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gianluca oricchio: quanti dante e leonardo non nati per la denatalità

Composta prevalentemente da sanità, invalidità, pensioni di anzianità e sussidi di disoccupazione, la spesa sociale rappresenta la cultura di un Paese, un vanto civile, ma anche il maggior indice di spesa per ogni Stato occidentale. Nello scorso dicembre la cancelliera tedesca Angela Merkel ha affermato che l’Unione Europea rappresenta l’8 per cento della popolazione mondiale, il 25 per cento del prodotto mondiale e un altissimo 52 per cento della spesa sociale mondiale. I Paesi a più lungo periodo di benessere hanno sviluppato una maggiore attenzione verso la tutela della salute e la spesa sanitaria. Tuttavia in un mondo ad alta globalizzazione e competizione internazionale, gli elevati costi della spesa sociale in Europa, ivi compresa l’assistenza sanitaria, nonostante rappresentino una grande conquista di democrazia, indeboliscono le capacità di competizione rispetto a Paesi a bassa spesa sociale e sanitaria, come l’India e la Cina. Negli Stati Uniti il costo della sanità è sostenuto principalmente dalle contribuzioni private, con l’assicurazione sanitaria legata al posto di lavoro o alla libera assicurazione del cittadino. Ciò dà al paziente la prerogativa di scegliersi il medico e la struttura, e quindi costituisce un enorme propulsore per i centri d’eccellenza. Tuttavia il disagio personale e familiare e i costi sociali che ne derivano possono essere enormi quando il cittadino non è più in grado di contribuire all’assicurazione. Con l’eccezione della Svizzera, in Europa la sanità è pubblica e garantita dallo Stato a tutti i cittadini, senza però il diritto di scegliersi il medico, prerogativa del settore privato. Questo favorisce un livello medio adeguato, ma non la crescita di strutture d’eccellenza e di riferimento. La sicurezza dell’assistenza non legata alla capacità contributiva viene finanziata dall’imposizione fiscale, che in Italia ad esempio a fine 2012 ha superato il 45 per cento del prodotto interno. Una proporzione che frena lo sviluppo economico e stimola un meccanismo depressivo. Un grande problema per Paesi come l’Italia, con la riduzione della natalità, quella dei contributi versati, l’invecchiamento della popolazione e l’aumento conseguente dei costi dell’assistenza sanitaria, sarà mantenere gli standard precedenti dei servizi sanitari. Il disavanzo complessivo sanitario nazionale nel 2010 è stato di 2,3 miliardi di euro. Il centro studi European House Ambrosetti prevede una crescita in Italia del 150 per cento in termini assoluti della spesa sanitaria pubblica nei prossimi quaranta anni, passando così da 112,7 miliardi nel 2012 a 261 miliardi nel 2050, con un rapporto tra la spesa e il prodotto interno pari al 9,7 per cento, di fronte all’attuale 7,1 per cento. Questo aumento nei costi sanitari sarà sostenibile solo se affiancato da una crescita economica, che è mancata nell’ultimo decennio. Infatti, dal 2000 al 2010 le spese sanitarie sono cresciute del 45 per cento, mentre il prodotto interno ha registrato un aumento solo del 3,8 per cento. Questa condizione non è sostenibile in futuro: le crescenti spese sanitarie o si affiancheranno a una crescita economica o si taglieranno. In assenza di crescita, lo Stato italiano e le Regioni hanno intrapreso un’azione di tagli progressivi per ridurre la spesa sanitaria, come previsto dalla spending review del 2012. Parte delle spese sanitarie potrebbero essere finanziate da fonti private alternative, facilitate da sgravi fiscali, e i fondi pubblici concentrati in centri d’eccellenza come stimolo per aumentare l’efficienza e diminuire gli sprechi. Tuttavia la salute è un bene primario, non assimilabile ad un ragionamento puramente economico, e l’assistenza sanitaria pubblica è un diritto di ogni cittadino italiano. Aiuta a comprendere meglio la situazione attuale e le possibili soluzioni il professor Gianluca Oricchio, che svolge attività di ricerca nel campo della biologia aziendale e della finanza comportamentale per Moody’s Analytics, braccio di consulenza della Moody’s Investor Services, agenzia che misura lo «stato di salute» delle imprese e degli Stati. Dopo la laurea in Economia, nel 1990 ha cominciato le attività di ricerca e didattica in Economia aziendale nell’Università Sapienza di Roma, per poi orientarsi nel mondo bancario e finanziario. Parallelamente alle attività accademiche, diventa responsabile del capital management in Capitalia, entra nel consiglio di amministrazione di Bipop-Carire e, successivamente, diventa responsabile del credit treasury Unicredit. Le sue conoscenze spaziano dal settore finanziario, con particolare riguardo ai rating e ai derivati, al sistema sanitario. Nel 2009 Gianluca Oricchio assume la direzione del Policlinico Universitario Campus Bio Medico e coltiva la propria passione per la ricerca e la didattica. In un periodo di crisi economica in cui si chiudono le strutture sanitarie e diminuiscono i servizi offerti, la nascita di una nuova università che ha affrontato negli ultimi anni i cospicui costi della costruzione di una struttura di assistenza, di didattica e di ricerca all’avanguardia, finanziata dai privati ma dedita al servizio pubblico, rappresenta un grande atto di fiducia nel futuro e una grande responsabilità gestionale. Per questo è doveroso intervistare la persona che, alla guida del Policlinico Universitario Campus Bio Medico, ha vissuto una fase di grande crescita, in una situazione generale di decremento del prodotto interno e di instabilità politica ed economica.

Domanda. Come giudica l’attuale, difficile situazione della spesa sanitaria nel nostro Paese?

Risposta. È indubbiamente uno dei problemi più impegnativi che stiamo vivendo. I cambiamenti demografici legati al contemporaneo aumento della vita media e alla progressiva denatalità hanno messo sotto pressione il sistema sanitario. Inoltre, il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno in Italia è tale che non è immaginabile un incremento dei finanziamenti per la spesa sanitaria ricorrendo ad emissioni di titoli sovrani. Il volume della stessa cresce a un ritmo superiore allo sviluppo del prodotto interno, e questa tendenza è destinata a peggiorare nei prossimi anni. Esistono spazi considerevoli per ridurre i costi legati a sprechi e inefficienze nel sistema sanitario, ma dobbiamo aver presente anche il quadro generale all’interno del quale queste azioni di recupero vanno a collocarsi.

D. Come fa ad essere così sicuro di un ulteriore peggioramento del rapporto tra la spesa sanitaria e il prodotto interno?

R. Semplicemente guardando i dati a disposizione. Già oggi la popolazione sopra i 65 anni di età è il 20 per cento circa del totale e assorbe praticamente metà della spesa sanitaria. L’attuale struttura demografica italiana è una sorta di rombo, nel quale la maggioranza della popolazione è compresa fra i 40 e i 45 anni. In via inerziale, cosa accadrà nei prossimi decenni? Semplicemente questo: la percentuale della popolazione sopra i 65 anni supererà il 30 per cento della popolazione totale e la spesa sanitaria pubblica, in rapporto al prodotto interno, potrebbe passare dal 7 al 10 per cento in assenza di ulteriori crisi economiche.

D. Sembra condividere quanto ha detto il Fondo Monetario Internazionale in merito al Longevity Risk?

R. Spero di non essere frainteso. I dati e la fotografia che ho appena esposto sono un’immagine che riflette quanto sta accadendo e accadrà. È fuori luogo parlare di aumento della vita media in termini di «risk»; al contrario, è una grande conquista basata su una maggiore consapevolezza del peso degli stili di vita sani e della prevenzione. Se proprio vogliamo vedere un «risk», esso sta più nella denatalità, che inevitabilmente impoverirà il capitale umano dell’Italia. Pensiamo a quanti Leonardo da Vinci o Dante Alighieri stiamo oggi potenzialmente rinunciando. Senz’altro il tema della natalità e delle condizioni per migliorare il livello di vita delle famiglie dovrà essere prioritario nei prossimi anni.

D. Che fare se l’aumento della vita media è una conquista ma il sistema sanitario potrebbe non reggere?

R. Se assumiamo che il prodotto interno nei prossimi anni non crescerà con il ritmo necessario per compensare la maggiore spesa sanitaria legata alla struttura demografica, e che lo stock di debito pubblico è tale da non poter essere aumentato, occorre lavorare sodo per mettere a punto modalità alternative di finanziamento della suddetta spesa.

D. Si può pensare a una sanità privata o privatizzabile?

R. La sanità pubblica è una conquista sociale e va valorizzata. Basta lavorare in un ospedale per capire perché è essenziale e racchiude in sé un alto valore civile. Tuttavia è altrettanto vero che, di fronte alla crescente richiesta di cura correlata anche a un maggiore uso della tecnologia, l’Italia non può continuare a indebitarsi. Le risorse vanno trovate agendo su più direttrici: cambiando il mix della spesa pubblica il cui peso in Italia sul totale è inferiore rispetto a Francia e Germania; riformulando l’offerta sanitaria pubblica, valorizzando e differenziando le specialità e le intensità di cura; ricorrendo a fondi integrativi addizionali per finanziare anche la sanità pubblica.

D. E relativamente alla dirigenza?

R. Certamente proverei a puntare l’attenzione non solo sul tipo di servizio sanitario nazionale erogato da strutture pubbliche o convenzionate, ma anche sulla managerialità con la quale tali strutture sono dirette e sulle finalità per le quali sono dirette. Più managerialità significa più efficienza e minori costi per i contribuenti; una struttura che reinveste i propri margini reddituali nell’attività sanitaria e non distribuisce dividendi compie un servizio alla società.

D. Come realizzare questo?

R. È evidente che occorre un serio processo di meritocrazia per valorizzare le strutture che erogano prestazioni sanitarie con efficienza, costano meno ai contribuenti rispetto ad altre dalle prestazioni inefficienti, reinvestono i surplus finanziari nelle stesse attività sanitarie, migliorano i servizi offerti ai cittadini. Non esistono alternative rispetto alla valorizzazione e alla conseguente destinazione delle risorse in chiave meritocratica fra le varie strutture che partecipano al sistema sanitario nazionale.

D. Che cosa sta accadendo nelle regioni soggette a piano di rientro?

R. Mi attendo che nel breve termine la morsa della riduzione della spesa si faccia sentire ancora di più sui cittadini. Se una struttura può erogare 100 prestazioni in un anno, non sembra meritorio imporre tetti di erogazione, ad esempio di 80, in maniera indifferenziata fra struttura e struttura. Questo «taglio orizzontale» penalizza le strutture più virtuose, costrette ad erogare solo 80 prestazioni e a respingere tutti gli altri cittadini che le hanno scelte liberamente. La conseguenza pratica per tali strutture è un allungamento significativo di tutte le liste di attesa e una percezione, da parte del pubblico, di inefficienza non meritata. Questa situazione iniqua apre anche la porta allo sviluppo di attività sanitarie al di fuori del sistema sanitario nazionale. Queste «nuove prestazioni» possono essere erogate a prezzi elevati o, nel migliore dei casi, non dissimili dalle tariffe pubbliche per andare incontro alle richieste dei cittadini, ma comunque incidendo sulle loro tasche in maniera aggiuntiva rispetto al peso tributario.

D. Come risolvere i problemi finanziari delle strutture sanitarie?

R. Per le strutture sanitarie meritevoli è assolutamente necessario soddisfare i bisogni di risparmio e di salute dei cittadini over 50 con strumenti finanziari che uniscano la raccolta del risparmio a forme di assicurazione sanitaria. In questa prospettiva le aziende sanitarie potrebbero essere autorizzate ad emettere speciali obbligazioni a lungo termine che, invece di distribuire interessi a tassi di mercato, offrano un minimo garantito insieme a «pacchetti» di diagnostica, prevenzione, telemedicina. In casi di ricoveri e di interventi chirurgici, i loro costi potrebbero essere detratti dalla quota di capitale dell’obbligazione stessa.

D. Quali sarebbero i vantaggi?

R. L’assistito verrebbe seguito, per vari anni, a 360 gradi, da una struttura di fiducia, evitando i problemi che a volte si verificano con forme di polizze sanitarie tendenti ad escludere, per una data patologia, il rimborso di ulteriori prestazioni rispetto alla prima. Evidenti sono anche i vantaggi per l’azienda, che otterrebbe un «cheap funding» a lungo termine con la probabilità, statisticamente abbastanza elevata sulla base dei dati epidemiologici, che il debito obbligazionario possa convertirsi nel tempo in fatturato. Tecnicamente si tratta di «bonds long dated, contingent convertible in sales».

D. In sostanza sarebbe un altro rapporto tra sanità e finanza?

R. La finanza è diventata pervasiva e la sanità riguarda la salute: i loro punti di contatto sono moltissimi. Ma esiste anche un’altra area di contatto, magari più accademica ma non meno valida. Gli studi sul «credit rating» misurano la probabilità di fallimento di un’impresa; ma letti al contrario indicano anche le probabilità di sopravvivenza. Se queste sono studiate per il lungo termine, attraverso più cicli economici, possono evidenziare probabilità di successo della stessa impresa. La biologia delle imprese tende a rappresentarle come organismi viventi analizzandone nel tempo le probabilità di successo. La destinazione del credito su base meritocratica consente un più robusto sviluppo del tessuto economico.

D. I manager in sostanza sarebbero i medici della stessa sanità?

R. La biologia delle imprese aiuta a comprendere meglio la fisiologia e la patologia delle stesse. Lo studio aziendale presenta molti punti di contatto con l’epidemiologia, l’anatomia e la patologia. La responsabilità di un manager nei confronti dell’azienda che dirige è, in fondo, molto simile alla responsabilità del medico nei confronti del paziente: in entrambi i casi è necessaria, o almeno è auspicabile, una forte relazione di fiducia professionale e di reciproco rispetto. La sostanza del giuramento di Ippocrate e gli obblighi etici e deontologici che ne discendono dovrebbero essere parte della natura di ogni manager in generale, e dei dirigenti di un ospedale in particolare. Anche per questa via si mobilitano le risorse di creatività, professionalità e correttezza per contribuire a affrontare e risolvere i problemi di un settore così vitale per il Paese. 

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