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possibile l’alleanza tra il capitale e la piazza: di chi la colpa?

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Molti avevano sperato che la discesa in campo di Mario Monti nell’intricata situazione politica, economica e finanziaria interna e internazionale, riuscisse, a causa delle crescenti difficoltà incontrate dalla maggioranza delle famiglie e delle imprese, a ricondurre la società italiana un po’ indietro negli anni, non dal punto di vista economico e sociale dato che l’arretramento stava inesorabilmente avvenendo da solo, ma dal punto di vista della moralità, dell’onestà, della coscienza civica, del dovere, della vera voglia di lavorare. Obiettivi, questi, che coincidono in parte con gli interessi dei grandi gruppi economici e industriali, ma anche con quelli di medie e piccole imprese a gestione prevalentemente familiare, ridotte allo stremo non solo dall’arroganza, dalla voracità e dalla cavillosità della classe politica e burocratica, ma anche dal lassismo, assenteismo, consumismo esasperato, indotti nella stessa classe lavoratrice dal cattivo esempio della classe dirigente del Paese. E dai falsi miti creati in primo luogo da una televisione essenzialmente fuorviante. Purtroppo non è stato così, il Governo Monti è stato presto assediato e ridotto all’impotenza dalla preesistente classe politica. Ma questo ha alimentato un altro fenomeno e ha infuso, in molti, un’altra speranza: quella nella protesta spontanea della gente, nell’autodifesa dinanzi alla rinnovata offensiva dei professionisti della politica, niente affatto intenzionati a lasciare il potere. Al quale potere i detentori non rinunciano mai spontaneamente: la storia insegna che esso si perde soltanto per due cause, la rivoluzione o l’arrivo di un esercito straniero. Negli ultimi secoli, però, vi sono state solo due rivoluzioni, quella francese e quella sovietica. Quale dopo-elezioni si prospetta, allora? Sondaggi pre e post elettorali ed esercitazioni accademiche di opinionisti, oltre a mancare di attendibilità, hanno lo scopo e il risultato di distrarre l’attenzione della gente, di catturarne il consenso a favore di qualche mandante. La nuova forma di comunicazione televisiva, prima più sinceramente chiamata «propaganda», costituita dai talk show, è talmente frastornante, superficiale, infarcita di falsità e di battute da bar dello sport o addirittura da osteria, anziché da notizie concrete e da seri approfondimenti, da squalificarsi ormai da sola. L’hanno dimostrato i raduni spontanei, le Piazze San Giovanni affollate dal popolo di Beppe Grillo. Il quale Grillo, riduttivamente definito su internet «comico, attore, attivista, blogger e politico italiano», rifiutando di partecipare alle concordate e ripetitive messe in scena televisive, ha risuscitato l’Italia dei comizi, della presenza fisica delle masse alle presentazioni dei candidati, del confronto diretto, non preparato né pilotato ai danni della gente, come è stato nella recente campagna elettorale tv il confronto-clou, definito «il più atteso», tra l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il conduttore di talk show Michele Santoro. Certamente quella di oggi non è l’Italia degli anni 1918-1922; nessuno, al di sotto dei 75 anni di età, ricorda una guerra. Non ci sono reduci dal fronte, mutilati, invalidi, giovani che allora, nel 1918, tornati a casa non trovavano lavoro, anzi erano derisi e offesi dopo aver trascorso quattro lunghissimi anni di durissima trincea, e aver donato alla Patria - o se questa parola non è più di moda, alla collettività -, i migliori anni della loro vita. Non ci sono proteste, scioperi, interruzione quotidiane di pubblici servizi come allora; non ci sono 600 mila famiglie in lutto per il mancato ritorno dal fronte di giovani di 25-30 anni, spesso unico sostegno dei vecchi genitori, della moglie, dei figli. Ma, a ben riflettere, questa è un’Italia proprio simile a quella, perché l’odierna società si sente privata di altrettanti beni, materiali e morali, ereditati o conquistati. Aveva conosciuto negli ultimi decenni un benessere mai raggiunto prima, in buona parte oggi andato perduto. Se non il «posto fisso» per tutti, in alcuni anni aveva raggiunto il pieno impiego; non esistevano più i contadini; impiegati, artigiani e commercianti acquistavano titoli azionari; il proletariato aveva conquistato Statuto dei lavoratori, giusta causa per i licenziamenti, settimana corta, settimana bianca, seconda auto, seconda casa, multiproprietà, villetta a schiera; trascorreva le vacanze in villaggi-vacanze, crociere, e sempre più spesso all’estero; andava in ferie tre volte l’anno, e ormai sempre più sulla propria barca. Al posto della gioventù semianalfabeta di cent’anni fa, nei paesi le ragazze sfoggiano lauree in Ingegneria e Matematica, facoltà che, mi ricordo, terrorizzavano anche i più secchioni studenti di 50 anni fa. E diritti tanti a tutto, basta chiederli; e doveri nessuno e in nulla. Per una società del genere l’attuale crisi economica non è peggiore dei quattro anni trascorsi in trincea sul Carso tra cimici, pidocchi, topi, liquami, fango e montagne di cadaveri insepolti? A tutto questo la classe politica che è stata finora al potere non pensa, indaffarata in traffici di risorse pubbliche, a beneficio neppure di partiti ma di lobby, quando non direttamente delle proprie tasche. Come crediamo che potranno comportarsi, dopo questo tsunami economico e politico, quanti il 24 e 25 febbraio scorso si sono astenuti dal voto o hanno votato per Grillo? Poiché in politica tutto è possibile, potremmo assistere anche a un’alleanza tra il diavolo e l’acqua santa. Quindi non dovremmo meravigliare di alleanze tra poteri economici e movimenti di piazza. Con la crisi economica che si aggrava, con il benessere che si riduce, con le crescenti difficoltà di famiglie e imprese per di più impreparate al risparmio, alla previdenza, alla sobrietà, con una massa di giovani stanchi di essere emarginati, a me sembra che stavolta l’esasperazione di tanta gente potrebbe sfociare in alleanze anomale, paradossali ma possibili, già formatesi in Italia in situazioni critiche. Per questo urge un ritorno agli antichi valori di onestà, moralità, solidarietà. Le elezioni del Papa hanno sempre risvegliato nei popoli i sentimenti migliori; quelle attuali costituiscono una coincidenza favorevole a una ripresa non solo economica, ma morale del Paese. L’alternativa è costituita da una saldatura tra il capitale e la piazza, dapprima auspicabile ma successivamente pericolosa per la libertà e per la democrazia. Ma di chi sarebbe la colpa? 

Tags: Marzo 2013 Victor Ciuffa

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