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FOCUS ambiente energia sostenibilità - Jean-Paul Fitoussi: no all’euro, sì a una comunità europea solo per energia ed ambiente

Termini quali «crescita intelligente» e «sostenibilità» sono già stati usati dall’Europa nel 2000 nel programma di riforme economiche approvato a Lisbona dai capi di Stato e di Governo. Senza dubbio bellissime parole, ma l’Europa si pone degli obiettivi senza avere gli strumenti adeguati per raggiungerli e attuarli. È nella sostenibilità che possiamo lasciare alle generazioni future un capitale almeno uguale a quello di cui abbiamo goduto noi stessi, e costituisce una possibilità che l’Europa ha per uscire dal baratro in cui si trova, una situazione terribile a livello sociale ed economico data dall’elevato tasso di disoccupazione e dalla precarietà della società. Ma la crescita economica non basta: bisogna avere strategie da attuarsi con programmi di rilancio e investimenti nelle nuove tecnologie dell’ambiente e dell’energia per porre fine alla sofferenza sociale e salvaguardare la natura

Dice di no all’euro. Ma non in maniera «secca»: il suo no è calibrato. Dice: dipende dalle politiche europee, e quelle che sono attuate ora sono evidentemente sbagliate. Dalle sue parole si percepisce delusione nei confronti dell’Europa, la presa di coscienza che di democrazia nemmeno a parlarne, la constatazione che siamo nelle mani di politici che non considerano l’interesse pubblico. E quest’ultimo è fatto di sostenibilità e crescita economia, ma non solo: esso è fatto anche, e soprattutto, di risorse. Energetiche, per l’appunto. Impiegarle significa dare un largo margine di speranza anche ai disoccupati perché, checché se ne dica, sono tanti. Certo, «l’occupazione è salita», dicono i sondaggi, ma di quanto? Di poco, diremmo di una misura inutile. Abbiamo le fonti, abbiamo gli occupandi, non usiamo né le une né gli altri. Spingere verso la sostenibilità è inutile se alla spinta non è accompagnata una reazione di omeostasi, che conferisca condizioni adeguate per crescere. Stiamo andando anche incontro alla guerra, da soli. Perché dipendere da altri Paesi scotta.
Ne parla non uno qualunque: si tratta di Jean-Paul Fitoussi, uno dei più grandi economisti francesi. Docente per l’Istituto di Studi politici di Parigi (Sciences Po) dal 1982, dal 1989 presidente dell’Osservatorio francese sulle congiunture economiche (OFCE), docente alla Luiss-Guido Carli di Roma, membro del consiglio scientifico dell’Istituto «François Mitterrand», presidente del consiglio scientifico dell’IEP-Institut d’études politiques di Parigi dal 1997 e membro del Consiglio di analisi economica del primo ministro francese, anche nel consiglio di amministrazione di Telecom Italia e del consiglio di sorveglianza di Banca Intesa Sanpaolo, si occupa a tempo pieno di studiare l’inflazione, la disoccupazione, le economie aperte, il ruolo delle politiche macroeconomiche, i rapporti tra democrazia e sviluppo economico. Su Wikipedia è definito un «critico della rigidità nelle politiche di bilancio e di economia monetaria, per gli effetti negativi sulla crescita dell’economia e sui livelli di occupazione».

Domanda. L’efficienza energetica rientra tra gli obiettivi prioritari dell’Unione Europea per una crescita intelligente e sostenibile. Che significato assume questo concetto in un’ottica di salvaguardia ambientale e di crescita economica?
Risposta. Prima di tutto bisogna distinguere tra le parole e i fatti: termini come «crescita intelligente» o «sostenibilità» sono già stati usati dall’Europa nel 2000 nel programma di riforme economiche approvato a Lisbona dai capi di Stato e di Governo. Senza dubbio sono bellissime parole, ma l’Europa si pone degli obiettivi senza gli strumenti adeguati per raggiungerli e attuarli. Oggi l’efficienza energetica deve essere l’obiettivo primario dell’Unione poiché questa è l’unica strada percorribile del futuro, una strada che si dirama in due direzioni: innanzitutto, nella parola «sostenibilità» noi possiamo lasciare alle generazioni future un capitale almeno uguale a quello di cui abbiamo goduto noi stessi. La sostenibilità è essenziale perché, quando c’è un’evoluzione non sostenibile dei mercati e della valorizzazione del capitale, la crisi finanziaria prende il sopravvento, come sta avvenendo dal 2007. In secondo luogo, è una possibilità che ha l’Europa per uscire dal baratro in cui si trova adesso, una situazione terribile a livello sociale ed economico data dall’elevato tasso di disoccupazione e dalla precarietà della società.

D. Le statistiche dicono che non c’è più così tanta disoccupazione. Cosa ne pensa?
R. Forse è diminuita dello 0,2 per cento, ma resta comunque altissima, addirittura più alta rispetto agli anni 30, soprattutto in ambito giovanile. In Italia c’è un tasso di disoccupazione che supera il 40 per cento, in Spagna il 50 per cento, in Francia il 25 per cento; tutto questo non è accettabile, significa distruggere capitale umano non lasciando alle generazioni future i mezzi e gli strumenti per crescere. Siamo in un baratro e dobbiamo uscirne, ma per uscirne la crescita economica non basta, bisogna avere strategie da attuarsi con programmi di rilancio e di investimenti nelle nuove tecnologie dell’ambiente e dell’energia per porre fine alla sofferenza sociale e per salvaguardare la natura.

D. Quali proposte si possono sviluppare per avere maggiore equità e per puntare su un nuovo benessere oltre il Pil?
R. La proposta prioritaria è quella di puntare su un programma d’investimento e di rilancio; l’Europa è all’avanguardia nelle energie rinnovabili sia a livello tecnologico che in ambito delle risorse umane, ma purtroppo manca il denaro e di conseguenza gli investimenti sono scarsi. Tale programma deve basarsi sul benessere delle persone e non sulla crescita, perché cos’è più importante, avere un punto in più sul Pil con una diminuzione del benessere, o avere più benessere e una diminuzione del Pil? Questo è il vero problema che dobbiamo affrontare e risolvere, soprattutto nella situazione attuale dove c’è una forte crescita della disuguaglianza sociale che può minare le fondamenta della democrazia, come sta avvenendo negli Stati Uniti.

D. E allora perché Trump è stato eletto?
R. È stato eletto non perché ci sia disoccupazione, non perché non ci sia crescita, ma perché la disuguaglianza è tale che la maggioranza della popolazione americana non ha beneficiato del progresso economico né del progresso sociale; diciamo che è stato un voto di «protesta». In Europa sta accadendo lo stesso fenomeno con la crescita dei partiti estremisti, in Italia con il Movimento 5 Stelle e in Francia con il Fronte National di Marine Le Pen che è diventato il primo partito; ma anche in Olanda e in Austria si sta verificando la stessa situazione, la Gran Bretagna è uscita dall’euro con il Brexit proprio perché la maggior parte della popolazione inglese è divenuta povera. Questi estremismi sono i primi campanelli d’allarme che un giorno potrebbero distruggere la libertà e la democrazia.

D. Rischi in ambito europeo o mondiale?
R. Soprattutto europeo, perché in America la Costituzione è tale che c’è un sistema di «check and balance», un protocollo istituzionale di «controlli e contrappesi» che caratterizza i rapporti fra i vari poteri dello Stato negli ordinamenti democratici e che impedisce il potere assoluto. In Europa invece, non esiste questo tipo di sistema istituzionale, dunque temo che se un domani dovessero vincere gli estremismi il risentimento verso l’Unione si acuirà ancora di più. Un giudice della Corte Suprema americana negli anni 50 disse: «Possiamo avere il denaro concentrato in poche mani, o possiamo avere la democrazia, ma non possiamo avere entrambe le cose». Questo significa che se la disuguaglianza aumenta, la democrazia è in pericolo, e non riesco proprio a capire perché i media non ne parlino mentre termini meramente dottrinali come «equilibrio del bilancio», «fiscal compact», che non hanno importanza a livello economico, riempiano i telegiornali e i giornali, e oggi rischiamo di perdere la libertà per delle parole che non hanno nessun significato.

D. Un esempio?
R. Un esempio può essere quello del debito pubblico e della crescita: la tesi europea afferma che «se abbassiamo il debito pubblico avremo una crescita più alta», invece una teoria più oculata e corretta sostiene che «è la bassa crescita che fa crescere il debito pubblico, non il contrario».

D. Cosa pensa della possibilità di sviluppare una «green economy» per uscire dalla crisi economica e da quelle ambientale e sociale?
R. Come ho detto prima, c’è la possibilità di sviluppare una «green economy» solo se investiamo nella tecnologia. Avevo proposto addirittura di costituire una Comunità Europea dell’Energia e dell’Ambiente per il rilancio dell’economia ambientale e dell’economia verde.

D. A livello europeo o italiano?
R. Si può fare anche a livello locale, ma mancano i soldi.

D. L’Authority dell’Energia in Italia non si occupa di questo?
R. No, si occupa solo di concorrenza, non di investimenti, questo per una scelta politica. In Europa i Governi non hanno più potere perché devono ubbidire a regole europee, non hanno più potere monetario né una banca centrale nazionale, non hanno più il potere di avere una politica di cambio, non hanno più il potere industriale perché c’è la commissione europea che impone delle regole per la concorrenza, dunque i Governi non hanno più potere. La politica che possono condurre è già scritta, il popolo ha il potere di cambiare il Governo, non la politica, e questa non si può chiamare democrazia.

D. È favorevole all’uscita dall’Europa e dalla moneta unica?
R. No. Il problema non è l’euro né l’Europa, il problema deriva dalle politiche sbagliate condotte in Europa. Possiamo lasciare l’euro, ma se continuiamo con le stesse politiche sbagliate non cambierà niente. Possiamo rimanere nell’euro e avere politiche intelligenti, e per avere politiche intelligenti è necessario avere un Governo europeo, un’autorità democratica che è responsabile dell’interesse generale. È possibile avere questa Europa, ma l’unica via di uscita è quella della sostenibilità, sia ambientale che sociale, per abbattere la piaga della disoccupazione e della diseguaglianza.

D. Come?
R. Conosciamo le condizioni necessarie perché abbiamo un sistema robusto di protezione sociale.

D. Cosa risponde agli economisti che dicono che, se si accentua il tema della sostenibilità, si rischia di frenare l’economia e quindi aumentare la povertà?
R. Ci sono due teorie riguardo la sostenibilità: la prima tesi è quella malthusiana che enuncia il tema della decrescita, cioè crescere meno per utilizzare in minor quantità le risorse naturali. Invece l’altra tesi, al contrario, dice che lo sviluppo dell’economia ambientale è una fonte di crescita enorme perché ripaga i danni arrecati alla natura. Io sostengo questa ultima tesi. Quegli economisti hanno torto nell’affermare che la sostenibilità implica una crescita debole, ma ammettiamo pure che abbiano ragione: per loro bisogna cercare «l’insostenibilità» invece che la «sostenibilità»?

D. Quali proposte si possono sviluppare per avere maggiore equità e per puntare su un nuovo benessere oltre il Pil?
R. Con Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’Economia nel 2001, sono coordinatore della commissione sulla misura delle performance dell’economia e del progresso sociale, che ha il compito di misurare il benessere delle persone. Ci sono varie politiche che fanno crescere il Pil ma che fanno decrescere il benessere; il Pil può aumentare anche se c’è un terremoto, quando c’è un aumento della violenza nella società, quando il traffico aumenta, il Pil cresce ma il benessere della gente diminuisce.

D. La dichiarazione congiunta al termine del G7 Energia di Roma non è arrivata perché gli Stati Uniti stanno rivedendo la propria politica energetica e climatica in favore delle inquinanti fonti fossili e del carbone. Quali saranno le conseguenze?
R. Due anni fa, nella conferenza Cop 21 di Parigi sui cambiamenti climatici, è stato preso un accordo con cui tutti i Paesi, inclusa l’America di Obama e la Cina, hanno firmato un protocollo per una politica comune sull’ambiente sulle emissioni di carbone. Dopo essere stato eletto, Trump ha intenzione di continuare con le fonti inquinanti per lasciare piena libertà ai potenti e alle lobby che hanno in mano queste fonti energetiche non rinnovabili. L’ambiente è un bene pubblico e questo significa che tutti i Paesi devono collaborare, e l’Europa deve continuare a puntare sulle fonti energetiche rinnovabili. Un giorno gli americani si renderanno conto di aver commesso un grosso sbaglio, lo stesso vale per la Russia, mentre la Cina ha capito che il benessere è essenziale per la sua popolazione.

D. E i Paesi arabi?
R. Stanno investendo molto nelle tecnologie rinnovabili perché sanno bene che arriverà un momento in cui non avranno nulla da vendere, quindi stanno diversificando la loro fonte di reddito.

D. Per far cambiare opinione all’America e alla Russia, cosa possiamo fare noi europei?
R. Niente, siamo impotenti, non abbiamo neanche un esercito e un Governo che ci rappresenti. L’Europa è sola, è l’unica regione nel mondo a non essere governata.

D. Cosa pensa del gasdotto Tap?
R. Il gas è l’energia più pulita rispetto al carbone e al petrolio, ma il gasdotto pone un problema di stabilità politica nei Paesi che attraversa rendendoli più vulnerabili agli attentati, al terrorismo, alla guerra, e dà un potere di negoziazione fortissimo alla fonte di provenienza del gas. L’Europa dipende dalla Russia e dall’Algeria. Bisogna fare tutto il necessario per avere un gasdotto ma senza possibilità di un ricatto, perché la Russia da un momento all’altro può chiudere i suoi «rubinetti».

D. È difficile non avere ricatti in questa situazione.
R. Dipende dall’equilibrio dei ricatti; se la Russia ha bisogno di beni che solo l’Europa produce e se l’Europa fosse unita, allora il braccio di ferro sarebbe proporzionato e l’equilibrio tra le due forze sarebbe molto diverso.    

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