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la ripresa? possono avviarla famiglie e imprese, ma senza pagare il «dazio»

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

utti intenti a parlare di politica, a discutere, a litigare, a fare previsioni su alleanze, posti di Governo e di sottogoverno. Nessuno a parlare di economia, a cominciare dall’inflazione. È in corso, infatti, un fenomeno nuovo, anormale, sconvolgente: l’aumento della stessa nonostante la crisi economica, la diminuzione della domanda, le esperienze del passato, gli insegnamenti dei vecchi e veri economisti e delle cosiddette leggi economiche. È in atto un aumento dell’inflazione consistente nell’aumento di prezzi e tariffe. Ma allora non è vero che, quando diminuisce la domanda di beni e servizi, calano i relativi prezzi e tariffe?
Certo che è vero. Se i grandi economisti del passato, prevalentemente stranieri, l’hanno sostenuto, è perché hanno studiato quanto era avvenuto e avveniva nelle periodiche, ricorrenti crisi. E l’hanno codificato in opere insigni e insegnato nelle università. Ma nella loro encomiabile opera mancava un’esperienza fondamentale, codificabile in un’altra legge, quella della furbizia italiana. Legge in base alla quale avviene proprio il contrario: invece di diminuire prezzi e tariffe, gli operatori privati e pubblici, cioè commercianti, artigiani, professionisti, imprenditori, aziende erogatrici di servizi pubblici come acqua, energia elettrica, gas ed altro, li aumentano.
Non è una supposizione. Basta, per provarlo, l’esperienza quotidiana di ciascun consumatore. Quanti esercizi pubblici, bar e ristoranti per esempio, somministrando un minor numero di caffè o di pranzi, anziché ridurne il prezzo l’hanno aumentato per cercare di ripianare i loro bilanci? E poiché l’aumento percentuale di inflazione, che si calcola in base non al numero delle transazioni eseguite ma al livello dei prezzi e delle tariffe di alcuni prodotti e servizi, si applica a cascata in altri settori, il risultato finale è paradossalmente l’ascesa dell’inflazione anziché, a causa della crisi, la sua diminuzione.
In tutti questi mesi di discorsi, convegni, trasmissioni tv, abbiamo sentito dibattere questo problema da politici e aspiranti tali? Mai. E neppure di un altro problema enorme, ad esso collegato, quello del cosiddetto «fiscal drag». Anche se si riducono i consumi, quando aumentano i prezzi e le tariffe crescono invisibilmente anche le tasse pagate dal consumatore. Perché, oltre ad altre imposte e tasse, l’Iva si applica anche a quella parte di prezzo e di tariffa che il consumatore paga in più. Quindi aumentano la pressione fiscale e gli introiti del fisco, mentre il prodotto interno lordo non è aumentato, ma è diminuito.
I politici continuano ad ignorare questo meccanismo sia perché probabilmente alcuni non lo conoscono, sia perché non gli interessa, sia perché non gli conviene dirlo per motivi elettorali, per non perdere il consenso, per continuare in silenzio a lucrare vantaggi personali che la loro posizione assicura. E sciorinano le condizioni posteci dall’Unione Europea, le direttive, i trattati. Dinanzi ad ogni difficoltà interna, anche dinanzi ai suicidi di decine di imprenditori distrutti più dall’ignavia dei pubblici amministratori interni che dalla crisi economica internazionale, non risulta che i rappresentanti italiani nella Commissione Europea, che è il Governo dell’Unione, abbiano mai discusso, protestato o semplicemente posto il problema in seno alla Commissione stessa e al Parlamento europeo.
Che deve pensare la gente dei propri rappresentanti nelle sedi europee? Ovviamente, che vi stanno solo per difendere il loro interesse personale, il loro «status», lo stipendio, i benefici che ne traggono. Non di rado si scopre che un politico, sparito da anni dalla scena italiana e dimenticato, è invece un nostro rappresentante nelle sedi istituzionali europee. E chi lo sapeva? Non ci si è mai accorti della sua sopravvivenza istituzionale perché non ha mai dato segni di vita, si è limitato a farsi parcheggiare a Bruxelles o in altre amene cittadine mitteleuropee, dotate di tutti i comfort e i sollazzi. Che hanno fatto o detto, per esempio, quando il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno convocato a Francoforte il presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi e gli hanno ingiunto di dimettersi, licenziandolo come neppure si fa con un cameriere? A prescindere dalle gesta e dal comportamento privato di Berlusconi, potevano umiliare e offendere il capo del Governo di un Paese partner come l’Italia? Che hanno detto, fatto, obiettato i suoi massimi rappresentanti nel Governo europeo, ossia nella Commissione Europeo, tra l’alto designati proprio dallo stesso Berlusconi?
 Avvenuto per metà, il rinnovamento della classe politica italiana deve proseguire in qualsiasi modo, se si vuole il superamento della crisi economica e comunque la ripresa delle attività, degli investimenti, dell’economia interna. Il problema è come avviarla, Si avvia, anche autonomamente e automaticamente, se cambiano le condizioni, cioè se si manifestano favorevoli opportunità interne. In primo luogo è ovvio che occorre porre un freno ai trattati e alle direttive europee strumentalmente penalizzanti solo per l’Italia e favorevoli solo all’Europa continentale.
Ma soprattutto devono cambiare le condizioni interne, deve essere favorito l’apporto alla ripresa da parte dei privati, anziché ostacolato dalla burocrazia e dalla parapolitica esosa e mafiosa. Devono essere abolite tutte le leggi emanate dal 1990 in poi, ufficialmente per semplificare, decentrare, rendere trasparente la Pubblica Amministrazione, difendere la privacy, regolare il mercato; leggi che, in oltre venti anni di applicazione, sono state stravolte e impiegate da burocrati, pubblici amministratori e politici in malafede soltanto per ostacolare, frenare, bloccare le iniziative e le attività private.
Sono servite ad istituire, in ogni livello e grado, nuovi «dazi», come quelli situati un tempo in appositi caselli e uffici, nei quali gli operatori economici dovevano, ad esempio passare a pagare un’imposta per far entrare nel territorio del bestiame o per condurlo al macello. La situazione da allora non è cambiata, solo che oggi i proventi di questo «dazio» non vanno allo Stato o al Comune, ma agli esattori. Se si abbattono queste barriere, per avviare la ripresa non ci sarà bisogno neppure di grandi investimenti in opere pubbliche da parte dello Stato: essa avverrà da sola, grazie alla fiducia che potrebbe rinascere nei giovani, nelle famiglie e nelle imprese.    

Tags: Maggio 2013

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