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vuoto politico per il futuro e rimpianto per i vecchi partiti

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Il ricordo dei partiti che hanno operato in Italia nel secondo dopoguerra suscita una decisa repulsione in una parte dell’attuale classe politica, quella che è stata favorita dalla loro scomparsa e che avrebbe tutto da perdere nel loro ritorno; si tratta di quanti, senza alcun impegno, azione, fatica, sono stati semplicemente cooptati da chi intendeva servirsi di loro, e che pertanto si sono immeritatamente trovati a ricoprire importantissime cariche pubbliche, perfino di Governo, ricevendone lautissimi vantaggi innanzitutto di carattere finanziario. La sola prospettiva di un ritorno al precedente sistema dei partiti li angoscia, come pure una riedizione del sistema elettorale proporzionale che li costringerebbe, se vogliono conservare i loro privilegi, a ricominciare da capo, a crearsi cioè lentamente e umilmente una base elettorale. Nella totale incertezza e paralisi delle istituzioni e in piena crisi economica, la classe politica al potere deve però trovare urgentemente una via di uscita, elaborare una prospettiva per il futuro. Scartato il ritorno allo status quo ante, ossia al sistema della prima Repubblica che pure è durato quasi 50 anni, le strade sono due: prorogare con marchingegni vari, come una pseudo riforma elettorale, il sistema attuale che in meno di 20 anni si è autosqualificato, o trovare un nuovo modello che tuttavia, viste le recenti e amare esperienze, rappresenta per la gente di buon senso un inequivocabile «salto nel buio». E, questo, sia perché neppure l’importazione di sistemi politici in vigore in altri Paesi, dove potrebbero anche funzionare bene, ne garantisce l’efficacia in Italia, Paese particolare dotato di una popolazione ancor più particolare, caratterizzata da spiccato individualismo, genialità, creatività e soprattutto insofferenza verso qualsiasi formula omologante, per di più in un’epoca in cui non esistono più ideologie che uniscano i cittadini in grandi schieramenti, alleati o contrapposti. E sia perché non c’è comunque accordo su quali sistemi stranieri eventualmente adottare, per cui i modelli stranieri proposti finiscono inevitabilmente bocciati dall’una o dall’altra parte, e ancor più i cocktail a base di diverse componenti, elaborati da alchimisti costituzionali costituzionalmente contrapposti. L’assetto della prima Repubblica nacque facilmente grazie alla seconda guerra mondiale che, oltre ad abbattere il regime precedente, liberò il campo politico-parlamentare; e fu costruito da persone rese accorte dagli immani sacrifici subiti, ovvero da uomini che, per non correre ulteriori rischi e tragiche avventure, idearono un sistema politico perfettamente bilanciato grazie a una serie di pesi e contrappesi costituzionali. Tanto che, finché non si diffuse un relativo benessere nella popolazione e non scomparvero le ideologie, quell’assetto assicurò un lungo periodo di pace, stabilità e prosperità, nonostante i grandi e accaniti contrasti allora esistenti nel mondo. Sinceramente occorre riconoscere che anche quel sistema ad un certo punto si deteriorò, manifestando via via una serie di lacune e degenerazioni. Ma la lacuna principale era dovuta ai costituenti i quali, avendo costruito un edificio perfetto, dimenticarono però come affrontare i costi per il suo mantenimento. Ma la maggioranza degli italiani avversava le ricette marxiste e comuniste, e non era possibile contenere la pressione della sinistra senza una minuziosa e poderosa organizzazione a base di sezioni diffuse capillarmente in città e campagne, di sedi, segretari, consigli direttivi, ovvero di guardiani del territorio, richiedenti tuttavia consistenti costi. Finché le movimentate, alterne vicende del finanziamento dei partiti portarono alla fine della prima Repubblica. Le inchieste giudiziarie su tangentopoli fecero cattiva scuola ai successivi politici che, con una silenziosa sequenza di leggi, trasformarono la Pubblica Amministrazione eliminando tutti i controlli, attribuendo ogni responsabilità alla dirigenza e riconquistando di fatto una nuova immunità. Ma non solo la corruzione portò alla fine della prima Repubblica; anche il fenomeno della cosiddetta «partitocrazia», intesa come assunzione delle decisioni da parte di ristrettissime oligarchie al vertice dei partiti, pur in un regime formalmente democratico, corroborato da periodiche consultazioni degli iscritti attraverso assemblee e congressi sezionali, comunali, provinciali, nazionali; da deliberati da rispettare e da attuare in ogni sede, specie in Parlamento; da uno Statuto e da una severa disciplina. Finito tutto questo, travolta dallo strapotere dei «leader», dall’arroganza dei gerarchi, dalla corruzione, dall’appropriazione di danaro pubblico per finanziare non i partiti ma i singoli faccendieri, la classe politica deve ora decidere il futuro. Ma come? Si sta cercando di inventare di fatto uno strumento per la designazione dei candidati alle massime cariche, le cosiddette elezioni «primarie», o meglio indicazioni compiute senza alcun rispetto per la trasparenza, e che hanno dato già numerose dimostrazioni negative, in quanto facile terreno di brogli e di strumentalizzazioni. Si tratta infatti di esperimenti e strumenti basati sull’arbitrio, sulla falsità, sull’inquinamento da parte degli avversari che intervengono nelle altrui «primarie» per ostacolarne o dirottarne i risultati, per cui sono in una parola la negazione della democrazia e della validità delle investiture. In altri campi, strateghi della politica, professori universitari, costituzionalisti e opinionisti da anni architettano formule ma restano inascoltati, forse perché a servizio di qualche potere, manifesto od occulto. I risultati di tutto ciò sono la sfiducia, lo scoramento, la rassegnazione di gran parte della popolazione, che oltretutto si accinge ad affrontare la fase più dura e più lunga della crisi economica, senza una prospettiva o una previsione di ripresa. Ormai si diffonde l’opinione che per uscire dalla palude politica, economica e sociale, il pesante prelievo fiscale del Governo Monti debba non solo continuare, ma inasprirsi in modo che la dissennata classe politica dirigente venga fortemente ridimensionata. E al posto degli avatar odierni tornino al potere statisti e politici parsimoniosi, lungimiranti, onesti come quelli di un tempo. E, se necessario, tornino anche i partiti come nel dopoguerra, i cui esponenti, per quanti difetti avessero, non possono essere paragonati a certi politici di oggi.

Tags: Novembre 2012

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