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ruth evelyn jacoby: svezia, un modello per l’italia, ed anche viceversa

Laureata nell’Università di Uppsala nel 1971 in Economia, in Storia dell’economia e in Filosofia, conosce 5 lingue. ambasciatore di Svezia in Italia, Ruth Evelyn Jacoby è stata anche ambasciatore in Germania e presso la Rappresentanza permanente della Svezia alle Nazioni Uniti. Ha una vastissima esperienza per aver svolto vari incarichi: direttore generale per lo Sviluppo e la Cooperazione internazionale nel Ministero degli Esteri svedese, co-presidente del Comitato preparatorio della Conferenza internazionale sul finanziamento dello sviluppo; direttore capo del Dipartimento per la Cooperazione globale del Ministero degli Esteri e direttore esecutivo per Danimarca, Estonia, Finlandia, Islanda, Lettonia, Lituania, Norvegia e Svezia presso la Banca Mondiale; direttore capo del Segretariato per la Cooperazione con l’Europa centrale e orientale. Inoltre Segretario della Delegazione svedese presso l’Ocse. È stata nominata, dal Segretario generale Kofi Annan, membro del Gruppo di Alto Livello sulla Coerenza del Sistema Onu.
Domanda. Come sono, in generale, i rapporti tra i due Paesi?
Risposta. È molto facile rispondere a questa domanda: sono ottimi. Quando capita di ricevere una visita ufficiale, tutti domandano: «Abbiamo qualche problema bilaterale?». Non ne abbiamo, ma i nostri rapporti potrebbero essere ancora più profondi e intensi. Entrambi i Paesi sono partner dell’Unione Europea, e sono abbastanza d’accordo su molti temi, più di quanto sembri. Poiché la Svezia è un Paese del Nord e l’Italia del Sud Europa, si potrebbe pensare che dovremmo avere idee diverse, invece nella maggior parte dei casi andiamo molto d’accordo e in alcune materie possiamo svolgere una cooperazione abbastanza intensa in ambito europeo. Abbiamo anche una lunga storia «comune»: avevamo rapporti interessanti già nel Medioevo; nel 1600 venne a Roma la nostra regina Cristina; da 300 anni esiste un grande amore degli svedesi per l’Italia; abbiamo avuto il re Gustavo Adolfo VI che si recava più volte all’anno in Italia perché era un archeologo appassionato e in vari musei si trovano reperti da lui scoperti. Sono fatti che tutti gli svedesi conoscono, esiste più affinità di quanto si creda. Abbiamo anche altre aree di interesse comune e di amicizia, per fare un esempio nei settori creativi, nella moda, nel cinema, nella musica operistica e lirica. Quindi l’affinità è anche culturale.
D. In campo culturale i due Paesi hanno dato molto sotto vari aspetti. Ma con visioni e aspetti diversi?
R. Anche con visioni abbastanza simili nel tempo. Nell’era attuale esistono altri temi, come la moda, il design. In quest’ultimo campo la Svezia è all’avanguardia, come Milano lo è per la moda.
D. Oltre che per la moda, non c’è stato un risveglio in Svezia anche nel settore alimentare?
R. Certamente. Il cibo italiano è stato sempre conosciuto nel mondo. Ma ora l’interesse per tale campo si è diffuso in Svezia sia per la nostra storia culinaria, sia per l’apertura ai fenomeni continentali.
D. Perché la Svezia non parteciperà all’Expo 2015 che si svolgerà a Milano, e nel cui ambito un notevole risalto sarà dato al cibo e all’alimentazione?
R. La risposta è molto franca e diretta. Il Governo ritiene che la decisione deve essere presa dalle aziende esportatrici svedesi, le quali però non hanno ritenuto la partecipazione abbastanza interessante dal punto di vista economico e finanziario. Le risorse finanziarie sono limitate, partecipare all’Expo costa molto. Non è una decisione politica né ideologica. A noi però il settore dell’alimentazione interessa molto. Per esempio contribuiamo alla sostenibilità dei Paesi in via di sviluppo donando loro l’uno per cento del nostro prodotto interno. Dal 1976 abbiamo superato lo 0,7 per cento in aiuto dello sviluppo, e da oltre 20 anni siamo intorno all’uno per cento.
D. In quali altri settori esistono rapporti bilaterali?
R. L’Italia è il decimo Paese europeo per l’esportazione svedese. L’export e l’import più o meno si equivalgono, e i settori tradizionali dell’esportazione svedese come l’acciaio, la meccanica, la carta rimangono notevoli. Dall’Italia importiamo macchinari industriali e manifatturieri. Questi sono gli scambi commerciali tradizionali, che durano da oltre 50 anni. Però le novità, in entrambe le direzioni, sono il design, la moda, ma soprattutto i prodotti agroalimentari dall’Italia alla Svezia.
D. Quindi nel design e nella moda si potrebbe collaborare di più?
R. Sì, ma potenzialmente anche negli altri settori. Quando parlo con gli imprenditori svedesi e italiani, trovo che esistono molte possibilità per gli scambi, anche perché le economie sono diverse ma si assomigliano, e c’è da imparare molto l’uno dall’altro.
D. Oltre all’Ericsson, in Italia la multinazionale svedese più grande è l’Ikea?
R. Sì. Per l’Ikea l’Italia è fondamentale, perché è il terzo fornitore globale dopo la Cina e la Polonia. È opportuno conoscere questo dato perché, quando si parla dell’Ikea, spesso si pensa che essa inglobi tanti piccoli negozi facendoli scomparire. Questo potrebbe costituire un problema, ma si verifica anche il contrario: sono tanti i piccoli negozi che l’Ikea ha aiutato a risollevarsi, anche per quanto riguarda il mantenimento dei posti di lavoro. L’Ikea è un buon esempio di come una grande azienda agisca nel mercato italiano in una duplice veste, sia come venditore sia come acquirente.
D. Quali sono le altre imprese svedesi di rilievo per l’Italia?
R. Le tradizionali sono per esempio Ericsson, Alfa Laval, Electrolux, Volvo, Atlas Copco. Poi alcune startup, come Spotify, una ditta molto piccola all’inizio ma che ha registrato un boom globale e anche in Italia.
D. In Svezia si dedica particolare attenzione all’innovazione, all’avvio di nuove imprese. Cosa dovrebbe imparare da essa in questo campo l’Italia, dove chi apre un’azienda è subito debitore di pesanti oneri fiscali e oggetto di complicate procedure burocratiche?
R. Negli ultimi 10-15 anni abbiamo registrato un’esplosione di piccola imprenditoria creativa e innovatrice. In precedenza la Svezia era diventata un Paese industriale grazie alle grandi aziende usufruendo d’invenzioni come quella dei cuscinetti a sfera, realizzati da noi oltre 100 anni fa. Tra gli anni 40 e 60 dello scorso secolo erano nate le grandi aziende svedesi, che hanno creato la ricchezza della nostra società.
D. Perché è stato possibile tutto questo sviluppo?
R. Oggi è facile in Svezia fondare una società, diventare imprenditore, sapere adattarsi, stare sempre al passo con i tempi. La flessibilità del lavoro non è stata imposta, ma tutti si sono trovati d’accordo sulla sua necessità. Per esempio l’Ericsson non produce più telefonini, fa altro.
D. Pensa che questo sia stato possibile perché le aziende e gli svedesi in generale hanno saputo adattarsi?
R. Credo che la nostra società sia abbastanza aperta, abbia idee nuove e moderne, una volontà e curiosità di scoperta, la disponibilità ad accettare l’innovazione. Non è un Paese conservatore, è aperto al mondo e anche il nostro sistema educativo è sempre stato molto aperto al cambiamento. I bambini crescono con l’attitudine a cambiare; tutto questo costituisce anche una necessità perché non siamo tanti, siamo solo 9 milioni. Il nostro prodotto interno dipende per il 50 per cento dalle esportazioni, il mercato interno non è stato mai abbastanza per noi, c’è sempre stata la spinta ad andare all’esterno. La globalizzazione non è stata vista come un problema.
D. Grazie a questo lavoro e a questi risultati le società di rating vi attribuiscono una valutazione pari ad una tripla A?
R. Fino a 16 anni fa non avevamo la tripla A, avevamo anzi anche noi una crisi finanziaria ed economica. Ma tutto può cambiare, anche abbastanza e in breve tempo se si attua una buona politica. Non è una questione di «Dna» ma soprattutto di scelte politiche. Noi svolgiamo anche molta attività di ricerca e sviluppo. La percentuale di risorse che dedichiamo a essa è tra le più alte d’Europa. Un nostro segreto è anche il fatto che investiamo molto.
D. Cosa manca in questo momento in Svezia e che l’Italia invece possiede?
R. Molte cose in cui l’Italia è bravissima, per cui sarebbe opportuno uno scambio. C’è interesse da parte nostra a collaborare con l’eccellenza italiana esistente in tanti settori. Puntiamo a realizzare un progetto con la Fiat, curato dal nostro Ufficio commerciale di Milano, consistente nel porre un sottofornitore svedese in contatto con la Fiat, che è un attore grandissimo e di alto livello in campo automobilistico. Avevamo industrie che non ci sono più, per esempio i cantieri navali, ed anche in questo campo sono in corso contatti con cantieri italiani. Devo precisare che, se non abbiamo più i cantieri navali e l’industria delle auto, è perché si è verificato un adattamento alla situazione globale.
D. La chiusura in certi settori industriali, per esempio i cantieri navali, ha comportato un periodo difficile anche per i lavoratori?
R. In Svezia è in atto una politica abbastanza chiara, secondo la quale vogliamo sostenere le persone, ma i posti di lavoro sono un’altra cosa. Il benessere delle persone è centrale. Se il posto di lavoro sparisce, si deve trovare il modo di sostenere i disoccupati o a imparare un altro mestiere, o a trasferirsi in un altro luogo, in modo che possano guadagnarsi da vivere. Il compito del Governo è di creare un ambiente favorevole nel quale possano nascere nuove opportunità. In attesa che questo avvenga, alla persona è garantito un aiuto per studiare, formarsi, imparare un nuovo mestiere.
D. Quale la vostra posizione sulla crescita dell’Europa?
R. Un aspetto essenziale per noi è il funzionamento del mercato interno. Ancora non è così, molte situazioni presentano problemi, ad esempio il settore dei servizi e tutta l’area digitale. Inviare un assegno bancario in Italia o in Germania non è facile, esistono un’infinità di regole che ci dividono anziché unirci. In un mercato aperto come il nostro non dovrebbero esservi queste difficoltà. C’è ancora molto da fare nel settore del commercio elettronico, siamo convinti che quest’area abbia un potenziale sottosviluppato, e che per l’Europa vi sia molto da guadagnare: posti di lavoro, aumento del prodotto interno ecc. In questo comparto siamo abbastanza avanti in Svezia, anzi all’avanguardia, ma riteniamo necessario che tutti i Paesi dell’Unione facciano parte di questo mercato del digitale.
D. Su questo argomento con quali Paesi esistono maggiori differenze?
R. Credo che in questo campo vi sia una grande volontà politica di fare, ma la strada per giungervi è lunga; comunque consideriamo la crescita europea una delle nostre maggiori priorità. Siamo convinti che l’Europa non possa permettersi di avere circa metà della popolazione istruita che non lavora. Parlo delle donne: in Italia lavorano meno della metà. In Europa non possiamo permetterci questo, perché costa avere molte persone che hanno studiato ma che non contribuiscono alla vita economica. In Svezia il numero delle donne e gli uomini che lavorano è più o meno pari.
D. Esistono molti incentivi?
R. Gli incentivi permettono alle donne di non dover scegliere tra famiglia e lavoro. In Svezia abbiamo un’infrastruttura ben sviluppata di asili nido e scuole materne. Il 77 per cento delle donne lavora, e la natalità è molto più alta che in Italia, mentre il crescente invecchiamento della popolazione è un problema europeo. Qualche anno fa abbiamo aperto il mercato del lavoro agli extracomunitari, perché ne abbiamo bisogno, oggi e, ancora di più, nel futuro.   

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