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il comitato popolare dei megaeventi denuncia il governo brasiliano: tutte le azioni illegittime, una per una

SECONDA PARTE - Continua il viaggio di Rioma negli scandali brasiliani dei megaeventi, che hanno condotto la popolazione sul lastrico impoverendola e umiliandola, frustrandola e truffandola. Sono le lucide descrizioni contenute nel dossier «Megaeventi e diritti umani a Rio de Janeiro» pubblicato dal Comitato popolare di Mondiali e Olimpiadi di Rio de Janeiro, che, in maniera obiettiva e sulla base di dati, consentono di avere una maggiore chiarezza su una situazione contestata al punto tale da generare innumerevoli e gravi rivolte civili e da rendere il Paese del samba un Paese violento e pericoloso. Ma «il gigante si è svegliato».
Questa volta trattiamo dei gravissimi casi di illegalità nelle operazioni di sgombero delle aree utili allo svolgimento dei megaeventi, ad opera di tutte le forze di Polizia, in un contesto militarizzato con la motivazione fittizia della lotta alle droghe e al traffico di armi, che l’Onu ha bocciato largamente. È negli innumerevoli casi di abuso legalizzato che hanno perso la vita migliaia di «moradores» (abitanti) delle favelas e delle comunità più povere, non risparmiando anziani, donne incinte, bambini e dando luogo a inconcepibili violazioni dei diritti umani della popolazione povera e negra.

Sicurezza pubblica
La creazione, nel 2011, della Segreteria straordinaria per la sicurezza dei grandi eventi (Sesge) è andata ad affiancarsi a quegli interventi legislativi, quali le leggi antiterrorismo, caratterizzati anch’essi da una militarizzazione dell’ordine pubblico e fondati sulla guerra alle droghe. Sono stati acquistati 2.691 kit di armi e munizioni da distribuire alle forze dell’ordine per contrastare le proteste durante i Mondiali, in un «modello di gestione urbana orientato su una logica bellica che–il dossier accusa–è definita dal genocidio della popolazione negra delle periferie e delle favelas, dalla criminalizzazione delle fasce povere e, più recentemente, dalla repressione ad opera della Polizia delle grandi manifestazioni». Durante gli scontri con la Polizia il dossier rileva il numero di «minimo» 20 morti e centinaia di feriti in tutto il Brasile, conseguenza dell’azione statale. Ancora peggiore è la situazione delle favelas.
Dal 2013 sono state sistematizzate e via via aggiornate le tecniche violente di repressione delle manifestazioni, soprattutto a Rio de Janeiro, e soprattutto là - nelle favelas - dove sono state collocate «Unità di Polizia pacificatrice» (UPP), che impiegano armi letali, non letali, meno letali; queste ultime sono acquistate in proprio dagli stessi agenti di Polizia che ritengono le seconde non sufficienti. Spray piccanti sono stati usati ampiamente anche sui bambini, intossicandoli e provocando reazioni allergiche. Anche le armi «non letali» hanno prodotto vittime: è il caso del 17enne Mateus Oliveira Casé, ucciso da un’arma di elettroshock. Nel corso delle manifestazioni seguite a questa morte, la Polizia ha impiegato pistole calibro 40 sparando contro la popolazione  - azione ripresa da un operatore del tg carioca - bombe spray, spray piccanti, non da ultimo l’aggressione fisica.
Inoltre le Unità di Polizia pacificatrice sono state rafforzate con membri non previsti originariamente nella composizione relativa ai territori di occupazione militare. Si tratta, tra gli altri, del «Batalhão de operações especiais» (BOPE), del «Batalhão de policiamento de choque» (BPCHq), del «Batalhão de ações com cães» (BAC).
Il caso di Jacarezinho si è verificato il 4 aprile 2013, quando gli abitanti della favela realizzarono una manifestazione dopo che una bambina di 10 anni era stata colpita in faccia da una bomba di dissuasione e dopo che due residenti erano stati arbitrariamente detenuti per oltraggio a pubblico ufficiale. La repressione di suddetta manifestazione avveniva attraverso l’aggressione fisica e l’uso di armi da fuoco da parte dell’UPP, e lasciava tre «moradores» (residenti) colpiti dagli spari: uno di essi, Aliéson Nogueira, raggiunto alla testa da un colpo mentre mangiava un hotdog nella zona del Pontilhão, moriva a 21 anni di età. Il suo corpo veniva circondato dagli altri «moradores» per evitare che, come altre volte accaduto, la Polizia lo prendesse, affermasse di aver prestato soccorso al ragazzo ancora vivo, e lasciasse realizzare una perizia adeguata. Lavorava in un capannone di reciclo e la sua compagna era incinta di tre mesi.
Dopo la sua morte, la manifestazione si complicò e fu repressa con l’uso di bombe ad effetto dissuasorio, ma vi sono video e foto che attestano l’uso ulteriore delle armi da fuoco. Il «Batalhão de choque» prese parte all’azione. Le versioni date dai moradores e dalla Polizia sono differenti; quest’ultima ha dichiarato che non vi sono state esplosioni di colpi, se non come reazione agli spari con un fucile provocati da qualcuno all’uscita di un «beco» (vicolo molto stretto tipico delle favelas), versione negata dai testimoni all’omicidio.
Un secondo caso è quello avvenuto nell’area della Mangueira, da cui proviene una delle principali scuole di samba, in particolare nella zona dell’Olharia, in cui venne ucciso il ventenne Wellington Sabino Vieira, con tre colpi di pistola, nella gamba, nella pancia e nel braccio, accusato di traffico di droga dalla Polizia che si difendeva, secondo la propria versione, da uno scambio di colpi. Secondo le informazioni della Polizia civile, il ragazzo, venditore ambulante, non aveva alcun precedente penale. Il giorno successivo i moradores realizzavano una manifestazione contro la violenza nella Mangueira, e furono in tale occasione azionate le Unità di Polizia pacificatrice e il «Batalhão de choque» che, si racconta, usarono gli spray e le bombe dissuasorie, ma anche le armi da fuoco, dalle quali partirono colpi.
Molti sono i casi di omicidio provocati dai militari nelle favelas. Nel 2008, nella favela di Santa Marta, veniva collocata la prima Unità di Polizia pacificatrice, e da quel momento si configurava un’azione di repressione molto forte nelle località dove la UPP arrivava. Nessuna morte però veniva registrata nei primi due anni di servizio, fino al 2011 quando, nella favela centralissima, tra Ipanema e Copacaban, di Pavão-Pavãozinho/Cantagalo, l’uccisione di André Ferreira inaugurava una lunga lista di morti nelle favelas con UPP, associate ad innumerevoli violazioni dei diritti che, prediligendo la militarizzazione e l’occupazione, hanno impedito il mantenimento dell’euforia iniziale rivolta al progetto. Molti casi di morte violenta sono avvenuti proprio in occasione dei movimenti di pre-militarizzazione, necessari all’inserimento dell’UPP nei vari territori: è il caso, verificatosi il 17 aprile 2012, in cui veniva ucciso nella Rocinha Leonardo Silva, durante l’occupazione della favela, caso seguito dall’eclatante sparizione di Amarildo Dias de Souza, il 14 luglio 2013, preso dalla Polizia e scomparso dopo esser stato condotto dalla porta di casa in direzione della sede dell’UPP. La sua scomparsa è divenuta il simbolo della violenza repressiva della Polizia carioca. Siffatte condotte sono quindi divenute un’abitudine nella vita quotidiana delle favelas, causando la morte di moradores.
La Polizia militare nacque in Brasile per proteggere la famiglia reale all’inizio del XIX secolo, con una logica bellica specificata dall’aggettivo «militare» in uso dopo l’abolizione della schiavitù, che presuppone l’esistenza di un nemico. Questo nemico, con la militarizzazione dovuta alla dittatura civile e militare (1964-1985), risultò essere chiunque si opponga al regime di repressione, mentre oggi è identificato nei trafficanti di sostanze illegali, sotto l’egida di una «guerra contro le droghe» che, in realtà, non è mai, come affermano i redattori del dossier in analisi, contro le droghe, bensì contro soggetti specifici, «che hanno un colore e un’origine specifica» ossia, basicamente, «giovani, negri, abitanti delle favelas e delle periferie», ossia le vittime preferite della violenza della Polizia. Si aggiungono, ora, anche coloro che partecipano alle manifestazioni di piazza e, nel periodo dei megaeventi, la logica bellica e punitiva che si scaglia contro le fasce povere della popolazione cresce nella sua violenza.
Un altro caso emblematico è quello della «Chacina do Pan», dove «chacina» significa letteralmente «macello», riferito al massacro verificatosi nel Complexo di Alemão (complesso di favelas nella zona nord della città con circa 160 mila residenti e uno dei quartieri con il più basso indice di sviluppo della città di Rio), risultato di una mega-operazione di Polizia svoltasi il 27 giugno 2007, poco prima dei giochi pan-americani, per «placare» il Complexo ed evitare che i trafficanti «disturbassero» l’evento. Ne risultarono 19 morti nella stessa data, ma dal 2 maggio - giorno di inizio ufficiale delle operazioni - secondo i dati trasmessi dal Partito socialista unificato dei lavoratori, almeno 44. Per tutti quei giorni furono praticamente chiuse anche le scuole, a causa delle sparatorie e dei confronti continui tra moradores e Polizia. Quell’operazione venne definita dal Governo come una vera e propria dichiarazione di guerra al traffico, con l’impiego di tutte le forze militari che circondarono il Complexo. Da quando la cocaina, negli anni 90, è divenuto il più grande commercio nelle favelas, sono morte nell’Alemão almeno 30 mila persone.
La stessa situazione si ripeté nell’altro, non lontano complesso, quello «da Maré», un’area molto vasta localizzata tra l’aeroporto internazionale Galeão e il centro della città, dove le vie principali Avenida Brasil e Linha Vermelha delimitano geograficamente gli accessi alle varie favelas: nella notte del 24 giugno 2013 la Polizia del Batalhão de operações especiais entrava a fucili spianati nella favela Nova Holanda per realizzare un’operazione che sarebbe durata fino alla mattina del 25. Un sergente del Bope morì per un colpo, insieme a 10 moradores, uccisi da agenti della Polizia militare di Rio.
A tutt’oggi la Maré è occupata dall’Esercito sulla base del decreto n. 3.461 del Ministero della Difesa del dicembre 2013, proprio in occasione dei megaeventi, che prevede l’impiego dell’Esercito per le operazioni di garanzia della legge e dell’ordine da parte dell’Esecutivo in determinati casi definiti «minacce»: azioni contro la realizzazione di petizioni elettorali che possano modificare una votazione o la sua determinazione; azioni di organizzazioni criminali contro le persone o il patrimonio, incluse navi a bandiera brasiliana, piattaforme di petrolio e gas in continente brasiliano; blocco delle vie pubbliche di transito; invasione di proprietà e installazioni rurali o urbane, pubbliche o private; paralisi di attività produttive o di servizi critici o essenziali per la popolazione o per settori produttivi del Paese; sabotaggio di luoghi dei grandi eventi; rapine in stabilimenti commerciali.
Il presidente Dilma Roussef aveva già affermato che, se necessario, avrebbe fatto uso delle forze armate, e a marzo l’allora governatore di Rio de Janeiro, Sérgio Cabral, annunciava l’approvazione, da parte del Governo federale, della richiesta fatta dallo Stato di applicare il decreto «Glo» («Garantia da Lei e da Ordem») nel Complexo da Maré, territorio che era già occupato dal Bope. Anche in questo caso, come in quello anzidetto dell’Alemão, l’esercito occupò l’area in una logica bellica, creando, ai fini della realizzazione pacifica dei megaeventi, un «cinturone di sicurezza» favorito dalla geografia propria del Complexo da Maré. Anche in precedenza erano stati portati alla luce progetti di ingresso delle Unità di Polizia pacificatrice nella Maré, mai comunque andati in porto.
Ad esempio nel 2011, durante l’operazione compiuta dal Bope nelle favelas Parque União, Nova Holanda, Baixada do Sapateiro e Morro do Timbau, furono lanciati da un elicottero volantini con scritto: «La tua favela sta per essere pacificata. Denuncia criminali, fuggitivi, arme, droghe. Aiuta il Bope ad aiutarti, l’anonimato è garantito», con i recapiti del Bope. Successivamente l’ufficio stampa della Polizia militare disse che non si trattava di un’occupazione ai fini dell’installazione di un’Unità di Polizia pacificatrice, e che erano stati riutilizzati volantini provenienti da un’operazione nella comunità della Mangueira «per incentivare i moradores a denunciare i locali di armi e droghe per telefono». Nuove notizie dell’occupazione della Maré giungevano nel 2012 con l’annuncio dello spostamento del Bope dal quartiere centrale di Laranjeiras a quello di Ramos, provocando la campagna «Siamo della Maré ed abbiamo diritti», realizzata da Redes da Maré, Anistia Internacional e Observatório de Favelas. Intanto, venivano condotte le UPP all’interno del Complexo de Alemão e in Villa Cruzeiro.
Altro caso significativo è stato quello della cosiddetta «Favela da Telerj», nome dato all’occupazione di un terreno nel quartiere Engenho Novo, zona nord di Rio, verificatasi il 31 marzo 2014 da parte di circa 8 mila persone, abitanti nelle favelas Rato Molhado, Jacarezinho, Manguinhos, Mandela e Baixada Fluminense, impossibilitate a vivere a Rio a causa dell’enorme aumento del costo della vita dovuto ai megaeventi. Dopo una settimana dall’occupazione, l’operatore telefonico Oi - concessionario di servizio pubblico - chiedeva la reintegra nel possesso dei terreni e, sebbene fosse stato stabilito un termine per l’uscita pacifica degli interessati dalla Favela da Telerj, la Polizia militare dello Stato di Rio de Janeiro si mosse l’11 aprile con un’azione violenta e senza la presenza di ufficiali di giustizia come prescrive, per la legalità di un intervento simile, la normativa sulla reintegrazione. Aggrava l’illegalità dell’azione anche l’orario in cui essa veniva iniziata, alle 5 della mattina, contro la normativa interna che stabilisce che tali procedure non possono essere cominciate prima delle 6 di mattina, e contro le norme internazionali.
Gli agenti di Polizia militare hanno usato armi letali e non, dato fuoco alle abitazioni di legno e anche impiegato gru, ferendo molti moradores, inclusi anziani, donne incinte e bambini. Alle famiglie è stato impedito di tornare alle proprie case per recuperare mobili, vestiti, documenti. L’operazione è stata realizzata da Bope, Bpchq, Bac, pompieri, guardia municipale e poliziotti non identificati, che hanno utilizzato largamente bombe dissuasorie. Oltre ad essere armati di fucili, gli uomini del Bope giravano con maschera ninja sotto il casco per nascondere il viso, hanno impiegato anche pistole di uso personale e molteplici sono state le aggressioni fisiche e verbali.
Il 25enne Maycon Gonçalves Mello, «ragazzo delle pizze», mentre provava ad aiutare una donna ferita per portarla all’ospedale, veniva colpito da una pallottola a un occhio perdendo così la vista, e veniva soccorso dalla madre. Dopo la rimozione coatta, circa 21 occupanti che tentavano di rifugiarsi in un supermercato venivano presi dalla Polizia e portati nei vari commissariati; 12 di essi erano bambini e adolescenti tra gli 11 e i 16 anni, contro la norma di legge che prescrive di condurre soggetti minori ad un Commissariato specializzato.
Dopo l’operazione, nessuna alternativa è stata offerta agli occupanti dalla Prefettura di Rio de Janeiro; molti di essi, privi di possibilità anche indirette, si sono diretti alla sede della Prefettura per esigere il rispetto del loro diritto alla casa, dando vita a ciò che è stata chiamata l’Occupazione Oi-Telerj; dinanzi alla Prefettura molte sono state le minacce di espulsione violenta e in caso di resistenza le intimidazioni sistematiche, con la presenza costante delle forze di Polizia militare armate. Nella mattina tra il 17 e il 18 aprile, agenti della Polizia militare con la faccia coperta hanno impiegato gas lacrimogeno e forme di violenza diretta su quegli occupanti; questi si sono diretti verso la Cattedrale metropolitana di Rio e, dopo 3 settimane di resistenza per strada, alcuni sono stati condotti alla Chiesa di Ilha do Governador, ma nessuna soluzione ragionevole è stata offerta dal potere municipale.
Azioni simili sono state sempre appoggiate e si sono incrementate all’alba dei megaeventi, con il pretesto della guerra contro il crack e il traffico di armi, configurando gravi e reiterate violazioni dei diritti umani della popolazione povera e nera. A metà del 2012, durante «Rio+20», l’occupazione del Morro Santo Amaro da parte della Forza nazionale di sicurezza è stata accompagnata dal motto «Crack, è possibile vincere», programma del Governo federale in collaborazione con gli Stati e i municipi. Ma è alla luce del giorno che di tutte le azioni compiute poche hanno riguardato la lotta alle droghe e troppe hanno coinciso con la liberazione di terreni necessari per lo svolgimento dei megaeventi.
Sono molti i progetti di legge al vaglio del legislatore statale e federale che intendono creare un supporto giuridico a queste azioni, tra i quali si annovera la proposta di tipizzazione del reato terroristico. Proposte in linea di massima caratterizzate da vaghezza eccessiva nella definizione degli elementi del reato, ad esempio, condotta che genera «panico» o «paura» nella popolazione», che comportano il rischio di criminalizzare i movimenti sociali. In ogni caso il giornale dello Stato di San Paolo ha pubblicato un articolo in cui si denuncia l’acquisto di carri armati per il Bope, il BPCHq e la Core, squadra speciale della Polizia civile, al fine di rafforzare la sicurezza dei grandi eventi quali la Giornata mondiale della Gioventù, la Coppa delle Confederazioni, i Mondiali di Calcio, le Olimpiadi. Per giustificare il quanto, la Segreteria statale della Casa civile argomentava che gli altri carri armati sono obsoleti e compromettono le azioni quotidiane sempre più volte alla riappacificazione di territori prima dominati dal traffico di droghe e di armi e allo sviluppo di misure utili a combattere il terrorismo. «Specificità della criminalità nella regione e, più di recente, la responsabilità dell’ospitare dei grandi eventi, esigono un grande investimento da parte dello Stato nella riparazione e modernizzazione delle proprie forze di Polizia».
La Polizia è, in Brasile come in rari altri casi, ancora vincolata alle Forze armate e a uno Statuto militare. Nel 2012 a Ginevra, in occasione della revisione periodica universale realizzata dall’Onu, il Brasile ha ricevuto ben 170 raccomandazioni da parte della Commissione per i diritti umani. La numero 60, di iniziativa danese, chiedeva la soppressione della Polizia militare come passo fondamentale per la riduzione delle esecuzioni extragiudiziali praticate dalla Polizia, unica espressamente rigettata dal Brasile, con la motivazione che essa non può essere accettata «alla luce del dettato costituzionale sull’esistenza delle forze di Polizia civile e militare».   

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