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Etruria Story: Angoli ancora oscuri su alcune banche popolari italiane

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

L'Assoconsum, associazione a tutela dei consumatori riconosciuta dai Ministeri dello Sviluppo Economico, dell’Economia e delle Finanze, è tornata sul tema dei rapporti con le banche, tema tuttora di stretta attualità che ha occupato la scena italiana da circa sei o più mesi, a causa dei problemi derivanti dall’attività che tale associazione svolge a difesa di consumatori, utenti e cittadini, ossia la tutela dei diritti dei risparmiatori lesi da azioni delle amministrazioni bancarie cadute in default ed ora oggetto del decreto ministeriale del 22 novembre scorso. Le iniziative, tradotte in esposti alle Procure della Repubblica delle città sedi delle banche, e in aperture di sportelli finalizzati all’ascolto e all’assistenza dei risparmiatori danneggiati, hanno riguardato principalmente le situazioni delle Popolari di Vicenza, di Etruria e Alto Lazio, di Banca Marche, Carife, Carichieti e Veneto Banca. Ad esse deve aggiungersi la Banca Popolare di Roma, la cui attività ed esistenza si è protratta a lungo a causa del ritardato intervento della Banca d’Italia la quale, a causa di quel malfunzionamento e dei risultati negativi, è intervenuta nel sistema bancario ordinando ad un’altra banca popolare, appunto quella dell’Etruria e dell’Alto Lazio, in attività da tempo e con risultati tutto sommato neppure insoddisfacenti, di subentrare alla Banca Popolare di Roma acquistandone a un prezzo prefissato le azioni in possesso dei soci.
Afferma Aldo Perrotta, presidente dell’Assoconsum: «Ciò che a nostro parere è successo trova spiegazione nel Consiglio di amministrazione delle banche, trovatesi in sofferenza e in posizione di incaglio a causa di fidi facili concessi con l’avallo della dirigenza amministrativa: dei direttori generali, dei direttori delle diverse aree di comparto e degli organi di controllo, alle società di alcuni consiglieri di amministrazione e ai loro amici». Questa l’ultima nota dell’Assoconsum sugli avvenimenti realmente accaduti i quali, dopo oltre 10 anni, hanno finalmente portato in primo piano il malfunzionamento in Italia non di una o più banche, ma di un intero sistema legislativo utile a gruppi di potere economico, finanziario e bancario e al risparmiatore privato, oltreché pubblico, per conquistare un potere economico e finanziario eccezionale soltanto collegando tra loro in forma cooperativa soggetti operanti nell’economia, anche in semplici piccole e medie aziende industriali e artigianali e in famiglie oculate e risparmiatrici.
Il sistema delle banche popolari italiane era però un meccanismo insicuro, secondo la teoria di molti esperti di diritto bancario.
A seguire i punti della nota dell’Assoconsum.
1) La prima anomalia riscontrata a suo carico era stato il comportamento delle banche dinanzi ai primi segnali di perdita poiché, invece di sopperire ad essa con un aumento di capitale, le banche cominciarono a chiedere, anzi di fatto a costringere le aziende con necessità di ottenere prestiti e quindi a sottoscrivere a loro volta un prestito alla banca stessa sotto forma di acquisto di obbligazioni secondarie ad un tasso d’interesse leggerissimamente superiore rispetto al consueto. In altri termini, le aziende, per ottenere prestiti, erano state costrette a sottostare alle condizioni dettate dalle banche.
2) Una seconda anomalia registratasi consisteva nell’operazione che aveva coinvolto in prima persona i piccoli e semplici risparmiatori, la cosiddetta «clientela retail»; con l’illusione di prospere prospettive, i cittadini erano stati persuasi a sottoscrivere obbligazioni secondarie rimanendo all’oscuro sia della situazione della banca sia del rischio che avrebbero corso.
3) Prosegue la nota dell’Assoconsum: «Inoltre, al risparmiatore, inesperto e con totale fiducia nella propria Banca, non è stato sottoposto l’intero questionario Mifid contenente le direttive europee da adottare, o forse in molti casi gli era stato sottoposto soltanto in parte, e in questo modo si era riusciti a farlo risultare un obbligazionista molto esperto. A tal proposito supponiamo che alcune parti siano state compilate in seguito alla sottoscrizione delle azioni addirittura proprio in questi giorni; oppure che siano state fatte del tutto sparire, prova evidente il fatto che, malgrado le richieste dei consumatori, i questionari siano stati difficilmente restituiti. La situazione ora è grave in quanto si ha difficoltà a capire come restituire il denaro o meglio i risparmi ai cittadini truffati. Pertanto per le ragioni sopra esposte abbiamo chiesto che vengano bloccati innanzitutto i patrimoni di tutti i componenti dei diversi organi collegiali (Consigli di amministrazione, Revisori dei conti, Collegi sindacali, Dirigenti apicali ecc.) che hanno contribuito, con la loro negligenza, alla crisi finanziaria e alla situazione in cui versano le diverse banche». Conclude l’Assoconsum: «Riteniamo che tutti gli obbligazionisti secondari, se retail, debbano essere risarciti interamente così come gli imprenditori costretti ad acquistare le obbligazioni. Diversa cosa ovviamente è per gli speculatori».
Nella convinzione di poter contribuire allo sviluppo economico di Roma, del Lazio e dell’Italia centrale in particolare, la creazione del mensile di politica ed economia «Specchio Economico», che io stesso edito, fu concepita all’inizio degli anni Novanta da me e da un gruppo di operatori economici romani e di famiglie tradizionalmente ossequienti alle norme e ai princìpi vigenti all’epoca soprattutto, in campo finanziario e del risparmio. Oggi è stato quasi del tutto dimenticato che in quegli anni, o meglio sin dai primi anni dopo la seconda guerra mondiale, fu istituita la Giornata mondiale del Risparmio, caratterizzata da un’ampia partecipazione di banche, istituti di credito, rappresentanti di istituzioni nazionali cioè Governi, Parlamenti, Banca d’Italia ecc. Erano inoltre gli anni dello smantellamento dello «Stato padrone» e della liberalizzazione e privatizzazione delle cosiddette aziende a partecipazione statale. In campo bancario lo Stato deteneva azioni del Banco di Santo Spirito, dell’Ina, del Credito italiano ed altri gruppi, destinati ad essere via via sciolti ed alienati o accorpati.
Fu così che ebbe l’effetto di una bomba all’inizio degli anni 90 la notizia che a Roma stesse crescendo l’iniziativa della creazione di una Banca Popolare, detta appunto «di Roma». Mentre le regioni del Nord erano fittamente presidiate da potenti organizzazioni bancarie e finanziarie, cominciavano a diffondersi nomi di presunti padrini e promotori, di gruppi finanziari ed anche politici o facenti riferimento a partiti e leader nazionali o locali, all’epoca appartenenti alla maggioranza di Governo: «Alecce e Calcagni fondano la Banca Popolare di Roma», scrisse per esempio un giornale finanziario.
Ma fu un’altra cordata guidata da un manager, Gianroberto Nicoli, già presidente di un’azienda a partecipazione statale del Gruppo Iri, ad arrivare per prima a versare l’ingente somma richiesta come deposito presso la Banca d’Italia, per ottenere da questa l’autorizzazione, all’esercizio dell’attività di raccolta del credito. Su Milano Finanza del 26 gennaio 1991 scriveva Alessandro Rossi: «Entro il 1991 sarà operativa la Banca popolare romana. Parola di Pasquale Alecce, imprenditore, e di Ivo Calcagni, finanziere. La loro idea ha già fatto strada nella Roma che conta e in calce all’atto costitutivo avevano trovato posto firme di personaggi che animavano il mondo politico ed economico della capitale: dall’ex presidente dell’Efim Stefano Sandri al giornalista ex direttore del Corriere della Sera Michele Tito, dal presidente dell’Efimdata Gianroberto Nicoli a Gian Piero Granai, ritenuto braccio destro del segretario generale della Cisl Franco Marini, a docenti universitari come Gianfranco Lizza, membro della Vigilanza di Bankitalia».
Proseguiva Rossi: «L’idea di Alecce e Calcagni era di costituire una banca a misura di cliente, in grado di personalizzare i servizi e i rapporti con i correntisti oltre a finanziare le idee imprenditoriali della borghesia romana. Tra l’altro a Calcagni e ad Alecce non sembrava proprio che mancassero né le idee né i soldi: il primo, ex braccio destro di Florio Fiorini alla direzione finanziaria dell’Eni, presidente dell’Alifin da poco, aveva ricavato circa 17 miliardi dalla vendita a un gruppo venezuelano della compagnia d’assicurazioni Delta; il secondo si era lanciato alla conquista della Lazzaroni che, dicevano a Roma, avrebbe potuto essere il primo cliente privilegiato della banca che stava per nascere. Ma soprattutto Calcagni era molto attivo sulla piazza romana: oltre a macinare trading finanziario e immobiliare con la sua Alifin, era entrato con il 10 per cento nella società editrice del quotidiano del pomeriggio di sinistra Paese Sera e stava approntando il rilancio del giornale. Inoltre non nascondeva altri progetti sia nel settore editoriale sia in quello sportivo. Intanto era già partita la sottoscrizione delle quote da 10 mila lire ciascuna, fino a un massimo di 15 milioni per ogni socio, della Banca popolare di Roma come prevedeva la legge. L’obiettivo era arrivare a mille sottoscrittori per mettere insieme i primi 15 miliardi e ottenere l’autorizzazione di Bankitalia a cui sarebbe seguito un cospicuo aumento di capitale in modo da rendere operativa la banca al più presto. In nemmeno due mesi (l’atto costitutivo del comitato promotore era stato stilato alla fine del novembre 1990) avevano già aderito oltre 500 soci fondatori. Alecce e Calcagni erano già a caccia della sede: una palazzina al centro di Roma nei pressi di Piazza di Spagna». Così concludeva.

«Popolare di Roma nasce ambiziosa. Obiettivo: pareggio al primo anno». È questo il titolo, invece, che dava lo stesso Milano Finanza circa un anno dopo, in un articolo a firma Marco Esposito. Che scriveva, tra l’altro: «La pubblicità che i giornali economici attribuivano all’iniziativa di Nicoli, intanto, spingeva la Consob ad intervenire per chiedere il deposito di un prospetto informativo per la raccolta delle sottoscrizioni, prospetto che venne vidimato il 10 ottobre 1991. Costituita a fine gennaio la società, Popolare di Roma doveva trovare adesso un direttore generale, completare la raccolta delle sottoscrizioni (i soci erano 1.200 ed avevano versato una prima tranche del 50 per cento per complessivi 6 miliardi). Doveva quindi arrivare l’ok definitivo della Banca d’Italia, quello che autorizza l’esercizio dell’attività di raccolta e concessione del credito».
«Secondo Nicoli­–continuava l’articolo–l’apertura dello sportello avrebbe potuto aver luogo già nel successivo mese di maggio. Si contava, inoltre, di raggiungere il pareggio del bilancio fin dal primo esercizio. La banca di Nicoli non era la sola fra le Popolari pronte ad aprire i battenti. In prima fila c’era anche la Banca popolare di Castrovillari e Corigliano (in provincia di Cosenza), che aspettava in quei giorni l’autorizzazione all’esercizio dall’organo di Vigilanza per aprire il primo sportello, a Castrovillari, mentre in marzo sarebbe stato il turno della Banca popolare di Frosinone, ad aprile della Popolare Campana, nel centro di Napoli. In buona posizione erano anche Vittoria, San Giuseppe Vesuviano, Vibo Valentia, Isole partenopee, Trieste, Province Pugliesi con sede a Galatone, nel Leccese».

Relazione degli amministratori all’assemblea ordinaria dei soci della Banca popolare di Roma svoltasi il 24 e 25 aprile 1993. La riporto a seguire per dar conto dei fatti. «La società ha espletato tutti gli adempimenti connessi: alla sua costituzione, alla conseguente organizzazione, all’individuazione della prima sede operativa nella quale sarebbe stata svolta l’attività sociale ed al complesso iter, richiesto dalla Banca d’Italia, per l’ottenimento della indispensabile autorizzazione all’esercizio del credito. Il capitale sociale versato dai soci, pari al 50 per cento di quello sottoscritto, era stato impiegato sul mercato finanziario. Il risultato di tale attività aveva consentito di chiudere il primo esercizio dell’azienda con un utile lordo di L. 557.194.453. Detto importo corrispondeva, in termini annui, ad un rendimento di circa il 12,40 per cento del capitale investito, al netto dei costi di gestione e degli ammortamenti di legge. L’utile netto, dopo l’accantonamento per il Fondo Imposte, era pari a L. 264.110.453».
«Il Comitato dei Promotori aveva dovuto sostenere una vertenza giudiziaria in difesa della denominazione sociale «Banca Popolare di Roma», che un altro Comitato di promotori aveva ritenuto di poter usare a danno della società. La vertenza era stata definita dal Pretore di Roma con sentenza del 19 dicembre 1991, che aveva confermato il diritto del Comitato dei Promotori della prima banca di usare in esclusiva detta denominazione. Si era quindi potuto dar corso alla costituzione della società, con atto notarile in data 31 gennaio 1992, sulla basa dell’autorizzazione della Banca d’Italia del 28 agosto 1991 e a seguito di autorizzazione della Consob del 17 ottobre 1991».
«Le attività di organizzazione della Banca, che vicendevolmente si condizionavano, avevano richiesto tempi più lunghi di quelli previsti, specie per la scelta della sede che doveva avere i requisiti di destinazione d’uso per l’esercizio del credito: che fosse situata in posizione di prestigio ed il più accessibile possibile e che potesse essere locata ad un canone di affitto contenuto. La scelta della sede in Piazza Venezia/Piazza Madonna di Loreto, nel Palazzo cosiddetto delle Assicurazioni Generali, si riteneva che assommasse al meglio tutti detti requisiti. Si era provveduto poi a dar corso ai lavori di allestimento della prima dipendenza, a definire il sistema informatico e il sistema di sicurezza, in modo da consentire al direttore generale ed agli altri collaboratori, che nel frattempo sarebbero stati assunti, di dare avvio all’attività bancaria in tempi strettamente correlati con l’autorizzazione della Banca d’Italia all’esercizio del credito».
Nel mondo e conseguentemente in Italia era già in atto la crisi economica dalla quale ancora non si esce. Così continuava quella relazione: «Signori Soci, nel sottoporre alla vostra approvazione il bilancio al 31 dicembre 1992, vi confermiamo che i criteri seguiti nella valutazione delle varie voci patrimoniali, negli ammortamenti ed accantonamenti, sono conformi a quanto stabilito dal combinato disposto dal decreto del Ministero del Tesoro 19 novembre 1975 e della normativa sui bilanci delle società e sulla relazione degli amministratori, di cui agli articoli 2424 e seguenti del codice civile. Vi confermiamo, altresì, ai sensi dell’articolo 10 della legge 72/83, che, nel patrimonio della società non figurano cespiti assoggettati a rivalutazione e che, ai sensi dell’articolo 2 della legge 619/83, non figurano in bilancio riserve o fondi formati con utili o proventi assoggettati ad Irpeg, né riserve o fondi formati con utili o proventi non assoggettati a formare il reddito della società o non concorrono a formare il reddito imponibile dei soci».
Gli amministratori concludevano esprimendo «sentimenti di vivo ringraziamento ai soci che hanno manifestato fiducia nell’iniziativa, elemento fondamentale per la creazione della Banca Popolare di Roma», «agli esponenti dell’organo di Vigilanza per la cortese considerazione riservata nella fase di costituzione della banca», nonché «all’Associazione nazionale delle banche popolari italiane per gli apprezzati consigli forniti».

Illustrazioni delle voci di bilancio. La Cassa ammontava a 937.700 delle vecchie lire, i crediti verso aziende di credito invece a 5.976.297.935 di lire (241.636.906 di lire il saldo attivo dei conti correnti bancari; 5.697.502.523 di lire l’ammontare delle operazioni di investimento titoli pronti contro termine in essere al 31 dicembre; 37.158.506 di lire l’importo per competenze maturate sui conti correnti alla data del 31 dicembre ed accreditate nel gennaio 1993). Per quanto riguarda il la sottoscrizione dei soci, il conto ammontava a 5.671.750.000 di lire e riguardava il 50 per cento delle quote sottoscritte da richiamare. Altri crediti: 146.271.047 di lire di cui 30 milioni come caparra versata per la locazione dei locali da adibire a sportello bancario; 104.162.723 come credito verso il comitato dei promotori per versamento di quote ecc. Gli oneri pluriennali ammontavano a 37.576.736 di lire spesi per gli atti notarili di costituzione, pari ad originarie lire 46.970.920, per le quali era stato effettuato l’ammortamento in conto per 9.394.184 di lire, con il consenso del collegio sindacale. I ratei attivi (calcolati con il consenso del collegio sindacale) ammontavano a 73.723.540 di lire e riguardavano il rateo di competenza dell’esercizio dei proventi sulle operazioni di pronti contro termine in essere. I debiti erano di 16.867.250 di lire (16.151.250 di lire verso professionisti e verso il collegio sindacale, per compensi di competenza dell’esercizio; 570 mila lire i debiti verso l’erario per ritenute di acconto effettuate; 146.000 lire per spese maturate sui conti correnti bancari in essere.
Il Fondo imposte era di 282.079.225 lire, pari all’importo da versare all’erario sui redditi dell’esercizio in sede di definizione dell’imponibile fiscale. Il capitale sociale ammontava a 11.343.500.000 di lire pari a 1.134.350 azioni di nominali 10.000 sottoscritte da 1.250 soci. Le spese generali ammontavano a 30.840.213 di lire così come da dettaglio inserito nel prospetto di bilancio. Eccole: le spese bancarie ammontavano a 312.600 di lire e riguardano spese e commissioni maturate sui conti correnti bancari ed in relazione a 12.031.250 di lire e riguardano il compenso al collegio sindacale di competenza dell’esercizio. Le imposte e tasse ammontavano a 4.996.732 di lire e riguardano tasse dell’esercizio.
L’accantonamento imposte ammontava a 293.084.000 di lire e riguardava le imposte sui redditi di competenza dell’esercizio. L’ammortamento oneri pluriennali ammontava a 9.394.184 lire ed era stato calcolato nella misura del 20 per cento delle spese sostenute. Gli interessi attivi bancari ammontavano a 36.720.698 di lire e riguardano le competenze maturate sui conti correnti in essere. Sotto la voce «Altri proventi finanziari» erano posti 578.048.734 di lire così composti: lire 317.034.000 per proventi sulla negoziazione di commercial papers; lire 159.609.603 per proventi sulla negoziazione di titoli in pronti contro termine; lire 101.405.131 per altri proventi rivenienti del comitato dei promotori.

Proposte ai soci nel bilancio. «Signori Soci, siete oggi chiamati ad approvare il primo bilancio della vostra società che, per i motivi sopra espostivi, non è ancora entrata in operatività come banca. Siamo però certi che in breve tempo la vostra banca potrà diventare un sicuro motivo di orgoglio per tutti voi, oltre che essere in grado di compensare gli investimenti da voi effettuati nella stessa, assicurando altresì alla compagine sociale condizioni di miglior favore, rivenienti dai principi di mutualità e cooperazione. Per quanto concerne l’utile netto di L. 264.110.453, tenuto conto di quanto previsto all’art. 47 dello statuto sociale, vi proponiamo di destinarlo come segue:
- L. 13.205.525 (pari al 5 per cento) a riserva ordinaria;
- L. 26.411.045 (pari al 10 per cento) a riserva straordinaria;
- L. 100.000.000 (pari a circa il 40 per cento) al fondo per l’acquisto o il rimborso di azioni della società;
- L. 124.493.883 importo residuo a incremento della riserva straordinaria.

Ne deriva conseguentemente la proposta per il primo esercizio di non procedere alla distribuzione di utile ai soci, né a stanzianti in favore dei componenti il consiglio di amministrazione e per scopi di beneficenza.
Signori Soci, vi informiamo infine che, a norma dell’art. 28 dello Statuto sociale, nella riunione del Consiglio di amministrazione del 24 marzo 1993 sono risultati scaduti, per compiuto mandato in base a sorteggio, i signori consiglieri:
- Dr. Victor Ugo Ciuffa
- Prof. Giovanni Coda Nunziante
- Dr.ssa Sara Limentani
- Dr. Fulvio Mosetti
Gli stessi sono rieleggibili a norma di detta previsione statutaria».

Relazione del collegio sindacale al bilancio chiuso il 31.12.1992. «Signori Soci, il bilancio della Banca Popolare di Roma Soc. Coop. a r.l., chiuso al 31 dicembre 1992, che il Consiglio di amministrazione vi sottopone per l’esame e l’eventuale approvazione, espone i seguenti dati globali:

SITUAZIONE PATRIMONIALE
Attività L. 11.906.556.958
Passività L. 298.956.505
Capitale sociale L. 11.343.500.000 L. 11. 642.446.505
Utile netto L. 264.110.453

CONTO ECONOMICO
Profitti e rendite L. 614.769.432
Spese e perdite L. 350.658.979
Utile netto L. 264.110.453

La relazione risulta redatta secondo le disposizioni di cui all’art. 2429 bis del Codice civile e rispetta le disposizioni del comma 1 dell’art. 10 della legge 72/83 riferibilmente alle rivalutazioni dei beni, nonché del comma 7 dell’art. 105 del D.P.R. 22.12.86, n. 917 circa la classificazione a fine fiscale delle riserve e dei fondi.
Per quanto di propria competenza, il collegio vi dà atto che:
- le appostazioni di bilancio sono conformi ai saldi delle scritture contabili;
- i criteri di valutazione risultano adottati nel rispetto del dettato civilistico e, per quanto in particolare concerne le spese di costituzione e d’impianto, le stesse sono state, con il nostro accordo, iscritte in bilancio e ammortizzate nella misura del 20 per cento;
- i ratei attivi sono stati iscritti, col nostro accordo, in base al principio della competenza temporale;
- i crediti sono riportati a valore di libro, corrispondente al presumibile valore di realizzazione.
Il Collegio sindacale ha partecipato alle riunioni del Consiglio di amministrazione ed ha effettuato i prescritti controlli periodici constatando l’esistenza di una buona organizzazione contabile, l’osservanza dell’atto costitutivo e della legge ed un regolare tenuta della contabilità. Per tutto quanto sopra esposto, il collegio sindacale ritiene che il bilancio relativo all’esercizio 1992 - così come predisposto dal Consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Roma, società a responsabilità limitata - sia meritevole della vostra approvazione».

MIE CONCLUSIONI DI OGGI. In linea di massima ufficialmente tutto in ordine, ma era effettivamente così? La piccola nuova banca era destinata a crescere per vari motivi, a cominciare dal momento favorevole agli investimenti finanziari di piccole e medie aziende e di famiglie operose e risparmiatrici.
In questo suo proficuo lavoro di crescita trovava qualche difficoltà dovuta al fatto che molte, troppe erano a Roma e nel suo hinterland laziale le attività in espansione: in particolare era in corso la sostituzione di tutte quelle aziende fiorite nell’area tiburtina nel settore grafico-cartaceo-digitale il cui boom aveva caratterizzato una vasta area a confine con il Comune di Roma, a cavallo dell’autostrada ancora in costruzione Roma-l’Aquila-Termoli-Mare Adriatico, un fitto tessuto di imprese avente la funzione anche di collegare quel Mare con il Tirreno e con la capitale del Paese; sviluppo che in pochi anni cambiò la fisionomia di numerosi anzi di tutti gli abitati cresciuti lungo le strade statali Tiburtina, Prenestina, Casilina, Salaria e le autostrade Milano-Roma-Napoli e Milano-Napoli.
Non avrebbe dovuto costituire una novità la previsione di un rapido e tumultuoso sviluppo di ogni attività in un’area fino ad allora agricola ma, in qualche anno, divenuta un «orto informatico» intensamente coltivato anche dagli operatori leader mondiali nel settore informatico e digitale. Lo sviluppo era diventato così esteso e profondo da far cambiare nome all’intera area che per di più era pedemontana in quanto estesa lungo le falde della catena appenninica o, meglio, preappenninica, ossia: l’area tra la Valle del Sacco e la via Tiburtina, ai piedi della catena montuosa pure chiamata Area Tiburtina e considerata la Silicon Valley italiana anzi romana, laziale e tiburtina, divenuta una specie di Far West ciociaro.
Per di più lo sviluppo sembrava attenuarsi visto soprattutto che l’apertura dell’Autostrada A24 da Roma a Teramo passando per l’Aquila era destinata a provocare un’esplosione di traffico e di traffici da rendere impercorribile la vecchia Via Tiburtina fino alla realizzazione, nel 2015, di branche supplementari chiamate «complanari»; tutto il nuovo sistema stradale intorno a Roma e sulle direttrici Milano-Roma-Napoli.
All’epoca era anche in programma il completamento dell’autostrada Napoli-Reggio Calabria, quindi i politici e responsabili delle infrastrutture avrebbero dovuto non solo prevedere ma favorire lo sviluppo infrastrutturale quindi anche finanziario dell’area centrale e meridionale piuttosto che delle aree del nord, che erano avanti di qualche decennio, anziché fare la guerra al Sud e agli strumenti che erano serviti ai politici ed agli economisti per fare concorrenza al Sud, se non per frenarlo ostacolandone appunto il completamento delle poche opere pubbliche in atto.
Era proprio opportuno allora il tardivo intervento della Banca d’Italia diretto ad interrompere attività eventualmente non corrette di qualche dipendente o dirigente delle nate o nasciture Banche Popolari (intervento che interrompeva l’attività della neonata Banca Popolare di Roma)? E conseguentemente creare uno scombussolamento in tutto quell’utile mercato delle Popolari? Lo era intervenire allora per imporre il regolare funzionamento delle banche che comunque costituiscono sempre, grazie al capitale di cui possono disporre, di uno strumento di attività, iniziative, opere e programmi?

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