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*Speciale energia* gian luca galletti: dal binomio sviluppo-ambiente il governo costruira' un nuovo futuro

Gian Luca Galletti, ministro dell’Ambiente  e della Tutela del Territorio e del Mare

Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare nel Governo Renzi dal 22 febbraio scorso, Gian Luca Galletti dal 2008 è stato vice capogruppo vicario dell’Unione di Centro alla Camera dei Deputati. Nel 2009 si è candidato a presidente della Provincia di Bologna ottenendo il 4,6 per cento dei voti. Si è candidato poi, nelle elezioni regionali del 2010, a presiedere la Regione Emilia-Romagna per l’Unione di Centro, ottenendo il 4,2 per cento dei suffragi. Intervistato nella sede di Radio Città del Capo durante la campagna elettorale, si è dichiarato favorevole alla localizzazione della produzione di energia nucleare in Emilia Romagna, purché il sito sia considerato sicuro e conveniente.
Dal 21 marzo 2012 è vicepresidente del Gruppo dell’UDC alla Camera dove, il 26 aprile seguente, è stato eletto per acclamazione nuovo capogruppo subentrando al leader del partito Pier Ferdinando Casini. Il 2 maggio 2013 è stato nominato sottosegretario di Stato del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca nel Governo presieduto da Enrico Letta. Il 22 febbraio 2014 è entrato nel Governo Renzi come ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Nel nuovo incarico ha aumentato, con appositi decreti, i limiti di legge di numerose sostanze inquinanti. Lo scorso settembre, in seno al Governo Renzi, ha firmato il decreto di compatibilità ambientale del progetto TAP, ossia Trans Adriatic Pipeline.
Domanda. L’energia rappresenta un fattore ambivalente di sviluppo e di rischio in ogni società industriale avanzata. Quali strategie innovative possono integrare queste politiche senza penalizzare troppo l’una o l’altra?
Risposta. Abbiamo urgente bisogno di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico: è l’unica strada percorribile per garantire il fabbisogno nazionale di energia e, nello stesso tempo, evitare che l’Italia resti dipendente a livello energetico da altri Paesi. Un peso particolare in questa strategia è rappresentato dagli incentivi alle fonti rinnovabili che offrono energia pulita e sicura, oltre che prospettive occupazionali e di vero sviluppo del Paese. Attualmente già una quota di circa il 30 per cento dei nostri consumi nazionali è soddisfatta dalle fonti rinnovabili e la Strategia energetica nazionale (Sen) si pone l’obiettivo di favorire una graduale evoluzione del sistema energetico nazionale verso una configurazione maggiormente sostenibile. Dobbiamo proseguire a passi spediti su questa strada.
D. L’ambientalismo in Italia è stato caratterizzato negli ultimi decenni da una sorta di opposizione strisciante e persistente ad ogni modernità o innovazione. Un clichè che troppo spesso ha visto, muro contro muro, progetti industriali, nuovi investimenti nel settore dell’energia da un lato e difesa ostinata dello status quo dall’altra. Ritiene che siano state occasioni mancate per il Paese, per un effettivo controllo e la modernizzazione dei sistemi energetici, per scelte equilibrate a favore della tutela dell’ambiente?
R. L’ambiente non può «dire sempre di no», deve iniziare a dire dei sì, ma soprattutto deve iniziare ad essere fonte di progetti sui quali altri devono dire di no o di sì. Altrimenti si rischia di perpetuare la funzione dell’ambiente come controllore. Invece dobbiamo essere motore, «volano» tanto per usare un termine sgradevole e inflazionato. Ci sono opere strategiche necessarie al Paese che non possono essere «paralizzate» dall’irrazionalità di un certo ambientalismo. Bisogna passare dall’emotività alla razionalità, e fidarci dell’evidenza scientifica.
R. Soprattutto a livello locale è il momento di sbloccare quelle piccole e grandi opere che, di fronte a rigide prescrizioni ambientali e a un controllo serrato sulla loro sostenibilità, possono aiutare lo sviluppo e fornire nuove opportunità di occupazione per le comunità. Un altro grande ostacolo da superare è quello delle complicazioni burocratiche. Dico sempre, con amarezza, che questo è il Paese dei «responsabili irresponsabili», in cui ognuno è sempre pronto a scaricare gli oneri sul prossimo, con il risultato che l’Italia perde enormi occasioni: è il frutto avvelenato di una riforma del Titolo V della Costituzione incompleta e frettolosa, che ha avuto il solo effetto di rinviare scelte strategiche per il futuro dell’Italia. Un’ampia rivisitazione del sistema istituzionale del Paese che acceleri e dia certezza ai processi decisionali è tra le più ambiziose priorità di questo Governo. Serve poi proseguire sulla strada delle semplificazioni amministrative: già nei primi provvedimenti di questo Governo, con notevoli accelerazioni nei procedimenti di bonifica e messa in sicurezza del territorio, dimostrando di voler fare sul serio.
D. La riconversione industriale di molti siti produttivi legati alle esigenze energetiche spesso è frenata da una visione idealistica di equilibrio eco-ambientale,. Così ci teniamo fabbriche e impianti obsoleti, non riconvertiti né sicuri. Come uscire da questo collo di bottiglia?
R. Stiamo affrontando con impegno e serietà il problema dei siti inquinati da decenni di industrializzazione pregressa, figli di una produzione incontrollata avvenuta prima che esistessero le normative ambientali. Il Governo è impegnato, come detto, nelle semplificazioni e nelle accelerazioni di questi processi, partendo da un presupposto: non ci sono alternative al rigido rispetto degli standard ambientali. Penso, come caso eclatante, all’Ilva Taranto, dove oggi c’è un piano ambientale all’avanguardia che può gettare le basi per far ripartire sul serio l’Ilva e far sperare una città oggi a rischio di desertificazione industriale. Il futuro industriale del Paese passa necessariamente attraverso il rispetto dell’Ambiente. Lavoriamo per far arrivare un messaggio chiaro, che induca un profondo cambio di mentalità: le imprese che operano correttamente nelle scelte ambientali creano le condizioni per il risparmio e il guadagno, perché investono sull’unico futuro possibile.  
D. Lei ha dimostrato in questi mesi una linea improntata ad una politica ambientale pragmatica, capace di affrontare di volta in volta le questioni per sciogliere i nodi e realizzare soluzioni condivise. È una novità apprezzabile e non di poco conto. Come pensa di coniugarla con le molteplici necessità del sistema energetico italiano?
R. Lavoriamo su molti terreni. Uno dei più importanti a mio parere è quello dell’efficienza energetica, in cui possono realizzarsi risparmi considerevoli accoppiati ad una modernizzazione di strutture e infrastrutture di cui il Paese ha bisogno. Pensiamo a una norma, contenuta nel decreto legge sulla Competitività, che assegna 350 milioni di euro per l’efficienza energetica delle scuole: sono soldi che mettiamo per la sicurezza dei giovani, che riducono inquinamento e dispersione energetica facendo risparmiare lo Stato, che danno ossigeno alle piccole imprese impegnate nei lavori. Sono tre risultati in uno. Il Paese vive una congiuntura economica molto complessa, che mette tante imprese e cittadini di fronte a scelte dolorose: e proprio per questo dobbiamo puntare sulle scelte sostenibili e più in generale sulla forza propulsiva dell’economia verde, l’unica che ha retto nel periodo di crisi, per far ripartire l’Italia.
 D. Le trivellazioni nel Mediterraneo e in particolare in Adriatico sono fortemente osteggiate sia dagli ambientalisti sia dalle comunità locali. Il Parlamento ha assunto una posizione prudente. Gli Stati confinanti, in particolare Croazia e Albania, puntano allo sfruttamento di questi giacimenti petroliferi, nel pieno rispetto delle norme dell’Unione europea e avvalendosi della professionalità dell’ENI. Le rigidità italiane non rischiano di privarci di una ricchezza necessaria per lo sviluppo, senza ricavarne utilità per l’ambiente? Un problema nell’alto Adriatico, in acque non italiane, non sarebbe evitato dai nostri dinieghi. È il momento di superare un ambientalismo rigorosamente piegato al no? Come e con quali garanzie?
 R. Sulle trivellazioni in mare l’Italia ha un impianto legislativo tra i più rigorosi in Europa. Il mio Ministero applicherà con la massima puntualità quelle norme, operando con intransigenza sia nelle valutazioni di impatto ambientale, sia nel rilascio delle autorizzazioni integrate. Detto questo, non si può pensare di andare oltre, di stringere ulteriormente le maglie e i limiti stabiliti dall’Unione europea. Nello «Sblocca Italia» abbiamo inserito il divieto di «goldplating»: non possiamo cioè andare oltre i limiti stabiliti dall’Europa. Farlo significherebbe strozzare cittadini e imprese, bloccando lo sviluppo. L’esatto contrario di quello che vuol fare il Governo, che dal binomio tra sviluppo e ambiente intende costruire un nuovo futuro di crescita per l’Italia.    

Tags: Ottobre 2014

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