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L'editoriale di Victor Ciuffa

Presso ogni classe sociale vi è un po’ di cattivo uso della ricchezza. E sebbene, parlando in generale, possiamo dire che ogni aumento della ricchezza delle classi lavoratrici accresce l’intensità e la nobiltà della vita umana perché è impiegato principalmente nella soddisfazione di bisogni reali; nondimeno anche fra gli artigiani in Inghilterra e forse ancora di più nei Paesi nuovi, si scorgono segni che dimostrano lo svilupparsi di quel malsano desiderio di ricchezza come mezzo di sfoggio, che è stato la rovina principale delle classi agiate in ogni Paese civile. Le leggi contro il lusso sono state inutili; ma sarebbe un vantaggio se il sentimento morale della collettività potesse indurre la gente ad evitare ogni sorta di sfoggio di ricchezza individuale. Vi sono, è vero, piaceri veri e degni che si possono ottenere con una magnificenza saviamente ordinata: e tanto meglio quando essi sono del tutto esenti dalla vanità personale da un lato e dall’invidia dall’altro; come avviene quando si accentrano in edifici pubblici, pubblici parchi, pubbliche collezioni artistiche e pubblici giuochi e divertimenti. Finché la ricchezza è destinata a provvedere ad ogni famiglia il necessario per la vita e per la cultura, e un’abbondanza delle forme più elevate di godimento per uso collettivo, il perseguimento della ricchezza è un fine nobile: ed è presumibile che i piaceri che essa apporta si sviluppino con lo svilupparsi di quelle attività più elevate che essa suole promuovere».
Questo scriveva quasi un secolo fa il grande economista e politico inglese Alfred Marshall, nato a Londra  il 26 luglio 1842 e morto a Cambridge il 13 luglio 1924, autore di storie e di scritti oggi preziosi per noi che, giunti alla seconda grave crisi economica seguita alla sua scomparsa, non vogliamo rendercene conto, con tutte le difficoltà del momento non solo in Italia ma in mezzo mondo. I governanti appunto di mezzo mondo tra i quali quelli dei Paesi più grandi e, almeno un tempo, più potenti, faticano a trovare una soluzione, una via di uscita, tra deflazione, povertà, degrado, sottosviluppo e sofferenze per enormi masse di persone e per intere popolazioni. Eppure la sua teoria è scritta lì, grave e tonda, chiara, semplice e luminosa, pronta all’uso, capace di riportare il mondo o almeno mezzo mondo sulla buona strada, quella dello sviluppo, del progresso, della salute, del benessere, dell’istruzione, della scienza e della tecnologia, sia pure tentate e non ancora perfettamente raggiunte.
Per raggiungere questi obiettivi nell’ultimo secolo l’umanità ha combattuto due grandissime guerre, appunto mondiali, e molte altre, uno stillicidio che tuttora si protrae insanguinando ingiustamente Paesi e popoli che non hanno alcuna colpa, che non fanno nulla di male, che vorrebbero svilupparsi in pace, in tranquillità, in amore e in feconda collaborazione. Ma chi era questo Marshall, un esaltato, un illuso, un pazzo, un folle che faceva la notte sogni di impossibile realizzazione?
Non certo. Forse sarà stato un nemico acerrimo di vanitosi, dei vuoti, dei mondani, degli esibizionisti, forse in quei tempi aveva anche ragione, perché sempre nella storia dell’umanità vi sono state persone di questo tipo, o meglio dell’uno e dell’altro tipo, e non senza un motivo si sono odiate e combattute. Del resto con le proprie idee Marshall sperava solo di favorire il progresso e il benessere della società degli uomini come lui. E proprio in questo brano che riporto indico la nobiltà delle sue idee, dei suoi programmi economici e politici, che avrebbe cercato di realizzare se ne avesse avuto il potere; ed è certo che nelle sue parole c’è una grandissima novità, questa: presso  ogni classe sociale c’è un po’ di cattivo uso della ricchezza. E in quasi due secoli di esperienza, acquisita da allora, c’è qualcuno che può negarlo al giorno d’oggi?
Anzi c’è la più grande, solare, tragica dimostrazione delle sue poche, semplici parole: anche se la sua teoria è contenuta in un ponderoso libro dal titolo «Principii di Economia» pubblicato nel 1890. C’è qualcuno, economista o politico che potrebbbe dire: non è vero quello che disse Marshall, non è vero che ogni aumento della ricchezza delle classi lavoratrici accresce la nobiltà e la sicurezza della vita perché è impiegato principalmente nella soddisfazione di bisogni reali e non è vero che lo sviluppo di ogni mezzo malsano di sfoggio è stato la rovina principale delle classi agiate in ogni Paese civile. E che sarebbe un vantaggio che il sentimento morale della collettività potesse indurre la gente ad evitare ogni sfoggio di ricchezza individuale. Ecc. ecc. Viviamo un’epoca ampiamente e stupendamente profetizzata da Marshall ma non ci badiamo: soprattutto i politici offrono esempi del tutto opposti, che altro può derivarne oltre alla rovina a cominciare da quella delle classi agiate cui consegue quella di tutta la società?
Eppure di che si parla nel nostro Governo, nel nostro Parlamento, nelle nostre supreme assemblee, assise, stati generali, giornali, televisione? Si chiacchiera, si litiga, questi politici non saranno contenti finché non ci avranno messo nelle mani di un altro del tutto opposto Marshall, stavolta militare e generale, quello che dopo averci distrutto con la seconda guerra mondiale venne a soccorrerci con il famoso Piano a lui intestato, ma solo dopo averci completamente sconfitti e distrutti, ossia indotti alle più nere umiliazioni e miserie.
E i politici e le persone delle quali parla Alfred Marshall rimproverando il malsano desiderio di ricchezza non dovremmo individuarli oggi proprio negli uomini politici che continuano ad arricchirsi, a sottrarre illecitamente ricchezze ai cittadini e agli enti pubblici, ricchezze che dovrebbero invece accentrarsi in edifici pubblici, parchi pubblici, abbondanza delle forme più elementari di godimento in cui il perseguimento della ricchezzza è un fine nobile? 

Tags: Gennaio 2015 Victor Ciuffa

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