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SUPERARE LA CRISI? PRIMA O POI ’O SOLE MIO PROVVEDERà

L'editoriale di Victor Ciuffa

Quando una classe politica disonesta ha compiuto danni all’economia e allo Stato sociale, questi ultimi sono, o quanto meno appaiono ineliminabili: i responsabili possono continuare a compierne altri, all’infinito, e lo fanno con il pretesto di introdurre le «riforme», necessarie appunto per toglierli, ma che invece sono superflue, dannose, peggiorano e allargano gli errori, provocano nuovi danni e certamente attribuiscono altri poteri e benefici ai loro autori. Come è avvenuto e sta avvenendo in maniera smaccata e sfacciata dal 1990 in poi: da quando, per combattere tangentopoli e la corruzione dell’epoca, sono stati allentati tutti i poteri pubblici di controllo sul comportamento della classe politica e amministrativa, tra l’altro con la complicità o quanto meno con la tolleranza della magistratura istituita appositamente per controllarli.
Malgrado la grave crisi economica italiana, aggravata da quelle europea e di altre aree del globo, la situazione economica e sociale interna non accenna a migliorare; si registrano di quando in quando annunci di presunti miglioramenti in qualche settore o comparto, ma indimostrati e indimostrabili, diffusi strumentalmente dalla classe politica e in particolare governativa per supportare con qualche dato, non solo incontrollato ma indimostrabile «ictu oculi», l’utilità della loro fantastica azione: dico fantastica perché esce solo dalla fantasia dei loro supporter da salotto.
Invece la popolazione, la massa, le famiglie hanno riscontri concreti, reali, giornalieri sulla situazione, sulla crisi. Basta che i loro componenti si rechino, per le necessità quotidiane, o settimanali, o mensili, in un supermercato, in una di quelle megastrutture commerciali - create e gestite non certo e non solo da gruppi economici ed imprenditoriali commerciali o distributivi italiani o stranieri, cosiddetti multinazionali -, ma da componenti politiche e amministrative non solo nazionali, bensì locali: regionali, metropolitane, cittadine, rionali.
Chi consente infatti l’insediamento, anche nel più piccolo Comune o borgata d’Italia, di un megacentro commerciale, o comunque di una di queste strutture multicommerciali e multifunzionali? Specializzate nel compiere stragi di galline, vitelli, maiali; nel cancellare produzioni agricole nostrane e tradizioni caratteristiche regionali e locali. Luoghi in cui si vendono alimenti non si sa dove e come prodotti dove e come distribuiti in così ingenti quantità, ma di fatto normalmente irriproducibili.
Se, a causa della crisi, si volesse tornare, in Italia, ad esempio all’agricoltura o all’allevamento di animali, non sarebbe assolutamente più possibile: perché i cosiddetti «poteri forti» tanto temuti dagli italiani nei decenni di fine ‘900, agendo e alleandosi con i politici al potere hanno distrutto, eliminato un sistema e ne hanno creato un altro, estraneo, invincibile per vari motivi: principalmente economici, sociali, giuridico-legislativi ecc.
Oggi il problema principale della massa è diventato quello dei redditi ormai insufficienti per vivere, per andare avanti, per costruirsi qualche certezza per il futuro, come un lavoro stabile, una casa propria, una famiglia, una professione. Si pensa poco o niente, però, al problema generale, al problema dei problemi: consistente in una risposta, inimmaginabile, all’interrogativo: come ricostruire il mondo? Come ricominciare a vivere, a lavorare, a coltivare la terra, a produrre per sé e per gli altri, a venderne i frutti? Come superare, insomma, questo dopo-terremoto che certi legislatori sono riusciti ad instaurare? Forse con finanziamenti, sovvenzioni, ammortizzatori sociali, benefici, bonus, incentivi, provvidenze, elemosine dello Stato e di altri enti pubblici? Ma chi fornisce al settore pubblico i mezzi finanziari per alimentare questa fiumana di risorse sparse al vento? Solo le tasse?
I politici sono abili nel creare aspettative e illusioni, pur di conservare i loro privilegi. Ebbene che fanno? Facilmente, ingenuamente, spericolatamente possono promettere pure ad ogni cittadino, dal giorno della nascita a quello della morte, l’erogazione di uno stipendio per campare. Ovviamente per campare senza fare niente, perché un sistema del genere alimenterebbe l’assenteismo, lo sfruttamento, il parassitismo, la corruzione e tutti gli altri mali possibili in una società non rigidamente controllata né ancorata alla produzione collettiva e personale di beni e servizi.
Ebbene, invece di assistere ad iniziative dirette a ricreare le condizioni di vita della società distrutta negli ultimi decenni, sentiamo alimentare queste speranze e prospettive in una società governata, per di più, non da personaggi esimi, onesti, distintisi nel mondo del lavoro, della produzione, del benessere, ma da squadre di veline inevitabilmente sciampate e mesciate, di assistenti di politici, di pseudo-parlamentari. È possibile che avvenga tutto ciò? È possibile instaurare definitivamente ed esclusivamente un Paese di Bengodi?
Almeno fino ad ora non si è assistito ad iniziative serie, concrete, per avviare la ripresa economica, ridurre la disoccupazione contraendo anche, se necessario, la forza lavoro straniera. Non si sono fatti programmi anche semplicemente culturali per favorire il ritorno all’economia del primo ‘900, alla produzione agricola, industriale, manifatturiera e artigianale che dia risultati positivi, accrescitivi. Non si smette di imporre nuove tasse e di distribuire ingenti capitali in incentivi e ammortizzatori sociali senza risultati. In definitiva: è giusto, è salutare ed è consigliabile continuare a «fare i meridionali del passato», cioè a confidare solo su «‘O sole mio», ad aspettare che la crisi si risolva da sola, attraverso piccole, frazionate, incerte iniziative personali, familiari, aziendali? Ma allora a che servono tanti inutili e insulsi dibattiti televisivi?

Tags: Marzo 2015 Victor Ciuffa

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