali, del processo di integrazione comunitaria, di questioni internazionali con l’incarico tra l’altro di preparare le riunioni G7 e G8 e i comitati dell’Ocse.

Domanda. A che punto è la crisi e come sta il mercato del lavoro italiano?

Risposta. I dati diffusi dall’Istat sull’occupazione ormai con cadenza mensile mostrano che il mercato del lavoro sta risentendo della difficile congiuntura economica italiana. Né ci consola il fatto che la crisi economica investe tutta l’Europa, Germania compresa. La recessione prevista per il 2012 e la lenta uscita dalla crisi nel 2013 non ci inducono a troppo ottimismo anche se dovremmo riuscire a contenere la crescita del tasso di disoccupazione. E questo grazie ad una strategia iniziata nel 2008, oggi condivisa a livello mondiale, che ha avuto come obiettivo primario quello di proteggere il reddito delle famiglie, garantendo il legame con le aziende. Si è salvaguardata così la coesione sociale dell’Italia. La temperatura del mercato del lavoro si misura, però, anche in base al tasso di occupazione, e questo evidenzia una situazione strutturale di forte debolezza, in particolare per giovani, donne e anche, seppure in misura più contenuta, per lavoratori over 55. Per l’Italia oggi l’emergenza più grave è la difficoltà di trovare occupazione e non la precarietà, un termine che non mi piace e che non aiuta a comprendere i veri problemi del mercato del lavoro. Per questo sono necessari interventi urgenti che creino nuova propensione ad assumere nelle imprese.

D. Quali sono gli elementi che contribuiscono a creare in Italia un’emergenza giovani dal punto di vista lavorativo?

R. Principalmente due: troppo lunghi i periodi di transizione dalla scuola, o comunque dall’istruzione, al mondo del lavoro, e un forte disallineamento tra competenze acquisite a scuola e all’università e reali fabbisogni delle imprese. I dati Excelsior non fanno che ribadire periodicamente questo fenomeno, evidenziando che di fronte a forte richiesta di determinate figure professionali, la risposta è pressoché nulla, perché i profili richiesti non vengono formati ovvero perché si è poco disposti alla mobilità nel mercato del lavoro. Vi è quindi l’obbligo di intervenire in questa situazione creando una passerella più agevole tra istruzione e mondo del lavoro e di responsabilizzare i giovani a cercare lavoro in più direzioni.

D. Il confronto tra Governo e parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro, è considerato elemento essenziale per la ripresa del Paese; nel suo ambito si sta discutendo di ammortizzatori sociali. Intanto, come ha reagito il nostro sistema di tutele alla crisi economica di questi anni?

R. Il nostro sistema di ammortizzatori sociali ha retto bene alla crisi, consentendo di proteggere in maniera efficace il reddito dei lavoratori a rischio di espulsione dai processi produttivi. Questo ha permesso, insieme a una serie di provvedimenti adottati in questi anni, di salvare centinaia di migliaia di posti e di evitare l’interruzione definitiva del rapporto di lavoro. Grazie alla maggiore spesa per ammortizzatori, dovuta soprattutto alla diffusione delle cosiddette casse in deroga, è stato possibile allargare la platea dei beneficiari tra i lavoratori ma anche tra le imprese, sia pure in maniera non strutturale. Direi quindi che complessivamente le strategie attuate negli ultimi tre anni attraverso gli ammortizzatori sociali per rendere meno pesanti gli effetti della crisi nel mercato del lavoro hanno avuto una «piena efficacia»: a questo punto però è necessario sostenere politiche non più «difensive» ma «offensive» per favorire l’ingresso dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro.

D. In che modo?

R. Intanto è necessario riorientare le politiche del lavoro spostando il baricentro dagli interventi di protezione a quelli di riattivazione delle persone e di dinamicizzazione del mercato del lavoro, rendendo universali le politiche per il reimpiego e non più destinate solo a specifiche categorie. Questo è il principio generale. È indispensabile, poi, intervenire ad ampio spettro su tutti gli aspetti, da quelli contrattuali a quelli regolamentari, fiscali, contributivi. E, soprattutto, attuare e sfruttare appieno gli strumenti per la creazione di occupazione che l’Italia ha già a propria disposizione: credito d’imposta per le assunzioni di giovani e donne, contratto d’inserimento, apprendistato, e più in generale - come sembrano indicare le previsioni per il prossimo triennio sull’andamento del mercato del lavoro e, soprattutto, le migliori esperienze internazionali - politiche fondate sul sostegno al reddito ma anche su formazione, orientamento, responsabilità della persona. In sostanza, politiche attive di nuova generazione. È quello che ci raccomandano l’Unione Europea e l’OCSE e gli esempi che ci vengono dalle best practices europee più efficaci.

D. Se queste sono le linee di fondo generali, quali sono gli interventi più significativi che Italia Lavoro sta realizzando?

R. Anzitutto è bene ricordare che Italia Lavoro è l’agenzia tecnica del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e quindi orienta le proprie azioni in coerenza con le priorità che assume il Ministero. In questa fase direi che operiamo su tre assi principali: il reimpiego dei lavoratori a rischio di perdita di posto di lavoro, attraverso l’azione di sistema «Welfare to Work»; la transizione scuola-università-lavoro con il programma Fixo; l’inserimento nel mercato del lavoro dei giovani mediante la diffusione del contratto di apprendistato e la valorizzazione del lavoro manuale/artigianale nell’ambito del programma nazionale AMVA. In sostanza, le tre politiche principali per aumentare l’occupabilità delle persone e il tasso di occupazione del Paese. È per questo che riteniamo fondamentale il rapporto tra Stato e Regioni, per le quali svolgiamo con sempre maggiore frequenza il ruolo di assistenza tecnica nella definizione di politiche per il lavoro coerenti con quelle adottate a livello nazionale. A queste si affianca il ruolo sempre più importante di agenzia per l’inserimento lavorativo degli immigrati.

D. Di cosa si tratta, nel dettaglio?

R. «Welfare to work» è il programma destinato alla ricollocazione dei lavoratori percettori di sostegni al reddito, in particolare ammortizzatori in deroga, che Italia Lavoro realizza in funzione di assistenza tecnica a 18 Regioni, e che ha consentito di sviluppare e consolidare servizi e politiche di reimpiego basate sul ricorso all’ammortizzatore sociale come sostegno non solo al reddito ma soprattutto alla riattivazione della persona. Ad oggi possiamo dire che il 97 per cento dei lavoratori percettori di ammortizzatori sociali in deroga è stato preso in carico dai servizi per il lavoro; che quasi il 50 per cento dei lavoratori presi in carico è stato inserito in un corso formativo d’aula; che quasi il 56 per cento dei lavoratori presi in carico ha ripreso a lavorare nell’azienda di provenienza o ricollocato. Certo, com’è nella tradizione italiana si tratta di numeri ancora limitati ma è essenziale avere innescato processi positivi di reimpiego delle persone. Per quel che riguarda Fixo, si tratta di mettere in collegamento la scuola e l’università con il mondo del lavoro e delle imprese, tarando almeno una parte della formazione sui fabbisogni effettivi delle aziende e creando servizi di placement proprio all’interno delle istituzioni preposte alla formazione dei giovani.

D. Dunque ritiene il tema dell’apprendistato centrale nella discussione sulla riforma del lavoro?

R. Esattamente. Il programma che stiamo realizzando prevede incentivi alle imprese che assumono mediante questa forma contrattuale, e l’individuazione in ciascuna provincia italiana di una bottega, o scuola di mestiere, presso la quale formare i giovani per consentire loro di riscoprire la ricchezza del lavoro artigiano e acquisire competenze in settori ricchi di potenzialità occupazionali. L’apprendistato è il punto di arrivo di un processo di riforma durato alcuni anni e conclusosi con la nuova legge e il relativo accordo con Regioni e parti sociali, e con la misura di decontribuzione della legge di stabilità. Si tratta del canale che deve divenire prevalente per l’accesso dei giovani al mercato del lavoro e sarà utile inserire questo tipo di contratto anche nelle riforme regionali del lavoro. Il programma AMVA comprende politiche di sviluppo delle imprese, politiche per il lavoro e per la formazione e con questa iniziativa Italia Lavoro e il Ministero del Lavoro si pongono l’obiettivo, con un investimento di 120 milioni di euro, di diffondere nelle Regioni e tra le parti sociali l’apprendistato quale strumento per combattere la disoccupazione giovanile.

D. In quali altre forme si può aiutare l’inserimento nel mercato del lavoro, e come migliorare l’efficacia delle politiche attive?

R. Italia Lavoro ha promosso forme di assistenza tecnica sia alle istituzioni territoriali, quali Regioni e Province, sia agli operatori del mercato del lavoro come le agenzie del lavoro e gli enti bilaterali, per realizzare servizi per il lavoro moderni, dinamici e orientati alla persona e ai suoi bisogni. L’obiettivo è quello di creare un efficiente servizio di orientamento, formazione e ricerca di lavoro per coloro che sono in cerca di prima occupazione o per coloro che devono essere ricollocati, incrociando l’offerta e la domanda di lavoro. Per questo è necessaria una virtuosa collaborazione tra pubblico e privato e un aumento dell’efficienza complessiva dei nostri servizi per il lavoro al fine di raggiungere standard di prestazioni di livello europeo.

D. Il dibattito sul mercato del lavoro sembra preludere in qualche modo ad una ipotesi di riforma complessiva del welfare italiano altrettanto necessaria: occupazione femminile, servizi di cura, assistenza alle famiglie. Come si colloca l’azione di Italia Lavoro in un quadro simile?

R. L’Italia ha bisogno di una significativa revisione del sistema di welfare, che in realtà è nell’agenda di quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea. Accanto alla riforma del lavoro essa richiede un’attenzione ai meccanismi che regolano le politiche sociali e l’erogazione dei servizi a famiglie e individui, con un’attenzione maggiore alla persona ma anche ai territori e alle loro peculiarità. Italia Lavoro è impegnata nella costruzione di una rete di sportelli per i cosiddetti «servizi alla persona», che ha alla base il coinvolgimento di diversi soggetti potenzialmente interessati a questo: dai patronati alle agenzie per il lavoro. Parliamo di circa 200 sportelli a disposizione di famiglie che ricercano servizi di cura e personale competente, e di persone - donne, uomini, immigrati - che intendono impiegarsi in questo settore in maniera qualificata. Si tratta di agire anche sulla formazione di quasi 6 mila soggetti su due livelli: un profilo base e un profilo di operatore socio-assistenziale, di fronte a voucher finalizzati all’inserimento lavorativo. Questo avrà una ricaduta concreta sul nostro welfare, con una razionalizzazione, per esempio, della spesa sanitaria e la riduzione delle ospedalizzazioni (con costi generali di conseguenza minori), ma anche sull’azione di contrasto al lavoro sommerso che purtroppo spesso caratterizza il settore dei servizi alla persona.

D. Il personale occupato nei servizi alla persona è per lo più straniero. Lei parlava di agenzia per l’inserimento lavorativo degli immigrati. Cosa vuol dire?

R. Sulla base delle linee di intervento del Ministero del Lavoro, in sinergia con il Ministero degli Interni, Italia Lavoro da diversi anni opera per la costruzione di una rete di servizi al lavoro a livello internazionale, o meglio, nei Paesi con i quali sono stati stipulati accordi bilaterali. Si tratta di una rete di uffici di coordinamento con il compito di raccordare i servizi per il lavoro nei Paesi d’origine con gli operatori pubblici e privati in Italia in modo da gestire il flusso dei lavoratori stranieri. Ciò implica interventi per un ingresso qualificato, una formazione mirata già nei Paesi d’origine e, a questo scopo, la creazione di partenariati tra enti di formazione italiani ed esteri. Un tema importante legato alla questione immigrazione è quello del contrasto al lavoro nero. Su questo siamo intervenuti con il programma Re.La.R. per sostenere gli accordi in materia stipulati nel territorio, in particolare in quelle aree - Campania, Puglia, Sicilia, Calabria - più caratterizzate da questo fenomeno, e nei settori di turismo, edilizia, agricoltura che sono più a rischio. Nello stesso tempo siamo orientati a realizzare politiche attive del lavoro destinate ai lavoratori immigrati, e quindi formazione e inserimento in tirocini finalizzati all’assunzione.

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