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lorin maazel: musica e cultura per sviluppare una più sana società del domani

Il Maestro Lorin Maazel

a cura di ANNA MARIA BRANCA

Da quando aveva cinque anni guida regolarmente le maggiori orchestre del mondo, ma Lorin Maazel, bambino prodigio delle orchestre, voleva fare lo scrittore. A due anni si trasferisce da Parigi a New York, scampando alle persecuzioni ebraiche per assecondare le origini americane, e dopo soli tre anni comincia a studiare il violino con il compositore e direttore d’orchestra d’origine russa Vladimir Bakaleinikoff, a Pittsburgh; nel 1938 esordisce come direttore alla guida dell’orchestra universitaria e a nove anni a New York è già alla guida della Interlochen Orchestra durante la New York World’s Fair e, nello stesso anno, della Los Angeles Philharmonic. Nel 1941 Arturo Toscanini, invitandolo a dirigere la NBC Orchestra, gli dice: «God bless you» (Dio ti benedica).
Tra i dieci e gli undici anni svolge l’apprendistato da direttore e, dodicenne, guida la New York Philharmonic; prima ancora di compierne quindici, ha già diretto la maggior parte delle principali orchestre americane. Mentre è già attivo violinista nella Pittsburgh Symphony Orchestra, organizza l’attività del quartetto Fine Arts Quartet, studia lingue, matematica e filosofia. Forte della preparazione sulla musica barocca in Italia, in Europa debutta nel 1953 alla guida dell’orchestra del Teatro Bellini di Catania, quindi dirige le più grandi orchestre nei più stimati teatri italiani, passando da Enrico Mainardi a Pinchas Zukerman, ad Andrea Bocelli.
Nel 1960 è il più giovane e primo tra gli americani a dirigere le orchestre del tempio wagneriano di Bayreuth; dal 1965 al 1971 è anche direttore stabile dell’Opera di Berlino, e le sue mani sono seguite anche, e non solo, dall’Orchestra di Cleveland (1971-1982), dall’Opera di Stato di Vienna (1982-1984), dall’Orchestra sinfonica di Pittsburgh (1988-1996), dall’Orchestra nazionale di Francia (1988-1990), e dalla Bavarian Radio Symphony Orchestra (1993-2002).
Dal 2002 direttore musicale della New York Philharmonic Orchestra e dal 2006 direttore musicale a vita della Symphonica Toscanini, dal 2011 è anche consulente della Fondazione Petruzzelli di Bari. Ha ricevuto dieci Grand Prix du Disque Awards e, tra le numerose onorificenze, si ricordano la Legion d’Onore francese e il titolo di Ambasciatore di Buona Volontà dell’Onu. È anche compositore: la sua opera teatrale «1984», basata sull’omonimo romanzo di George Orwell, su libretto realizzato da Mc Clatchy e Meedan, è stata rappresentata per la prima volta a Londra nel 2005 nel Teatro della Royal Opera House.
Domanda. Si può dire che la sua carriera è quasi settantennale: diresse il suo primo concerto a otto anni, a quindici aveva già diretto le maggiori orchestre americane. Ha sempre desiderato fare il musicista o c’è dell’altro?
Risposta. Da ragazzo suonavo il violino e dirigevo come se fosse stato un gioco, per me era come respirare, la cosa più naturale possibile, è un dono speciale che si è mostrato molto presto. Sono stati i musicisti e i miei genitori a notarlo; io volevo fare lo scrittore, ma non ci sono riuscito perché, dopo l’università, per sostituire un direttore d’orchestra mi sono trovato di nuovo sulla pedana, e così sempre, ogni volta dicendo che sarebbe stata l’ultima volta. È stata la carriera scelta per me dal destino. A guardare mia figlia, che è una scrittrice e si chiude per molto tempo a scrivere senza vedere nessuno, con lo stress di trovare l’editore adatto, sono felice di non aver vissuto questa vita da scrittore. Come tutti i musicisti ho avuto anche io il problema di farmi una carriera, ed ora mi occupo molto dei giovani che, in ogni campo, trovano difficoltà nel farsi strada. Il giovane musicista deve affrontare difficoltà che in fondo non hanno niente a che fare con la professione scelta, ma questa è l’arena umana, e succede a tutti. Diciamo che non mi lamento di niente, ho avuto una vita molto ricca, piena di gioia e di sfide.
D. Come è riuscito a sistemare il rapporto tra il lavoro e la famiglia?
R. È stato complicato, mi sono sposato tre volte e ho avuto in tutto sette figli, due, due e poi tre dall’ultimo matrimonio. Gli ultimi tre hanno 26, 24 e 21 anni, i primi due sono maschi, poi c’è la femmina. È stato molto difficile perché per forza dovevo viaggiare e i miei figli non volevano che io lasciassi la casa. Una volta una mia figlia, sapendo che dovevo partire, fece sparire tutti i miei vestiti. È stato difficile ma adesso è tutto calmo e tutto va bene.
D. Lei è nato in Francia, dopo poco si si trasferì negli Stati d’Uniti dove, a cinque anni, cominciò a studiare il violino. Se fosse rimasto in Francia, avrebbe intrapreso lo stesso cammino?
R. Probabilmente sì, perché non è dipeso da me. Certo è che, se fossi rimasto in Francia, sarei finito in un campo di concentramento perché le mie origini sono ebraiche. I miei genitori sono di New York, mio padre si trovava dal 1928 a Parigi per studiare canto, sviluppare la voce ed avere un’esperienza teatrale significativa; io nacqui nel 1930 e fui condotto già nel 1932 a Hollywood, dove mio padre e suo fratello riuscirono a costruirsi una piccola carriera nel settore cinematografico. Mio nonno fu la spalla dell’orchestra dell’opera del Metropolitan di New York, molto amico di Arturo Toscanini: la famiglia era composta da musicisti, attori, cantanti, un mondo che già da molto tempo non esiste più.
D. Ritiene di avere uno stile, un tratto distintivo peculiare rispetto a quello di altri direttori d’orchestra?
R. Voglio bene all’avvenire della musica classica, e il fattore necessario per dedicarsi ad essa deve essere l’ispirazione. Soltanto i musicisti di una certa esperienza possono prendere in mano con efficienza il giovane per ispirarlo, per incoraggiarlo, e questo è il mio compito attuale. Un altro mio compito è quello di far crescere un pubblico giovane per il  domani, non fatto di musicisti o uditori ma che si interessi alla musica classica e non a modelli musicali che lasciano i giovani a mani vuote. Noto questo: nel mio festival di Castleton, in America, sono presenti tanti giovani, e sono così grati di trovarsi in uno splendido posto, in mezzo alla natura, che dimenticano il rock e ascoltano la musica classica ed operistica; l’atmosfera che vi si respira è viva e molto promettente per l’avvenire della musica classica. Naturalmente è un piccolo festival, con non più di 18 mila abbonati divisi tra due teatri, ma se questo esempio fosse imitato in altri luoghi avremmo un milione di uditori. Non è una strada difficile da seguire, non bisogna convincere i giovani i quali, al contrario, sono molto capaci e ricettivi, sebbene sprovvisti del «nutrimento classico».
D. Il musicista è un servitore della musica e soprattutto un buon «comunicatore». Come fa a tramutare i suoni in emozioni, a interpretare le note e a comunicare al pubblico i sentimenti che esprimono?
R. Non saprei dirlo, è tutto nella testa. Posso dirigere anche senza muovere le mani perché ho una tale comunicativa e forza mentale che posso guardare tutti gli ottoni, farli respirare all’unisono senza compiere il minimo movimento. Uso le vibrazioni che mi giungono dalla passione per la musica, e riesco a mettere nel gesto questa vitalità e questa carica, ma non saprei dire come.
D. Quando il pubblico l’applaude, quali sensazioni prova?
R. Sono completamente dentro la musica, è come se entrassi in trance. Mi occorrono sempre un paio di minuti per rendermi conto che mi trovo su un palcoscenico e che c’è un pubblico; solo in quel momento mi accorgo che mi applaudono, allora mi sveglio e sono contentissimo.
D. Lei dirige senza leggere; ha tutte le musiche nella testa o solo alcune?
R. Nessuna mente umana può avere in testa tutto il repertorio; si può impararlo studiando 24 ore al giorno. Ho trascorso 10 anni da giovane a studiare giorno e notte, mi sono costruito un repertorio abbastanza grande, e vi aggiungo ogni tanto un nuovo pezzo. Una volta che hai «ingerito» la musica, essa fa parte di te e del tuo sistema nervoso. Ma desidero anche vivere.
D. Quale delle attività preferisce: dirigere, suonare il violino o comporre?
R. Per suonare bene il violino bisogna lavorare molto perché è un’attività fisica. Ed è stata, per me, un’esperienza viscerale tirar fuori dal violino un bel suono, perché il violino è come la voce umana, e anzi è qualcosa di più. Per dirigere l’orchestra c’è sempre un po’ di ansia, anche perché sono altri che suonano, quindi è una musica «di seconda mano». Invece la composizione è uno strazio totale perché non si è mai soddisfatti, è una ricerca continua per migliorare la frase, il ponte, la transizione, lo sviluppo dei temi. Si fa sempre meglio, ma non basta mai. Io non voglio più rivedere la mia partitura, ed è per questo che molto raramente eseguo la mia musica, perché è una continua frustrazione in quanto si vorrebbe fare ancora meglio. Ma diciamo che con il tempo avrò il mio posto nella storia. La mia opera «1984», basata sull’omonimo romanzo di George Orwell, premiata al Coven Garden ed eseguita alla Scala, riguarda temi molto attuali come lo spionaggio e il Grande fratello: siamo sprovvisti di quelle libertà che dovrebbero far parte del patrimonio civile. Poi ho scritto tre pezzi per solisti, musica per violino e per orchestra, musica per flauto e orchestra, musica per violoncello e orchestra, e un pezzo sinfonico tragico, «Farewell’s», oltre ad altre narrazioni brevi a base di soggetti molto più leggeri, anche perché di natura sono abbastanza ottimista, solare, e sono grato per ogni giorno che vivo.
D. Che genere di musica le piace ascoltare? E cosa le piace leggere, oltre alle partiture?
R. Dato che non scrivo romanzi, leggo molto. Sono rimasto veramente stupito scoprendo che a scuola non fanno leggere i grandi autori e i capolavori del passato. I miei figli hanno frequentato le migliori scuole ma non conoscevano i grandi classici del passato, i romanzi russi, inglesi, francesi. Hanno imparato viaggiando con me. Compilo liste di libri che i miei figli dovrebbero leggere entro una certa età, perché la più grande gioia è quella di rileggere un romanzo classico dopo tanti anni, dopo aver vissuto e raccolto un bagaglio culturale. Allora anche il romanzo viene riletto come se fosse la prima volta.
D. Quali effetti la crisi economica mondiale sta producendo nel mondo musicale in generale? Come si comporta l’Italia per e nella cultura, e di conseguenza per il Teatro dell’Opera di Roma?
R. Il ministro della Cultura ha affermato che in Italia esistono troppi teatri d’opera, invece è il contrario. In Cina, per esempio, hanno costruito 101 teatri, credono nell’arte e l’insegnano, e questo è un segno di vera civiltà e di vera cultura. Gli europei danno l’impressione di essere stanchi e morti.
D. Che impressione danno in particolare gli italiani all’estero?
R. Il passato dell’Italia rivive negli occhi degli stranieri, i quali rievocano subito il Rinascimento, i grandi teatri di prosa e di opera. Nessuno si domanda cosa succede oggi, mentre si parla molto di ieri. Pertanto si deve insegnare l’arte sin dalle scuole elementari, è l’attività più facile del mondo e non capisco perché non si faccia.
D. Sono stati tolti il latino, e l’educazione civica; oggi c’è una cultura superficiale. Che consiglio darebbe ai giovani che vivono in Italia e che vorrebbero cambiarla? Cosa farebbe se fosse ministro della Cultura?
R. Innanzitutto introdurrei l’insegnamento dell’arte dall’età di 5 anni, poi quello dell’opera, della musica classica, della musica da camera, del canto. Nello Stato del Virginia, nella mia proprietà avevo una piccola scuola di 40 alunni, dai 4 ai 9 anni di età, per i quali per un quarto d’ora al giorno facevo eseguire da una cantante canzoni folcloristiche e locali. Così i miei alunni cominciavano la giornata cantando. Questo cambia la vita, perché la musica apre il cervello e il cuore. Farei insegnare materie di grande valore ai giovani, costruire teatri, eseguire concerti con i giovani e per i giovani. Sviluppando queste iniziative in tutto il Paese si potrebbe cambiare l’avvenire italiano.
D. Tutto ciò porterebbe a creare nuovi posti di lavoro nel futuro?
R. Nelle pareti di ogni aula, nelle scuole, farei appendere i quadri più famosi, e li farei cambiare ogni mese, come ho fatto nella mia scuola nel Virginia: dopo 10 anni gli studenti hanno visto una quantità enorme di quadri e ne hanno ricavato cultura. Educare i giovani è il compito più semplice del mondo, perché hanno la mente aperta ad ogni informazione. Oggi si insegna non solo la volgarità ma anche la banalità, che è ancora peggiore.
D. In campo economico quando pesa la cultura nel mondo?
R. Non costa niente, a differenza di una macchina militare. Un altro aspetto è che non vi sono sovvenzioni nel campo dell’arte, e non c’è avvenire senza un passato. Bisogna incoraggiare i nuovi pittori e i nuovi musicisti, come faccio io nel mio festival, al quale faccio partecipare giovani compositori, e questo stimola anche l’interesse per la musica. Assistiamo invece ad una carenza di logica: quando c’è la crisi chiudono qualche teatro lirico, quando c’è meno denaro si eliminano le sovvenzioni all’arte. Nella vita ho imparato che non si può cambiare il mondo e che avere ragione è un errore perché non si vuole ascoltare la verità. È triste, ma purtroppo è così.   

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