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*Speciale Droni* Luigi Carrino (CIRA): i droni avvicinano l’uomo al mondo dell’aeronautica. E allo spazio

Luigi Carrino, presidente del CIRA

Il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali è nato nel 1984 per gestire il programma Prora e mantenere l’Italia all’avanguardia negli ambiti dell’aeronautica e dello spazio; la sua sintonia con tale mondo ha consentito la realizzazione di strutture di prova e laboratori volanti aeronautici e spaziali.

 

I droni? Un fenomeno in via di espansione, da valutare «del tutto positivamente. Perché avvicinano l’uomo comune al mondo dell’aeronautica. E se è certamente fondamentale che se ne regolamenti l’uso ai fini della tutela della sicurezza e della privacy, è altrettanto vero che, come tutte le declinazioni del progresso, anche quest’ultima non dev’essere osteggiata». Il parere è dei più autorevoli. A parlarci dell’ultima tendenza aeronautica (anche industriale), quella dei droni, ma anche a fare il punto sulle ultime sfide della ricerca aerospaziale - dalla missione su Marte del 2018 al ruolo dell’Italia nella ricerca e nelle diverse operazioni esplorative - è Luigi Carrino, presidente del CIRA, il Centro Italiano Ricerche Aerospaziali.

 

Domanda. Cos’è il CIRA, qual è la sua missione e quale ruolo svolge nel settore aerospaziale?

 

Risposta. Il CIRA è una società consortile per azioni, senza scopo di lucro, nata nel 1984, con l’incarico di gestire il programma di ricerca aerospaziale italiano. Soci del CIRA sono soggetti pubblici, che ne hanno l’ampia maggioranza, e soci privati che fanno riferimento a imprese sia di grandi sia di piccole dimensioni nei settori aeronautico e spaziale. Il socio di riferimento è l’Agenzia Spaziale Italiana, gli altri soci pubblici sono il Cnr e la Regione Campania attraverso l’Area sviluppo industriale di Caserta. Il CIRA nasce per realizzare grandi infrastrutture di prova e laboratori per ampliare le conoscenze e puntare sullo sviluppo di competenze, quindi investendo molto sui ricercatori, in modo da essere un riferimento a livello internazionale sulle principali ricerche e i principali sviluppi del nostro settore.

 

D. Quali risultati avete ottenuto nei diversi ambiti?

 

R. Il CIRA l’anno scorso ha compiuto trent’anni. Nel corso di questi decenni abbiamo costruito per conto dello Stato italiano impianti di prova che danno al nostro Paese primati importanti: ad esempio, simulare a terra ciò che accade a una navicella che sta nello spazio e deve rientrare. Nel momento in cui entra nell’atmosfera deve resistere a condizioni di flusso sia di tipo termico sia di tipo meccanico, molto complesse da simulare. Il CIRA ha un impianto, il «Plasma Wind Tunnel», che è una galleria al plasma che riproduce esattamente ciò che accade ad una navicella spaziale al rientro nell’atmosfera in termini di temperature e flusso. L’abbinamento di questi due elementi, per essere realizzato, richiede un’infrastruttura che dal punto di vista delle potenze elettriche e dei servizi necessari a simulare il flusso, richiede la disponibilità di grandi centrali elettriche e chilometri di tubazioni. Il nostro «Plasma Wind Tunnel» ha un’elevata prestanza che gli consente di realizzare temperature e flussi tra i più impegnativi oggi ottenibili, ed è il più grande per dimensioni della camera di prova a livello internazionale. Ciò ci ha portato a ospitare in questa struttura scudi termici da testare per conto delle principali agenzie aerospaziali internazionali. Ed è solo una delle nostre realizzazioni.

 

D. Quali altre realizzazioni sono state fatte dal CIRA?  

 

R. In campo aeronautico un esempio è costituito dalla galleria del vento con formazione di ghiaccio. Ancora una volta è una struttura unica nel mondo non solo per le dimensioni della camera di test, ma anche perché i nostri progettisti sono stati capaci di mettere a punto un sistema che forma il ghiaccio sull’elemento in prova, che è esattamente il fenomeno fisico che accade in quota quando un aeromobile attraversa una nuvola in condizione di pericolo. Realizzando un flusso siamo quindi in grado di verificare ciò che accade a un aereo se finisce in una nuvola della quale il nostro cliente ci specifichi le caratteristiche. Possiamo, infatti, creare nuvole secondo le varie esigenze e certificare il comportamento dei sistemi antighiaccio come richiesto dalle norme internazionali. Ho fatto due esempi tipici di impianti fondamentali, ma ne abbiamo anche altri. Impianti del genere nulla farebbero in termini di valore se non venissero utilizzati e gestiti da ricercatori e ricercatrici di assoluto valore, che sono per noi l’elemento fondamentale. Le risorse umane per il CIRA sono il punto di forza. Si tratta di ricercatori che hanno relazioni con gruppi di ricerca a livello internazionale, che pubblicano articoli sulle maggiori riviste e libri sui temi d’interesse aerospaziale. Attraverso il CIRA l’Italia siede nei contesti internazionali con il peso di questa grande capacità.

 

D. Come vi finanziate e quali sono le prospettive?

 

R. Veniamo finanziati in parte dal Governo, ma da qualche anno siamo capaci di prendere dal mercato più della metà delle entrate. Il nostro è un centro di ricerca con un bilancio sano; gli ultimi bilanci sono stati chiusi con più di 10 milioni di euro di utili, che comunque siamo obbligati a reinvestire a favore del sistema delle imprese italiane facendo altri impianti o investendo sempre sulle conoscenze dei nostri ricercatori. Il salto di qualità che quest’anno stiamo vivendo è quello di avere all’interno del CIRA alcuni nuclei di ricerca delle principali imprese aerospaziali italiane che si sono trasferiti o si stanno trasferendo presso di noi in maniera stabile. Il nostro non è più un semplice centro di ricerca, bensì il centro di ricerca intorno al quale si sono insediati e lavorano nella stessa area molte delle maggiori imprese aerospaziali, giorno per giorno e gomito a gomito, scambiandosi idee e usando i nostri impianti. Abbiamo realizzato forse l’unico esempio di polo di innovazione tecnologica oggi esistente in Italia, per di più in una terra difficile come quella in cui ci troviamo.

 

D. Dall’osservatorio privilegiato del CIRA alla ricerca aerospaziale in generale, qualisono oggi le ultime frontiere in Italia e nel mondo?

 

R. Naturalmente le frontiere della ricerca italiana sono in una logica internazionale. Dobbiamo distinguere tra ricerche in campo spaziale e ricerche in campo aeronautico. In campo spaziale l’Italia ha da tempo un ruolo molto importante sul piano scientifico e tecnologico:è stata la terza nazione al mondo, con la missione San Marco, a lanciare in orbita un satellite; ha realizzato più della metà della parte abitabile della stazione spaziale internazionale e ha il più numeroso gruppo di astronauti che sono stati sulla ISS, come Samantha. Il nostro socio di riferimento, l’Agenzia Spaziale Italiana, rappresenta gli interessi dell’Italia rispetto agli sviluppi della ricerca spaziale. Le decisioni sui programmi vengono prese in ambito europeo attraverso le riunioni ministeriali europee dello spazio. L’ultima si è tenuta nello scorso dicembre: l’Italia ha avuto un ruolo molto importante e positivo, perché ha ribadito l’interesse e gli investimenti sui principali programmi spaziali e soprattutto ha svolto un’importante azione di collante politico tra nazioni che hanno visioni diverse.  

 

D. Vuole dire che almeno in questo campo l’Europa riesce a parlare con una voce sola?

 

R. Dall’ultima riunione ministeriale l’Europa esce con un’unica famiglia di lanciatori che parte dai «piccoli» Vega e arriva fino agli Ariane 6. Finalmente ha risolto il problema della contrapposizione tra i vari lanciatori riunendoli in questa famiglia. Vega ha molta tecnologia italiana, Ariane è fondamentalmente francese, ma adesso l’intera famiglia europea condivide la propulsione, sia pure di taglia diversa. E nei concetti fondamentali, la propulsione dei lanciatori europei ha una forte matrice italiana e nello sviluppo di queste tecnologie di propulsione il CIRA ha avuto e avrà nei prossimi anni un ruolo rilevante.

 

D. Il veicolo spaziale europeo IXV, acronimo che sta per Intermediate eXperimental Vehicle, l’11 febbraio di quest’anno è stato lanciato con il Vega dallo spazioporto di Kourou nella Guyana francese. Nel 2018 è prevista una missione su Marte. Di cosa si tratta?

 

R. La missione porterà un modulo sul pianeta rosso, un piccolo veicolo che si muoverà sulla sua superficie. Il CIRA ha testato il sistema per un «ammaraggio morbido», una sorta di air bag che possa proteggere il modulo nel momento dell’atterraggio sulla superficie di Marte. L’Europa l’11 febbraio scorso ha dimostrato, attraverso l’esperimento IXV, di essere capace di sviluppare tecnologie e sistemi per un accesso autonomo allo spazio rispetto agli Stati Uniti e alla Russia. Il lancio è stato effettuato dalla stazione di Kourou e la missione è durata cento minuti. La navicella ha raggiunto la quota di circa 420 chilometri di quota prima di iniziare la missione di rientro. In volo autonomo planato è ammarato nell’Oceano Pacifico grazie ad un sistema di paracadute che ne ha attenuato l’impatto in mare.

 

D. In che modo ha contribuito il CIRA a tale missione?

 

R. L’Italia è stato in assoluto il Paese maggiormente impegnato nel progetto IXV dell’ESA (Agenzia Spaziale Europea), dalla realizzazione del velivolo fino allo svolgimento della missione. Il CIRA ha svolto un ruolo significativo: oltre agli studi in materia di aerodinamica e aerotermodinamica, alle attività di qualifica del sistema di protezione termica, il nostro Centro ha progettato ed eseguito il drop test da elicottero di un prototipo in scala reale del velivolo IXV per la sperimentazione del sistema di discesa e di recupero. Ed anche nella fase di esecuzione della missione finale, il CIRA ha fornito assistenza tecnica all’ESA attraverso la partecipazione di propri ricercatori al Team di Progetto impegnato nelle operazioni di lancio presso la Base di Kourou. Il riconoscimento dell’importante ruolo svolto dall’Italia e dal CIRA è provato dal fatto che proprio nella nostra struttura si è svolta la prima riunione dei partner europei per decidere l’ulteriore sviluppo di questo progetto che ora si chiama «Pride», orgoglio. E davvero dobbiamo essere orgogliosi di quello che facciamo. Vorrei anche aggiungere che la navicella IXV, recuperata dopo l’ammaraggio nell’Oceano Pacifico è ora esposta in uno stand realizzato dal CIRA presso la Reggia di Caserta e vi rimarrà per tutto il mese di luglio.

 

D. Veniamo ai droni. Un fenomeno che piace al punto da diventare una moda.

 

R. È vero, si corre il rischio che i droni e la corsa ad accaparrarsene uno diventi una vera e propria moda, e per tale ragione gli enti preposti alla sicurezza si stanno affrettando a emanare norme per cercare di regolamentarne l’uso, perché in alcuni casi questi droni possono realizzare condizioni di rischio e anche di pericolo. Preferisco chiamare il drone «velivolo non pilotato» o a pilotaggio remoto, in quanto «drone» dà più l’idea di un giocattolo, mentre esso costituisce una straordinaria conquista della tecnologia sia per quanto riguarda i molteplici usi che può avere, sia perché avvicina l’uomo comune all’utilizzo di strumenti aeronautici. Mi ricorda un po’ quello che accadde quando si cominciò a fare le barchette in vetro-resina:anche chi non aveva mai avuto un mezzo marino se ne procurò una, la mise sul tettuccio della sua utilitaria e cominciò ad andare per mare, una cosa del tutto positiva.

 

D. Quali effetti avrà secondo lei?

 

R. Effetti positivi innanzitutto perché può avvicinare chiunque al mondo dell’aeronautica, ma anche per gli usi che può avere. Quando parliamo di droni, parliamo di una famiglia molto vasta di oggetti per scopi e per dimensioni. Abbiamo i grandi velivoli non pilotati o a pilotaggio remoto che nei casi di uso militare possono essere di qualche tonnellata, fino a circa dieci, e possono volare a molti chilometri di altezza. Si passa poi per droni di dimensioni via via più piccole, fino ad arrivare ai micro droni, dei calabroni insomma: molto piccoli, possono essere utilissimi in agricoltura. Per adesso questi ultimi sono più un dimostratore tecnologico, ma un drone di qualche decina di centimetri, che può portare una telecamera e dei sensori ambientali, aiuta gli agricoltori a gestire in maniera più efficace le coltivazioni.

 

D. Il CIRA impiega droni?Per quali fini?

 

R. Noi al CIRA usiamo i droni per queste e per altre ragioni. Essendo responsabili dell’integrazione delle tecnologie spaziali e aeronautiche, abbiamo sviluppato sistemi che mettono insieme informazioni che deduciamo dalle mappe che i satelliti ci mandano, come è il caso dell’osservazione che avviene più vicino alla Terra ma comunque ancora in alto, e che realizziamo attraverso i dirigibili ad alimentazione con pannelli solari i quali, senza avere un impatto sull’ambiente, possono permanere in certe posizioni per giorni e giorni. Quindi, operiamo con i droni. Le integrazioni tra queste informazioni consentono ai responsabili, politici o della tutela dell’ambiente o della sicurezza, di lavorare in maniera efficace sia per prevenire alcune situazioni di rischio idrogeologico o ambientale sia per contrastare le ecomafie. Oggi siamo in grado di intercettare abbastanza velocemente situazioni che stanno avvenendo per poter poi indirizzare eventuali azioni di repressione. Il solo impiego dei droni per l’ambiente mi sembra straordinario, ma non è l’unico. Non parlo di quello militare, già noto all’opinione pubblica e nemmeno molto recente:sono già almeno dieci anni che se ne parla; penso più all’utilizzo dei droni in campo medico. Per il soccorso, si parla sempre di più di poter utilizzare i droni per raggiungere molto prima e molto più efficacemente situazioni di allarme che possono richiedere l’uso di un defibrillatore.

 

D. L’idea che si possano acquistare nei negozi tanto facilmente non la preoccupa?

 

R. Consideratone l’ampio impiego, dall’ambiente all’agricoltura al campo medico, anche al giornalismo di inchiesta purché usato correttamente, mi sembra che quest’ampiezza esprima l’utilità e l’importanza della cosa. Certo, è da gestire. Ma non bisogna aver paura delle novità. Sono da regolamentare e controllare, ma non mi sognerei mai di dire «blocchiamo il progresso». Facciamo invece in modo che l’uso sia corretto.

 

 

 

Dall’ultima riunione ministeriale l’Europa esce con un’unica famiglia di lanciatori che parte dai «piccoli» Vega, frutto della tecnologia italiana, e arriva fino ai francesi Ariane 6, risolvendo così la loro contrapposizione. Anche nello sviluppo delle tecnologie di propulsione per i lanciatori il CIRA ha avuto e avrà negli anni un ruolo rilevante.

 

 

 

II salto di qualità che quest’anno stiamo vivendo è quello di avere all’interno del CIRA alcuni nuclei di ricerca delle principali imprese aerospaziali italiane che si sono trasferiti o si stanno trasferendo da noi a Capua in maniera stabile. Il nostro non è più un semplice centro di ricerca, bensì il centro di ricerca intorno al quale si sono insediati e lavorano molte delle maggiori imprese aerospaziali, scambiandosi idee e usando i nostri impianti.

 

 

 

Preferisco chiamare il drone «velivolo non pilotato» o a pilotaggio remoto, in quanto «drone» dà più l’idea di un giocattolo, mentre esso costituisce una straordinaria conquista della tecnologia sia per quanto riguarda i molteplici usi che può avere, sia perché avvicina l’uomo comune all’utilizzo di strumenti aeronautici. Mi ricorda quello che accadde quando si cominciò a fare le barchette in vetro-resina: anche chi non aveva mai avuto un mezzo marino se ne procurò una, la mise sul tettuccio della sua utilitaria e cominciò ad andare per mare, una cosa del tutto positiva

 

Tags: Luglio Agosto 2015 droni aerospazio

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