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sanità - VALERIO FABIO ALBERTI: GOVERNARE I COSTI E MIGLIORARE LA QUALITà

Il dott. Valerio Fabio Alberti, presidente della Federazione delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere

Nata contestualmente alla trasformazione in aziende degli ospedali e delle Unità Sanitarie Locali, la FIASO, ovvero Federazione Italiana delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, quest’anno al 15esimo anno di vita, deve la propria origine alla riflessione di alcuni direttori generali secondo i quali era opportuno che la cosiddetta «aziendalizzazione» fosse accompagnata da una continua attività culturale e di confronto sui temi della sanità. Oggi la Federazione raggruppa circa 114 Aziende in tutta Italia, ossia più della metà delle Aziende sanitarie e ospedaliere, e svolge un ruolo di pungolo, di coscienza critica, di riflessione costante sui temi della sanità. Ne illustra l’attività il presidente Valerio Fabio Alberti. Laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Igiene e Medicina preventiva e in Statistica e Programmazione socio-sanitaria, Alberti ha un ricchissimo curriculum: direttore generale delle ASL di Bassano del Grappa e di Verona, dell’Azienda ospedaliera di Verona, coordinatore dei direttori generali della Regione Veneto, componente del Comitato di esperti del Ministero della Salute per le politiche sanitarie, collaboratore di riviste, docente in corsi di formazione per dirigenti e docenti di Scienze infermieristiche e di Igiene e Medicina preventiva a Padova, Verona e nel Policlinico Gemelli di Roma.
Domanda. Come giudica l’attuale, situazione della spesa sanitaria?
Risposta. Innanzitutto bisogna precisare che la favola dell’Italia che spende molto per la sanità non è vera. Rispetto al prodotto interno, è uno dei Paesi che spende meno della media europea e registra indici, quali l’aspettativa di vita, molto alti. Complessivamente si può dire che il livello di salute dei cittadini non è compromesso nonostante la spesa sanitaria contenuta.
D. Contenuta perché non si vuole spendere o rispetto ad altri Paesi?
R. Il livello della spesa sanitaria dipende da una scelta politica. Abbiamo un «welfare» nell’insieme costoso, ma la previdenza costituisce una sua parte rilevante. Viene ripetuto che la spesa sanitaria è fuori controllo, ma non è così. Se si considera il decennio 2000-2010, ci si rende conto che il tasso di crescita è stato inferiore a quello degli altri Paesi europei.
D. Ma per l’opinione pubblica si spende anche male. Non è vero?
R. I risultati del Servizio Sanitario Nazionale non sono da sottovalutare ma certo non ovunque si spende bene. Poi la realtà italiana è molto variegata, nel senso che in alcune regioni il rapporto tra risorse impiegate e standard dei servizi erogati è più che soddisfacente, in altre no.
D. Cosa è previsto nel 2013 per risolvere i problemi finanziari?
R. Ritengo che oggi non si possa ridurre il finanziamento del Servizio Sanitario sotto i livelli attuali. Questo perché sfugge il fatto che crisi economica significa anche crisi sociale, per cui occorre un sistema di welfare a protezione dei più deboli. In caso di un ulteriore indebolimento della sanità avremmo costi sociali molto più alti degli effimeri risparmi ottenuti tagliando i finanziamenti. L’esperienza di altri Paesi l’ha dimostrato. Il sistema di welfare è fondamentale per attutire le conseguenze sociali delle difficoltà economiche.
D. Quali rapporti avete con il Sistema Sanitario Nazionale? Esiste una malasanità e in che consiste?
R. Rappresentiamo 114 aziende, quindi una buona parte di esso, e abbiamo rapporti con le Commissioni parlamentari, il Ministero della Salute, interlocutori nazionali e regionali ma anche con associazioni di tutela dei cittadini. Quanto alla malasanità, è bene chiarire che esiste, abbiamo visto eloquenti episodi di cronaca quali il mancato tempestivo arrivo di una autoambulanza. Ma malasanità è anche il cattivo funzionamento di strutture ospedaliere o la carenza di sistemi e servizi territoriali. Pensiamo ad esempio ai malati cronici e ai pazienti non autosufficienti che è necessario prendere in carico a livello territoriale e rispetto ai quali in molte situazioni non c’è un’adeguata risposta. Accanto a questo è doveroso però ricordare i molti esempi di buona sanità che caratterizza buona parte dei servizi assistenziali.
D. Cosa si può fare per ovviare a questo problema?
R. Spendere bene i fondi che abbiamo, che non sono tanti. Il volume di finanziamento è una scelta politica nazionale, ma dopo questo vi sono responsabilità regionali e locali. Occorre una buona programmazione e un robusto e competente sistema di regole regionali, una gestione aziendale di qualità, un rafforzamento di tutti i livelli scegliendo persone secondo esclusivi criteri di competenza e professionalità.
D. Se si continuerà a spendere male e i fondi a mancare?
R. Meno soldi vi saranno e più bisogno ci sarà di elementi bravi che sappiano far funzionare il sistema; è un concetto elementare, ma se ne tiene poco conto. Riguarda la selezione del management aziendale. Le Regioni devono decidere come finanziare e programmare i servizi, ma la gestione deve competere a un management selezionato in base a rigidi criteri meritocratici. E questo purtroppo oggi non sempre avviene.
D. Si possono azzerare tutti i vertici delle Asl?
R. Non sono tutti da azzerare. Ci sono nel SSN molti bravi manager. Nei bandi per la nomina dei direttori generali adesso le Regioni devono adottare un meccanismo previsto dal ministro della Salute Renato Balduzzi e che consiste nella costituzione di una commissione formata anche da esterni, incaricata di selezionare i più bravi e con il curriculum migliore. È un passo avanti; l’organo politico regionale può fare le proprie scelte, ma in una rosa di candidati all’altezza. Vengono sempre confusi i concetti di incarico politico e mandato politico; un direttore generale di ASL o di ospedale ha un mandato, lavora in una Regione alla quale deve garantire gli obiettivi previsti, quali il rispetto dei tempi di attesa previsti per la specialistica o per gli interventi chirurgici, il contenimento dei costi, il funzionamento dei pronto soccorso ed altro. Deve rispondere a questo mandato, non è un incarico politico.
D. Ma non sono tutti politicizzati?
R. L’eccessivo peso dell’appartenenza politica rispetto alla competenza professionale è un serio problema. Lo sosteniamo da tempo; sviluppare la meritocrazia non è solo una scelta di civiltà ma anche un modo per far funzionare meglio servizi deputati alla tutela della salute. È da incoscienti non farlo, ma non c’è ancora la piena consapevolezza del legame diretto tra cattive scelte dei manager ed effetto negativo sulla salute dei cittadini
D. Politica e sanità possono andare d’accordo?
R. Certo, purché ognuna svolga il proprio ruolo, stia al proprio posto e compia il proprio lavoro. La politica ha la funzione di indirizzo, ha il compito fondamentale di adottare decisioni per conto dei cittadini, come il finanziamento del sistema, la programmazione dei servizi, le forme di compartecipazione alla spesa. Lo scorso anno molte sono state le lamentele sui tagli, spesso lineari, apportati alla sanità, ad esempio nel Lazio. Credo che i provvedimenti adottati dal Governo nell’intento di salvaguardare il Sistema Sanitario abbiano attuato una difesa un po’ ragionieristica dei conti. Questo non può bastare.
D. Secondo alcuni, il Servizio Sanitario è superato, da abolire. È così?
R. È una scelta politica, in altri Paesi vigono altri sistemi, che non garantiscono l’accesso universale alle cure. Dove è così, si è però assistito a una crescita esponenziale della spesa privata per la tutela della salute, con tutti i problemi di equità nell’accesso alle cure che questo comporta. L’esempio classico è quello degli Stati Uniti, dove è in atto una revisione del sistema privatistico e si cerca di estendere il livello di copertura pubblica. Sarebbe strano da parte nostra abbandonare proprio ora un sistema universalistico che buona parte del mondo ci invidia e cerca di imitare. Resta il problema della sostenibilità finanziaria che non può essere eluso. Rischio di ripetermi, ma anziché puntare su formule come riduzione delle prestazioni o aumento dei ticket, credo che l’arma più efficace sia la selezione di un management sempre più competente. Gli esempi che abbiamo sottomano lo dimostrano: dove si fa buona gestione si riesce a garantire servizi di qualità a costi contenuti.
 D. Come combattere la corruzione nella sanità?
R. Prima di tutto con una rigida selezione del management. Un direttore generale competente e autorevole nominerà dei dirigenti a loro volta competenti e autorevoli. E l’autorevolezza è di per sé un efficace schermo anti-corruzione. Poi è necessario diffondere e rinforzare il concetto di etica nella sanità; anche norme più incisive e mirate possono aiutare.
D. Si sente sempre più parlare dell’ingresso dei privati nella sanità. È una ricetta che può funzionare?
R. Più che il privato-privato, è auspicabile, entro certi limiti, una crescita della sanità integrativa che potrebbe garantire ai ceti meno disagiati quei servizi che divenissero insostenibili per il pubblico o la copertura della spesa out of pocket. Ma tutto questo con cautela e in modo che l’integrativa non diventi sostitutiva, altrimenti addio Sistema Sanitario universalistico.
D. Come evitare che per una Tac, il paziente debba aspettare un anno?
R. Prima di tutto dobbiamo risolvere il problema della inappropriatezza prescrittiva. Vanno stabilite priorità cliniche e, in base a queste, fissare i tempi di risposta. Se la richiesta è molto alta, il settore pubblico può appoggiarsi a strutture convenzionate. In alcune Regioni è lo stesso ospedale a curare la prenotazione presso una clinica e a comunicarla al paziente. Se il sistema del Cup funziona, il malato viene destinato alla struttura pubblica o a quella convenzionata, garantendo il rispetto dei tempi previsti. Ma non dimentichiamo che c’è un problema di medicina difensiva. Specialmente in radiologia si registra una quantità spropositata di richieste, dettate dalla paura dei medici di incappare nei sempre più numerosi procedimenti giudiziari che da reali esigenze diagnostiche. Molte aziende hanno cominciato a combattere il fenomeno, ma servirebbe una normativa nazionale più stringente che cancelli l’assunzione del rischio di causa da parte di avvocati, per la quale si intenta una causa senza anticipare nulla.
D. Grazie all’innovazione tecnologica e alla telemedicina, nelle reti cliniche o meta-ospedali, medici, infermieri e servizi prendono in carico il malato al di là dei confini dell’Azienda sanitaria o ospedaliera in cui è cura o ricoverato. Così si migliorano le cure e si spende di meno?
R. Le reti cliniche sono in grande sviluppo. Ne abbiamo censite oltre 140. Consistono in collegamenti tra ospedali, attraverso i quali, come in una «staffetta», medici, infermieri e servizi prendono in carica il malato al di là dei confini dell’Azienda sanitaria dov’è materialmente in cura. Le reti cliniche possono garantire standard assistenziali più alti.
D. A che punto è questo metodo?
R. La Fiaso ha promosso uno studio sulle reti cliniche dal quale emerge che alcune sono decollate, altre no. Coordinare tanti soggetti, ossia aziende sanitarie diverse e professionisti, non è semplice. Comunque, se questo sistema funziona, in prospettiva è molto vantaggioso.
D. Come presidente della Fiaso che cosa consiglierebbe al Governo?
R. Credo sia arrivato il momento di una profonda riflessione sul Servizio Sanitario Nazionale che, nella realtà, non è più quello disegnato dalle leggi: le Aziende sanitarie operano oggi in un sistema in cui sono cambiati molti elementi, come il ruolo delle Regioni, spesso invasivo dell’autonomia aziendale. Il Servizio Sanitario va rimesso a punto rivedendone il funzionamento reale, non quello indicato sulla carta.
D. In questa direzione, quale sarebbe il primo atto da compiere?
R. Rilanciare un concetto evoluto di azienda fondato su criteri di managerialità e sulla capacità crescente di gestire le risorse e l’assistenza ai pazienti. Questo vuol dire anche capacità di mettere in rete e di diffondere le innovazioni gestionali che hanno dimostrato di funzionare.
D. Quanto possono essere utili le tecnologie in questo processo?
R. In un ospedale sono necessari tre fattori. Il primo è costituito dalla capacità dei direttori generali e del management di selezionare professionisti bravi e competenti, il secondo è il livello di organizzazione dei servizi, il terzo è la dotazione di tecnologie. Ma, a monte, occorre ridare alla politica il ruolo che è della politica, ossia quello di guida, distante dalle tante ingerenze indebite nella gestione che sono all’origine degli sprechi e dell’inefficienza.    

Tags: Aprile 2013 Fiaso

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