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Un secondo tempo della crisi economica, come al cinema?

L'editoriale di Victor Ciuffa

 

Il precedente Governo in persona del presidente del Consiglio, del ministro dell’Economia, di altri ministri e personaggi politici di rilievo, aveva avviato una campagna di stampa per annunciare che, secondo gli indicatori di fonti cosiddette qualificate, è cominciata la ripresa, per cui l’anno in corso sarà senz’altro migliore degli altri. E che la ripresa sarebbe avviata è stato sostenuto e ripetuto soprattutto in televisione. Si è trattato del via ad una classica operazione psicologico-giornalistica da manuale: basta che lo dica o lo scriva un giornale, che in qualche settimana questa voce isolata diventa un coro. Proprio a questo scopo tendono i vari sondaggi commissionati e pagati da Governi, partiti, politici, e i cui risultati sono dati per veri, senza alcuna ombra di dubbio, dai talk show tv.
A parte il fatto che il nuovo Governo Renzi, impegnato ad affrontare molto più seriamente e concretamente i problemi del Paese, sta dimostrando di volersi accattivare l’opinione pubblica più con i fatti che con gli slogan, quale l’effetto di quegli annunci presso una popolazione stremata da una crisi così pesante e da provvedimenti fiscali i quali, adottati invece con la motivazione che la crisi non si stia affatto attenuando, di fatto contribuiscono ad accrescerla?
Una parte del Paese può anche credere a tali slogan indimostrabili; un’altra parte resta indifferente, incredula e in attesa; una terza resta irrimediabilmente scettica. Infine ve ne è una quarta, certo non oceanica ma sicuramente più decisa e ferma nelle proprie convinzioni: quella che ritiene che la crisi, per quanto lunga e pesante sia stata finora, ancora non basti, e che debba prolungarsi per un altro indeterminato periodo. Paradossalmente, insomma, c’è chi crede che le condizioni economiche del Paese debbano ancora peggiorare, e che i bisogni e i sacrifici della gente, in generale, debbano ancora aumentare. Ed è convinta di questo, o comunque spera in questo, non per sadismo o masochismo, ma per giungere a momenti più drammatici che costringano effettivamente a risolvere i problemi del Paese.
Uno dei motivi di tale attesa è il desiderio di cambiare una volta per tutte una classe politica o quella parte di essa che da decenni diffonde cattivi esempi, amministra male, ruba, sparge il malcostume. Il potere, ha insegnato la storia, non si lascia mai; si perde solo in due casi, una rivoluzione o una guerra perduta. Ma nei millenni sono avvenute solo due vere rivoluzioni, quella francese e quella sovietica. Tutte le altre sono state golpe, colpi di Stato. In questi ultimi casi il potere si è sempre riciclato. Diverso fu il destino del nazifascismo, i cui leader furono eliminati fisicamente dai Tribunali speciali o dai partigiani.
Nessuno in Italia spera di arrivare a tali aberranti soluzioni, anzi. Ma ad un sostanzioso rinnovamento certo sì. Anche Silvio Berlusconi apparentemente e finalmente sembra essersi convinto di questo: lo scorso 24 marzo ha annunciato che il suo Partito, Forza Italia, presenterà alle elezioni europee del prossimo maggio «liste profondamente rinnovate, guidate da giovani». Ma anche vecchi, decrepiti parlamentari europei della prima Forza Italia, e reperti fossili di partitelli scomparsi perché travolti da scandali, arrivismi e familismi. Chi degli italiani oggi è più anziano ricorda la «fine», vera, dei gerarchi fascisti: chi non finì a piazzale Loreto o dinanzi alle armi dei partigiani, subì comunque le epurazioni; i consiglieri nazionali, i consoli, i federali furono processati anche per i «profitti di regime». I superstiti per 50 anni vissero in un ghetto politico e solo all’avvento della seconda Repubblica riapparvero in politica.
Quando, con l’insurrezione del 25 aprile 1945, cadde anche l’ultimo baluardo del regime fascista, la Repubblica di Salò, avvenne qualcosa che impedì alla vecchia classe politica di riemergere e rinascere, come invece avviene ora ad ogni cambio di umore o di risultato elettorale. Allora la novità furono i partigiani, una categoria di italiani penalizzati dal regime fascista, confinati, imprigionati, costretti a partecipare o a subire la guerra e le distruzioni da una classe politica composta da seguaci acritici del dittatore, da gerarchi ottusi e loro adepti. Ma soluzioni ben diverse si sono avute in occasioni meno cruente come la caduta di Bettino Craxi nella prima Repubblica e quella di Silvio Berlusconi nella seconda.
Oggi molti italiani penalizzati dai provvedimenti fiscali, dalla disoccupazione, dalle restrizioni, dalla crisi, non possono non augurarsi un rinnovamento politico, pacifico sì ma molto più esteso e profondo di quelli seguiti alla caduta dei due leader, appunto Craxi e Berlusconi. Senza rivoluzioni, senza eserciti stranieri, senza soluzioni cruente. E magari anche senza epurazioni e confisca dei profitti di regime, misure che pure occorrerebbero vista la superbia, la caparbietà, l’arroganza e la viscidità dei tanti gerarchetti e gerarchesse odierne. Che, nonostante il rinnovamento imposto dalle età e, tra mille ostacoli e boicottaggi, dal nuovo presidente del Consiglio Matteo Renzi, ci ritroveremo fra breve nel Parlamento europeo e poi in quello italiano.
Paradossale deve apparire a molti italiani e ai seguaci di Forza Italia l’annuncio di Berlusconi di ricandidare al Parlamento europeo elementi reduci proprio da esso. Ma come? Proprio quelli che negli organismi europei non hanno fatto nulla quando il cancelliere tedesco Angela Merkel e l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy chiamarono a Francoforte il presidente del Consiglio italiano Berlusconi e gli imposero di dimettersi all’istante, offendendo ed umiliando non solo lui ma soprattutto l’Italia e tutti gli italiani?
Ma quanti ritengono necessario un secondo tempo della crisi in atto, addirittura più duro e insopportabile del primo soprattutto per i ceti più deboli e più colpiti, sono spinti non certo da aspirazioni personali, per guadagnare succosi posti politici e benefici pubblici futuri; sperano di ridare all’Italia almeno una parte di quel benessere perduto per raggiungere il quale loro hanno lavorato una sessantina di anni, per assistere a un ritorno a quei valori di moralità, solidarietà, operosità, onestà che consentirono agli italiani di ricostruire un Paese distrutto dalla guerra in appena una decina di anni, e sorprendentemente di giungere al boom, al miracolo economico, in una quindicina.    

Tags: Aprile 2014 Victor Ciuffa

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