Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Speciali
  • SPECIALE RUGBY - pier luigi bernabò: fir, il rugby internazionale arriva a roma. e cresce

SPECIALE RUGBY - pier luigi bernabò: fir, il rugby internazionale arriva a roma. e cresce

Pier Luigi Bernabò FIR Rugby

Oltre sessantamila i biglietti venduti per Italia-Francia, il match della prima giornata del torneo RBS 6 Nazioni 2013, che subito ha visto la Nazionale italiana vincere per 23 a 18; mentre sono circa dodicimila gli abbonamenti staccati per le tre gare interne dell’Italia; dopo la Francia e il Galles, resta ancora, il 16 marzo, l’Irlanda. Pier Luigi Bernabò, responsabile per il progetto triennale legato all’RBS 6 Nazioni e agli appuntamenti internazionali nello Stadio Olimpico di Roma della Federazione Italiana Rugby, spiega l’organizzazione di questa seconda edizione all’Olimpico per quanto riguarda le partite interne dell’Italia.
Domanda. Per la seconda volta il torneo è ospitato nello Stadio Olimpico di Roma. Come si è arrivati al passaggio dallo Stadio Flaminio al più grande Olimpico?
Risposta. Per una serie di ragioni, legate al profilo dei Paesi nei quali si svolgono queste manifestazioni sportive, abbiamo avuto la necessità di uno stadio più grande. Da qui l’impossibilità di rimanere nel Flaminio così come si presenta, con ampliamenti insufficienti, e nonostante un progetto di riqualificazione cui però non è stato possibile dare seguito per motivi derivanti dalla competente Sovrintendenza e dagli eredi di Pier Luigi e Antonio Nervi che progettarono la struttura. L’esigenza di mantenere a Roma l’RBS 6 Nazioni, che si svolge nelle capitali delle Nazioni in gara, ci ha portato alla scelta dell’Olimpico che inizialmente creava qualche preoccupazione per la sua eccessiva grandezza. Dunque in partnership con la proprietaria società Coni Servizi, che gestisce l’impianto, abbiamo siglato un accordo fino al 2015.
D. Questo sport sta attraendo sempre più tifoserie ed è giusto dare la possibilità a tutti di vedere da vicino la Nazionale, ma nel Flaminio non si creava un’atmosfera più raccolta?
R. È vero. Comunque abbiamo dovuto compiere questo salto che è riuscito particolarmente nel novembre 2012 in occasione del Cariparma test match contro gli All Blacks: l’atmosfera amichevole del rugby è rimasta ed è aumentato il bacino di utenza.
D. In quanto tempo siete arrivati alla consapevolezza che bisognava fare qualcosa per il Flaminio o trovare un’altra sede?
R. È stato un problema che durava da tempo, perché ogni anno comunicavamo ai nostri partner di essere impegnati nella valutazione delle possibili soluzioni, ma rimaneva la difficoltà di intervenire sullo Stadio Flaminio, resa ancora più grave da recenti ritrovamenti archeologici. Senza considerare che l’opera di Nervi è anche una testimonianza architettonica di valore. Eravamo ridotti all’angolo, ma dovevamo venirne fuori. Ci siamo fatti coraggio, ci siamo detti che sarebbe stato meglio giocare una partita così tanto più grande nell’Olimpico.
D. Il progetto di riqualificazione del Flaminio è stato completamente abbandonato oppure solamente messo da parte per il futuro?
R. In questo momento riteniamo che lo Stadio Olimpico e il Parco del Foro Italico, che non riusciamo ad immaginare come luoghi da fruire separatamente, costituiscano una risorsa enorme, anche perché nessun Paese possiede spazi del genere: pertanto siamo estremamente soddisfatti di questa scelta.
D. Come vengono sfruttati?
R. Principalmente, sono suddivisi in tre parti. Nello Stadio dei Marmi c’è la possibilità di svolgere attività sportiva vera e propria per dare modo a tifosi, simpatizzanti, dilettanti, famiglie e bambini, di trascorrere una giornata da protagonisti, con una partecipazione attiva che non trova riscontro in alcun’altra parte. Sono stati programmati un torneo under 10 e un match dimostrativo under 8; sono stati allestiti dei gonfiabili con del personale, per mostrare le azioni di gioco e provare a compiere una meta, un placcaggio o un calcio in mezzo ai pali, in modo da far vivere il nostro sport a chi viene per la prima volta. L’area compresa tra l’Obelisco e la Fontana della Sfera ospita il «Terzo Tempo Peroni Village», ossia il famoso terzo tempo ludico e ricreativo dopo i due del match, anche quest’anno gestito dalla Birra Peroni. Qui sono intrattenimento musicale, ristorazione, stand commerciali e distribuzione di gadget anche dei vari sponsor. Infine, lo Stadio Olimpico per ospitare gli incontri della Nazionale italiana.
D. Le attività di intrattenimento sono state programmate solo durante il giorno delle partite?
R. Sì, sarebbe stato troppo impegnativo realizzarle anche negli altri giorni, e il clima invernale non ci avrebbe aiutato. Sono state previste però non solo prima e dopo la partita, ma per tutta la giornata, anche per chi non ha acquistato il biglietto. Tutto questo al Flaminio non era possibile; inoltre offriamo soprattutto la bellezza del contesto del Foro Italico evidenziando un’eccellenza del nostro Paese.
D. Non resta comunque il problema di sistemare il Flaminio?
R. Questo è vero senz’altro per quanto riguarda le nostre esigenze, dal momento che negli accordi del torneo dobbiamo garantire posti per 45 mila presenze: il Flaminio non dispone di questi spazi e, se deve rimanere un’opera da non toccare a causa dei vincoli architettonici, è chiaro che siamo obbligati a dirigerci altrove, non per scelta nostra ma a causa di condizioni oggettive. Inoltre si può vedere che non si tratta solo di capienza, tanto che ora abbiamo potuto anche diversificare l’offerta del terzo tempo.
D. Come mai non vi siete limitati al solo svolgimento delle partite?
R. Riteniamo che l’evento sia costituito non solo dal match, ma anche dall’intrattenimento che lo precede e lo segue, che vale almeno quanto una partita in termini di interessi da parte del pubblico, soprattutto in questo momento in cui passiamo dai 25 mila spettatori del Flaminio ai 65 mila dell’Olimpico. Questo significa che stiamo aggregando nuovi appassionati, anche se c’è bisogno che essi vengano e vedano altro: offrire solo la partita sarebbe poco, perciò abbiamo deciso di ampliare l’offerta anche verso giovani e famiglie, oltreché tifosi, e chi viene riceve qualcosa in più rispetto alla partita.
D. Questo rientra in una campagna per far conoscere questo sport?
R. Sì, speriamo che il messaggio giunga a destinazione, e che sia positivo e duraturo soprattutto nel modo di godere un evento sportivo. Questo modello l’abbiamo importato dai nostri partner inglesi, gallesi e irlandesi in particolare. Per esempio, quest’anno si gioca contro l’Irlanda il 16 marzo, vigilia della festa del loro patrono San Patrizio, e verranno 15 mila tifosi. Sarà una festa e, rispetto a quanto accade normalmente nelle manifestazioni sportive, ritengo vi sia qualcosa di più in questo, qualcosa di estremamente positivo: un bel messaggio. È affascinante partecipare ad un evento sportivo di persona piuttosto che in poltrona davanti alla televisione, e l’intrattenimento ulteriore che abbiamo incluso consente di stare all’aria aperta insieme a molta altra gente. Intendiamo rafforzare questa modalità.
D. Per ora l’accordo con la società Coni Servizi coinvolge solamente gli eventi sportivi come l’RBS 6 Nazioni e i test match?
R. Per quanto riguarda il rugby sì. Terminerà nel 2015 e ormai parlerei di format, anche perché l’abbiamo collaudato lo scorso anno proprio con l’RBS 6 Nazioni. Se dovesse risultare positivo, lo porteremo avanti non solo per altre edizioni di questo stesso torneo, ma anche per i test match, come quello del prossimo novembre con l’Australia.
D. Rispetto alla prima edizione di rugby all’Olimpico, i biglietti venduti sono aumentati?
R. Nell’edizione 2012 lo Stadio Olimpico ha registrato il sold out, come anche nel test match di novembre con gli All Blacks. A prescindere dall’affluenza all’Olimpico, l’obiettivo è portare a 50 mila lo zoccolo duro degli spettatori incuriosendone 20-25 mila, non escludendo la possibilità di replicare i sold out precedenti. L’anno scorso abbiamo coinvolto 75 mila persone in ogni match, ma vogliamo restare con i piedi in terra e arrivare a uno standard consolidato di 50-60 mila spettatori a partita. Vorremmo portare a 180 mila il totale degli spettatori all’Olimpico, il che sarebbe un ottimo risultato. C’è la necessità, però, di attrarre il pubblico, perché lo scorso anno potrebbero essere venuti dei curiosi che non torneranno. Bisogna quindi stimolarli con altre novità. Consolidare i 60-70 mila spettatori che ci auguriamo, è un processo lungo nel tempo e costituisce la meta del piano triennale che abbiamo elaborato.
D. Quindi all’Olimpico l’impressione iniziale è stata positiva?
R. Assolutamente sì, è stato un successo che, oltre alla soddisfazione, ci ha procurato un grande credito in campo internazionale, senza pensare che quando si viene a Roma si vede una città bellissima. E il «business» è maggiore se consideriamo l’aspetto turistico. Con l’occasione si prospetta per la città un indotto consistente. Quest’anno stimiamo possano arrivare 30-35 mila persone fra stranieri e italiani per ogni partita, e 100-120 mila persone per turismo. Ciò ha sicuramente un valore per l’economia di Roma, e inoltre avviene in un’atmosfera di diffusa allegria anche nella popolazione perché si tratta di un pubblico particolare. Pensiamo ad esempio all’abbigliamento tipico sfoggiato dagli stranieri sostenitori delle loro squadre, che porta molto colore.
D. E in ambito europeo?
R. È chiaro che negli altri Paesi europei il rugby è il primo sport o quasi; in Inghilterra e in Francia ha lo stesso valore del calcio, forse qualcosa in più negli altri Paesi: in Irlanda, Scozia, Galles il rugby è lo sport nazionale. Ogni volta i loro stadi registrano il tutto esaurito, hanno decenni di storia e movimentano dai 50 mila ai 75 mila spettatori. In questi Paesi il rugby è molto sentito dal punto di vista sportivo, ma anche noi ci stiamo avvicinando in bravura.
D. Per l’Italia, Paese in cui il rugby non è uno sport nazionale, è già prestigioso ritrovarsi tra le sei Nazioni che si disputano il trofeo?
R. Questo è un riconoscimento sportivo che ci viene dato, peraltro meritandolo. Anche in funzione di quello che abbiamo saputo dimostrare ultimamente, ci è stata assegnata l’organizzazione del Mondiale del 2015 under 20, ma è ancora da definire il luogo in cui si svolgerà. Nel prossimo novembre si svolgeranno tre test match, due dei quali fuori Roma: vogliamo andare in giro per l’Italia con il nostro messaggio di evento sportivo. Poi avremo incontri con le Fiji, l’Argentina e l’Australia; con quest’ultima a Roma, nello Stadio Olimpico, mentre stiamo valutando Cremona per l’incontro con le Fiji, anche per via degli spazi intorno allo stadio che ci consentono di replicare l’atmosfera del villaggio, e Napoli per quello con l’Argentina.
D. Che cosa muove le sponsorizzazioni?
R. L’indotto dell’RBS 6 Nazioni è confortante, perché abbiamo delle royalty per la partecipazione al torneo. È esso stesso la leva che muove le sponsorizzazioni. Il nostro budget complessivo è di 40 milioni di euro, ed una parte rilevante sono le sponsorizzazioni ed i proventi del 6 Nazioni: dal 2000, data di ingresso nell’RBS 6 Nazioni, il bilancio finanziario della Federazione si è triplicato.    

Tags: Marzo 2013 Giosetta Ciuffa sport rugby

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa