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paolo buzzetti: SI CHIAMA EDILIZIA LA MESSA IN MOTO DELLA RIPRESA ECONOMICA

L’ing. Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance, Associazione nazionale dei costruttori edili

Nato a Roma, laureato in Ingegneria Civile idraulica nell’Università Sapienza, Paolo Buzzetti è presidente dell’Ance dal settembre 2006. Amministratore dell’impresa di famiglia Iab spa che opera nel settore delle opere pubbliche e private e del restauro, ha ricoperto numerosi incarichi di prestigio nel sistema associativo dell’Ance, Associazione nazionale dei costruttori edili, a cominciare dalla presidenza del Comitato nazionale dei Giovani imprenditori edili che ha assunto, per primo, dalla nascita del Comitato nazionale e che ha ricoperto dal 1992 al 1995. A questo incarico è seguita, dal 1997 al 2000, la vicepresidenza alle Opere pubbliche dell’Ance nazionale. Dal 1995 al 2001 ha inoltre guidato, in qualità di presidente, l’Acer, Associazione dei costruttori romani. Dal gennaio 2002 al novembre 2005 Buzzetti è stato presidente di Ambiente e Territorio, azienda speciale della Camera di Commercio di Roma, e dal maggio 2002 al maggio 2006 presidente di Tecnocons. Attualmente è membro di Giunta della Camera di Commercio di Roma, del Consiglio generale dell’Unioncamere Lazio e consigliere della Tirreno-Brennero. È stato anche presidente della Federcostruzioni, consigliere di amministrazione dell’Unicredit Banca di Roma, dell’Isveur e dell’Italconsult.
Domanda. Quali sono i contraccolpi della crisi economica sulle costruzioni?
Risposta. Sono drammaticissimi dopo 6-7 anni di rallentamento del settore dell’edilizia. Hanno chiuso decine di migliaia di aziende, sono scomparsi 800 mila posti, cifre impressionanti, gente che ha perduto il lavoro, non solo operai ma anche personale qualificato. Abbiamo previsto che, anche quando l’attività riprenderà, il fenomeno dei «cinquantenni a spasso» avrà un riscontro negativo per la mancata trasmissione nelle aziende del sapere di prima. Dal 2011 ad oggi c’è stata una riduzione di oltre il 60 per cento del credito erogato alle imprese e alle famiglie per acquistare casa. La diminuzione ha superato il 50 per cento nei finanziamenti per opere pubbliche, lo vediamo nella manutenzione del territorio. Si sono chiusi i rubinetti dei lavori pubblici. Con il Patto di Stabilità i Comuni, anche quando dispongono di risorse, non possono pagare le opere. Il dissesto del territorio ha causato vittime anche dove i sindaci avevano i fondi per progetti che di fatto non potevano realizzare.
D. E nel settore privato?
R. Anche in questo si investe di meno, gli imprenditori che avrebbero iniziative, oggi, per le difficoltà di credito e le preoccupazioni per un mercato completamente fermo, non fanno nulla. Sono le conseguenze della crisi e dei provvedimenti adottati. La tassazione sulla casa è diventata un bancomat, una vera imposta patrimoniale disposta quando c’è necessità di fare cassa. Dal 2011 a oggi il gettito complessivo in Italia è salito da 9 miliardi di euro a 26 miliardi; chi ha una seconda casa sembra un ricchissimo possidente, perché è tassata fino al 18 per cento, ed è colpita da Imu, Tasi e dalla confusione che peggiora la situazione. In Francia si può acquistare una casa, affittarla per 8 anni a canone concordato ed usufruire di una detrazione fiscale fino al 20 per cento del valore. Questa formula ha avuto un successo eccezionale, inoltre sono stati incentivati i mutui. Da noi è stata avviata e poi cancellata l’introduzione di un regolamento edilizio unico per tutta l’Italia, che renderebbe trasparenti, chiare ed evidenti le norme. Il risultato è che ogni città ha il proprio, e che da città a città variano le dimensioni minime di un bagno o di una stanza. Ogni Comune è una repubblica a sé.
D. Quali sono gli effetti della Tasi?
R. Con la Tasi i Comuni fanno pagare ai costruttori i servizi anche per le aree edificabili. Ma a un fabbricato da ristrutturare o a capannoni abbandonati quali servizi possono fornire? Inoltre le società proprietarie di immobili da affittare non possono detrarre le spese di manutenzione, consistenti in somme ingenti e in crescita esponenziale in questi tempi. Quindi gli effetti sono finora disastrosi. In tutto il mondo l’edilizia è aiutata perché è il traino per far ripartire il mercato interno, completamente fermo.
D. Che pensa l’Ance delle misure adottate dal Governo Renzi nel settore immobiliare e delle infrastrutture, nominate «Sblocca Italia» e «Piano Italia»?
R. Bisogna distinguere tra grandi riforme e ripresa economica; le prime sono quelle del mercato del lavoro, del costo del lavoro, della Pubblica Amministrazione, le riforme istituzionali che risalgono al 1960, quindi le grandi riforme che la crisi e la globalizzazione ci obbliga a fare, dolorose e complicate. Ma mille giorni per le nostre imprese sono troppi e lo Sblocca Italia è stato un’occasione persa per rilanciare l’edilizia. Per questo ora bisogna puntare sulla Legge di Stabilità.
D. Qual è allora il vero problema?
R. La questione economica, sulla quale pesa l’errore, compiuto da tutti i Governi, di seguire una politica europea che ha perseguito un rigore estremo legato al pareggio di bilancio, politica che è stata inserita anche nella nostra Costituzione. Una delle più grandi illusioni, un rigore fine a stesso. Recentemente si è scoperto che quel 3 per cento di deficit concessoci dalla Commissione europea, rispetto al prodotto interno, è stato inventato da un funzionario francese per rispondere a una domanda del presidente francese di allora, ma in realtà senza una giustificazione. Ciò dimostra che le politiche fin qui seguite dall’Unione Europea sono sbagliate, hanno depresso l’economia, fatto crescere il nostro deficit del 136 per cento, causato un aumento della spesa corrente, una diminuzione degli investimenti in infrastrutture e manutenzione del territorio, un aumento costante delle tasse, mancati pagamenti della Pubblica Amministrazione per lavori eseguiti da imprenditori.
D. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi che cosa fa?
R. Afferma di voler fare le riforme, ma non è un obiettivo di domani mattina, costeranno lacrime e sangue e occorrerà del tempo. Quando vengono applicate, le riforme di per sé rallentano l’economia. Da anni si annunciano semplificazioni con decreti legge che cancellano questo o quello, creando solo una grande confusione. Ritengo che le riforme vadano fatte solo su punti essenziali e con attenzione, ma nel frattempo bisogna far ripartire l’economia, e in questo lo «Sblocca Italia» ha deluso perché l’ammontare delle risorse a disposizione è irrisorio: il 60 per cento dei 3,9 miliardi di euro destinati ad opere pubbliche sarà speso dal 2018, adesso viene speso solo l’11 per cento, per cui ai fini della ripresa non c’è niente. Vogliamo pensare alla Napoli-Bari? Va bene ma non sia spacciata come ripartenza dell’economia. Non sono state finanziate le opere anti-dissesto del territorio, e se nessuno fa nulla i morti vanno considerati vittime di delitti di Stato.
D. Il dissesto non è dovuto alla mancanza di controlli?
R. È dovuto alla mancata manutenzione dei corsi d’acqua. Si sono rotti i meccanismi di controllo, si è persa la catena di comando, tutti si deresponsabilizzano, il meccanismo non funziona, il problema va affrontato al più presto. Le risorse sono insufficienti e non sono destinate alle opere minori di manutenzione.
D. Quanto pesano sul «mattone» incertezze e instabilità politiche?
R. L’instabilità politica pesa moltissimo, ma anche quella normativa. Il Codice dei contratti pubblici continuamente viene rimesso in discussione, le regole sugli appalti stanno per essere ricambiate perché dobbiamo di nuovo recepire la normativa europea, ed anche per i fatti emotivi del Mose veneziano. L’instabilità normativa è drammatica per il settore edilizio. In campo fiscale si assiste alla proliferazione e al cambiamento continuo delle regole. Il motivo è non far capire niente alla gente, non c’è altra spiegazione.
D. Che pensa delle tasse sulla casa?
R. Non si può pensare che, se uno ha avuto una casa in eredità o ha una seconda casa che non affitta per trascorrervi la vacanza, sia così ricco da poter sostenere gli aumenti fiscali; se l’affitta, paga lo stesso le tasse e magari non può mandar più via l’inquilino. L’idea di togliere all’italiano il reddito della casa è disastrosa. Hanno sbagliato le valutazioni macroeconomiche ritenendo che la crisi fosse finita, che si superasse agganciandoci ai mercati internazionali, che gli investitori stranieri tornassero. Come può riprendere un mercato interno di gente spaventata e sfiduciata che reagisce all’aumento delle tasse risparmiando e tenendosi stretto il denaro? Renzi non ha avuto il coraggio di dire all’Europa: «Noi usciamo». Dirlo non è una follia; non abbiamo la bomba atomica, ma abbiamo l’uscita dall’euro.
D. Stiamo vendendo l’Italia?
R. Gruppi economico-finanziari vogliono comprare meglio, quindi per loro, più andiamo peggio, meglio è. I tedeschi ci considerano spreconi come greci, spagnoli e portoghesi, e ritengono di rimetterci a posto adesso o mai più; non si rendono conto che, in attesa di riforme, la situazione è peggiorata e che anche la Germania comincia ad avere qualche difficoltà. E i professori che stanno a Bruxelles non conoscono la realtà di tutti i giorni, sono dei teorici.
D. Lei avrebbe preferito che l’Italia restasse fuori dell’Europa?
R. Giulio Andreotti diceva: «Amo tanto la Germania, che preferisco ne esistano due». Ogni popolo ha le proprie qualità e i propri difetti, ma i tedeschi hanno la tendenza ad imporre la loro egemonia; caduto il Muro di Berlino, non si è fatta un’Europa politica ma monetaria, e siamo finiti in una guerra economica. La soluzione migliore sarebbe restare in Europa, ma fuori dall’euro.
D. Si dice che il «mattone» è un volano per l’economia. A quali condizioni?
R. Siamo in ritardo nelle grandi infrastrutture che però non producono subito occupazione; la rete metropolitana in tutta Italia, sommando tutte le linee, è inferiore a quella parigina; nell’alta velocità eravamo i primi in Europa, ora siamo gli ultimi; tutto il Sud è isolato dal resto del Paese e ha solo il 3 per cento di turisti; il territorio è in preda a frane, smottamenti, esondazioni, alluvioni; c’è un patrimonio vetusto da ristrutturare e l’edilizia, con risorse pubbliche e private, potrebbe dare una spinta al Paese. Però bisogna farla partire.
D. Qual’è la situazione dell’edilizia scolastica, economica e popolare? L’invenduto indica che si è costruito non essendo necessario?
R. La situazione delle scuole è drammatica, 15 mila sono da abbattere e ricostruire, occorrerebbero 5 miliardi di euro, ma l’importante è cominciare. La nostra storia è fatta di improvvisi, grandi programmi dello Stato centrale, ferrovie, strade, centrali elettriche. Oggi basterebbe lanciare un paio di grandi programmi, su scuole e dissesto idrogeologico, invece si continua a parlare. Nell’edilizia economica e popolare non si fanno le nozze con i fichi secchi, gli interventi della Cassa Depositi e Prestiti o dello Stato che ha creato il «fondo dei fondi» non funzionano perché, se si vuole l’«housing sociale» da imprenditori che hanno comprato un terreno e pagato l’urbanizzazione, anche se fossero disposti non possono farlo, a causa dei prezzi e delle remunerazioni troppo tirate. Si sta pensando come utilizzare lo stock di invenduto, ma non sono operazioni semplici. In Italia in alcune opere sprechi e costi sono troppo alti, nella media è tutto tirato. Da dopo Tangentopoli si pagano male le imprese, si praticano ribassi notevoli, non si creano le condizioni per realizzare un vasto programma di edilizia sociale utilizzando anche l’invenduto. Si è fermata molto la domanda. All’inizio della crisi si stava costruendo troppo; l’Ance puntava invece alla riqualificazione del patrimonio esistente, al blocco del consumo del territorio. Occorrono due anni per costruire un fabbricato, e a quello che chiamiamo «invenduto» si è dato inizio dopo il 2011, con prospettive difficili per le vendite a causa dei tagli, delle collocazioni, delle situazioni. Inoltre sono sorte novità nei mutui, nelle norme, con la Tasi, che hanno allontanato gli obiettivi.
D. Cos’altro impedisce di realizzare opere pubbliche, oltre alla burocrazia?
R. Mancano le risorse e le regole sono legate alla burocrazia che le rallenta. Per un’opera occorrono sui 50 milioni di euro e 8 anni tra l’ideazione, i progetti e la realizzazione, ma i progetti arrivano già vecchi, si perde tempo su dove non deve passare l’infrastruttura, poi si pretende di far presto nelle gare e nella realizzazione, e ci si lamenta se le imprese presentano troppi ricorsi. Le risorse sono fondamentali, non bisogna solo farsi prendere dall’Expo, invitare meno ditte alle gare, farle meno regolari. Si devono responsabilizzare politici e amministratori che perdono 2 o 3 anni in chiacchiere.
D. Per un Paese come l’Italia, con rischio sismico e idrogeologico, quanto è importante intervenire sul già costruito?
R. È fondamentale, anche perché le mappe sismiche sono state estese moltissimo. Gli sgravi fiscali consentono di intervenire nelle aree sismiche; sul dissesto idrogeologico si tratta di avviare un programma per le case che cominciano ad avere una certa età essendo state per il 55 per cento costruite tra il 1946 e il 1981, inoltre vi sono quelle del 1900. Dobbiamo imparare ad acquistare case nuove, come per le auto che, se sono d’epoca, devono essere perfettamente restaurate. Non è solo la posizione, la vista o la vicinanza ai mezzi di trasporto da tenere in conto, ma anche la qualità. Occorre un cambio di mentalità. Non lancerei allarmi drammatici, non tutto rischia di cadere domani mattina, ma bisognerà stare attenti anche quando si fanno lavori condominiali.
D. Quali misure sarebbero urgenti per rilanciare il settore?
R. Impegnare risorse nelle opere pubbliche essenziali che danno immediatamente slancio; favorire l’impiego di denaro privato negli interventi di riqualificazione; attribuire alla casa, attraverso le tasse, un valore chiaro; restituire fiducia e tranquillità al cittadino; lasciare fare al mercato. Siamo arrivati ad un momento decisivo in Europa ma, se si continua così, ci si impoverisce; si perde la capacità del piccolo imprenditore, dell’artigiano, della media impresa; veniamo comprati e deindustrializzati. In passato l’Italia è andata bene perché faceva tutto, turismo, moda, industria, artigianato specializzato; se buttiamo a mare questo, resta poco. È un’illusione vivere di solo turismo che, tra l’altro, viene poco valorizzato. Serve un grande salto costituito dalle riforme che richiederanno tempo, e nell’attesa ciò comporterà diminuzione del prodotto interno e grandi sacrifici.
D. Quale consiglio darebbe al presidente Renzi?
R. Di fissare un ordine di riforme definitivo e chiaro, partendo da quella del lavoro, che è la più importante soprattutto dal punto di vista del costo. Anticipare quelle che richiederanno molto tempo; forzare l’Europa. Se il debito pubblico supererà il 3 per cento del prodotto interno, che cosa potranno farci? Io impiegherei un po’ di risorse nelle scuole e nel dissesto e farei chiarezza nella tassa sulla casa. L’Italia ha recepito il «pacchetto clima-energia 20-20-20» dell’Unione Europea in base al quale ogni anno il 3 per cento delle superfici di edifici pubblici deve essere adeguato e risistemato dal punto di vista energetico. Perché non vi hanno inserito subito le scuole e gli ospedali, ma soltanto edifici di proprietà statale? Per di più è stato stanziato un fondo di 308 milioni di euro, che sono del tutto insufficienti.  

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