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Letture Riomane

L’autrice con l’artista Gilberto Gil

Non si conosce il Brasile se non se ne conosce la cucina. Oltre 500 anni di convivenza tra indios e popoli immigrati ha condotto alla creazione di un’infinità di piatti, meraviglioso groviglio di sapori, pur sempre fortemente legati ai prodotti locali e al territorio. La cucina brasiliana è, più che mai, espressione di radici lontane: Portogallo, Africa, Italia, Francia irrompono nel samba. «Sabor Brasil», edito da Marco Serra Tarantola, ne dà atto, frutto del lavoro dell’architetto brasiliano Fernanda Bocconi Azadinho, da oltre 30 anni in Italia (a Brescia dal 1988). Padre bergamasco e madre di origini portoghesi, dal 2011 cura il sito www.saborbrasil.it.
Il sottotitolo «Ricette con storia della cucina brasiliana» è il condimento che l’autrice mette nei piatti: la cultura. Per chi avesse mai criticato, stando in Brasile, la «saudade» della cultura italiana, ecco qui il contentino: praticità (il cibo) dal retrogusto interculturale (la storia del cibo). «Mi piace cucinare e cercare informazioni sulla storia di ogni piatto, sul contesto dove viene preparato, mangiato e a quali pietanze viene abbinato. Ho scelto ricette quasi sempre molto facili con ingredienti che si possono trovare in commercio anche in Italia. Prediligo ingredienti genuini e procedimenti semplici, cercando di restare fedele alla ricetta tradizionale».   
Il volume è suddiviso in dieci capitoli a loro volta articolati in ricette, introdotte da approfondimenti. Un viaggio per le zone dell’infinito Brasile, il cui punto di partenza è il sodalizio di riso e fagioli, vera base della cucina verdeoro. Per inciso, l’abitudine al riso sarebbe stata importata dai colonizzatori portoghesi che lo avevano appreso in Oriente; accanto ai fagioli, il riso diviene una proteina di eccellente valore nutrizionale, sempre presente nel PF, il «prato feito». Dalla feijoada - reinterpretazione del cozido portoghese, della cassoeula italiana, del cassoulet francese e della paella spagnola - alla cucina baiana delle schiave africane, conosciuta anche come «cozinha do azeite» per l’aroma dell’olio di palma abbinato a latte di cocco, coriandolo, peperoncino: sul loro «tabuleiro» (la bancarella dove la baiana espone il cibo anche oggi) ecco allora le meraviglie di «vatapà», «acarajé», «xinxim de galinha», «abarà», «cocada», «caruru», e tutta la «comida dos orixàs», il cibo degli dei del Candomblé. Ed altro.
Quindi i prodotti della Foresta Atlantica, zona boschiva che produce, tra l’altro, «cajà», «jaca», «graviola», «pitanga», «mangaba»; e quelli dell’entroterra nordestino, con carne essiccata, «manioca», «paçoca», «tapioca», e la cucina sertaneja. Degli indigeni i «beiju de tapioca», la «farofa», le ricette con mais e manioca. Del Sudest (Minas, Sampa, Rio e Espirito Santo) la cucina dei «tropeiros», i mulattieri, che giunsero solo dopo a divenire cuochi della cucina brasiliana: prima di essi, era mansione femminile.
Oltre a far scoprire al lettore la pizza paulistana, l’autrice lo porta a Rio de Janeiro e lo rende edotto anche sul gelato carioca, il primo venduto nel 1834 nei locali di Lorenço Fallas, e sugli ambulanti in spiaggia che commerciano il «biscoito Globo» a base di fecola e manioca, «mate», un tipo di tè freddo, «sucolé», succo di frutta, e «picolé», il ghiacciolo. Poi la «moqueca capixaba» salendo per la costa fino a Espirito Santo e, riscendendo al Sud, un clima temperato che consente di mangiare «churrasco» dai pascoli, «quibebe» (purè di zucca), «couve refogada» (il cavolo nero in umido). Immancabili i dolci: con il latte condensato (tra gli altri i più noti «brigadeiro» e «beijinho»), dolci al cucchiaio («Romeu e Julieta», «cocada»), torte («bolos»), crostate. Il viaggio verdeoro si conclude con una sezione di foto.    

Tags: Febbraio 2016

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