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*Speciale energia* energia: anni di disattenzione, scarsa lungimiranza aziendale ed opinabili mosse politiche

Carlo De Masi, segretario generale della Flaei Cisl

L'energia è crocevia essenziale di ogni attività. I più sembrano dimenticarlo e non vi è  una strategia complessiva per il mercato energetico italiano. Si rincorrono con ripetitività azioni non coordinate e confuse nel tentativo di far fronte a squilibri evidenti ora nel campo della generazione elettrica tradizionale, ora in interventi di tutela ambientale resi stringenti dopo anni di disattenzione, ora in crisi aziendali dovute a scarsa lungimiranza industriale, con la conseguenza di gravare sul lavoro e sull’occupazione riducendo il servizio alle imprese e ai cittadini. Gli effetti di tanti errori sedimentati appaiono all’opinione pubblica in modo meno travolgente solo perché il crollo dei consumi e della produzione industriale fa sì che queste crisi non ci tolgano nell’immediato la luce. Ci costano tuttavia moltissimo e ce ne accorgiamo quando dobbiamo saldare il conto della bolletta elettrica.
Il settore energetico rappresenta in Italia l’unica punta di lancia del nostro abborracciato sistema economico. Eni ed Enel sono gli unici campioni nazionali di rilievo mondiale, ce ne ricordiamo per il rendimento che versano al Tesoro o per fare cassa sui pacchetti azionari. Poco invece la politica italiana fa per garantire loro uno scenario di sviluppo, di innovazione tecnologica e di ricerca in grado di sostenerli nel confronto con il mercato internazionale, o ancor meglio di accrescerne le qualità per scalare le posizioni in una classifica di vertice.
In Italia le fonti rinnovabili vengono additate come opzione troppo onerosa per il consumatore finale, in quanto il costo ricade sulle tasche dei cittadini attraverso una tassazione (A3) presente in bolletta. Tale costo ha una composizione più articolata rispetto ad altri servizi, in quanto non dipende soltanto dalla fornitura dell’energia (comprese commercializzazione e distribuzione), che pesa solo per il 49 per cento del totale, ma anche da componenti aggiuntive che ciascun utente paga, in modalità e misura diverse, per consentire il funzionamento del sistema elettrico nella sua totalità.
Il 51 per cento della bolletta è composto da una vasta gamma di oneri diffusi, stratificati nel tempo. In Italia l’elettricità ha costi superiori del 20 per cento rispetto alla media europea. Paesi come la Francia e la Germania pagano circa 20 euro in meno per un MWh rispetto a noi. I motivi principali sono da rinvenirsi nel costo elevato delle materie prime, in particolare del gas naturale; negli incentivi alle fonti rinnovabili tra i più elevati del mondo, pari a circa 13 miliardi di euro all’anno, con l’aggravante che finora non sono neanche stati pienamente usati per il fine per cui erano stati creati; in una rete elettrica che presenta ancora colli di bottiglia e magliatura non adeguata; nei numerosi tipi e sottoinsiemi di soggetti che godevano fino a poco tempo fa di esenzioni parziali dal pagamento dei costi di rete e degli oneri di sistema, con incremento del costo pro-capite per chi non gode di tali benefici; in remunerazioni aggiuntive per i produttori e i consumatori che prestano determinati servizi.
Le questioni in tema energetico da affrontare con urgenza, quindi, sono da una parte contenere il costo dell’energia che grava su imprese e famiglie, dall’altra promuovere lo sviluppo sostenibile economico e ambientale di un efficace mix energetico, senza pregiudiziali, riducendo gli incentivi che hanno prodotto forti squilibri in ambito energetico con pesanti ricadute occupazionali e poca crescita dell’innovazione e della filiera nazionale. Per crescere è necessario aumentare la competitività delle imprese e del nostro sistema economico. In Italia il mix energetico è onerosamente sbilanciato, in quanto basato prevalentemente sul gas e sulle fonti rinnovabili, differenziandosi molto dalla media dell’Unione Europea che contempla l’apporto del nucleare e del carbone. Questo squilibrio, pari a quasi il 70 per cento del totale, comporta prezzi mediamente più alti che negli altri Paesi.
La liberalizzazione del settore elettrico paga le scelte oltremodo discutibili di una politica che ha lasciato allo sbando il mercato elettrico, che ha privatizzato senza controllare, che non è riuscita ad attuare una programmazione di breve-medio termine. Il paradosso è che le tariffe all’ingrosso sono diminuite nella parte che riflette i costi del sistema nazionale, mentre la parte delle materie prime importate oscilla insieme ai prezzi mondiali del petrolio e del gas. L’intento era forse ambizioso e condivisibile - promuovere una vivace e corretta competizione tra più fornitori -, il risultato di fatto è disastroso per l’economia italiana e per i cittadini.
È mancato il soggetto istituzionale che si facesse seriamente carico della riforma. È mancata chiarezza sul «governo del sistema», la «cabina di regia» invocata ripetutamente dai più; la politica energetica ed industriale è ancora assente. Conseguentemente manca la definizione degli obiettivi e dei conseguenti obblighi: non si sa chi fa cosa. In questa situazione caotica in cui non esiste un efficace meccanismo di coordinamento delle decisioni ma una pluralità di soggetti con interessi contrapposti, il libero mercato non è ancora realizzato e davvero funzionante.
La privatizzazione d’altronde è stata attuata senza alcun controllo e monitoraggio, determinando un moltiplicarsi incontrollato di progetti di riconversione e costruzione ex novo di impianti a gas, prescindendo dalla domanda di energia sempre più in contrazione, dalla crisi economica incombente, dalle prospettive sociali del Paese, dall’abbandono dell’Italia da parte degli operatori esteri. Inoltre l’Italia ha una situazione piuttosto critica in termini di sicurezza degli impianti e indipendenza degli approvvigionamenti. Il fenomeno ha un forte impatto macro-economico per il Paese, che nel 2012 ha speso 57,9 miliardi di euro in importazioni di petrolio e gas. Inoltre, data la dipendenza dalle importazioni, l’Italia ha dovuto diversificare fortemente le fonti di approvvigionamento soprattutto per il gas, raggiungendo un livello di differenziazione superiore a quello di altri Paesi europei.
In una grande incertezza sono anche i piani di modernizzazione del parco centrali, che continua a campeggiare nei prospetti del Ministero dello Sviluppo Economico. Sono necessari interventi strutturali immediati, efficaci e duraturi, non solo per evitare chiusure degli impianti senza predisporre una riconversione intelligente con il risultato di non proteggere l’ambiente circostante e la salute dei cittadini, ma anche stabilire un equilibrio che consenta a queste unità produttive di continuare ad esistere, a produrre ovviando all’attuale sovraccapacità, alla riduzione della domanda e alle distorsioni che nel tempo si sono create, limitando le importazioni dall’estero.
Il «decommissioning» per il nucleare, la riconversione industriale per gli impianti obsoleti o non sicuri, così come la bonifica e riqualificazione ambientale per le strutture che devono essere chiuse, non devono essere visti solo come un onere per Stato e imprese, ma un’opportunità per il rilancio dell’economia nazionale e locale. L’indotto proveniente da questi progetti di recupero, oltre che ad avere una valenza meramente civica, è quantificabile come punti percentuali del prodotto interno per tutte le aziende che potrebbero essere coinvolte.
La soluzione per il rilancio del settore energia non è una sola e non può essere trovata nella semplice revisione tariffaria. Il caposaldo del cambiamento passa per la riduzione degli sprechi, l’incentivazione delle soluzioni che riducano le dispersioni di energia, la ricerca di idee nuove ed innovative per «riciclare» gli sprechi energetici. Con il decreto del 24 giugno 2014 il Governo ha assegnato nuove risorse finanziarie per la sostenibilità e l’efficienza energetica, pari a 15 miliardi di euro. Ci sono tanti progetti che potrebbero coniugare lo sviluppo del Paese con il rilancio del settore energetico. Le «smart cities» rappresentano un esempio di integrazione di sviluppo tecnologico con diverse funzioni quali: mobilità, gestione delle risorse energetiche naturali, idriche e del ciclo di rifiuti, qualità dell’aria, uso del territorio, rete di servizi, edilizia ma anche economia, partecipazione sociale, aumento di occupazione e sicurezza del cittadino.
Si parla sempre più spesso di «democrazia energetica», definita come partecipazione alla produzione e al risparmio dell’energia necessaria al proprio sostentamento. Chi la esercita supera la posizione di consumatore diventando «prosumer» cioè produttore-consumatore. Dietro questa scelta c’è una filosofia ben più ampia, in quanto il principio di base è che ognuno debba avere accesso garantito all’energia di cui ha bisogno, a patto che quest’ultima sia prodotta riducendo al massimo l’impatto ambientale o il possibile danno alla popolazione. Prima conseguenza è optare per soluzioni diversificate ed equilibrate tra tutte le fonti disponibili, evitare gli sprechi e riusare le dispersioni.
Il segretario generale della Flaei Cisl, Carlo De Masi, ribadisce da tempo come la liberalizzazione del mercato elettrico non abbia minimamente prodotto i risultati desiderati, soprattutto a causa della mancanza di una strategia nazionale in ambito energetico, oltre che per le privatizzazioni decise sull’onda delle mode non debitamente valutate e monitorate. La proposta a suo tempo avanzata dal sindacato di un osservatorio di controllo sull’apertura del mercato elettrico avrebbe potuto ovviare a molti difetti, ma non è stata presa in considerazione.
Le proposte avanzate da De Masi riguardano il sostegno alla generazione elettrica e una forte innovazione di sistema, il ricorso alla «green economy», lo sviluppo di una rete elettrica integrata ad alta efficienza, la costituzione di un parco tecnologico italiano per il «decommissioning» delle centrali e la bonifica ambientale in un ambito ancor più vasto di quello energetico. Altre priorità sono la costituzione di una società delle reti, con l’ausilio della Cassa Depositi e Prestiti, ove confluiscano le infrastrutture materiali e immateriali indispensabili per il funzionamento e la crescita del sistema sociale e produttivo nazionale, con l’apporto dell’azionariato diffuso.
La partecipazione dei lavoratori deve diventare un perno qualificante nella strategia delle imprese e dell’intero sistema elettrico. Ulteriori settori d’intervento vanno individuati nella ricerca applicata, nelle nuove tecnologie, nel promuovere il ricorso all’uso delle risorse locali, alla riduzione dei consumi, il tutto nel quadro di accordi di programma finalizzati alla crescita di una «green economy» attraverso l’uso equilibrato e sostenibile nel territorio di un efficace mix di fonti energetiche. È indispensabile, per De Masi, mettere a punto un’incisiva comunicazione istituzionale in grado di promuovere una moderna cultura ambientalista.
Abbiamo voluto richiamare, tra i tanti possibili interlocutori, un operatore sociale, quella voce del popolo improntata alla solidarietà, al bene collettivo, a un equilibrio tra le diverse necessità sociali. Questo serve più che mai alla galassia dell’energia in Italia. Riscoprire e mettere al centro delle attività il servizio e il supporto indispensabile per far crescere una società in modo equilibrato e innovativo, combinando insieme le ragioni della produzione con quelle del risparmio, della tutela ambientale, dell’efficienza delle risorse. È il progetto ambizioso sul quale poggia ogni politica di vero rilancio del nostro Paese. Solo partendo da una radicale nuova architettura delle reti energetiche intelligenti potremo far fronte allo scenario del XXI e XXII secolo altrimenti, al di là di parole vacue e di proclami asfittici, saremo spettatori di un triste declino di quello che la felice cultura europea definiva il Bel Paese.  

Tags: Ottobre 2014

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