Giustizia amministrativa. quel venticello che si va alzando
L'editoriale di Victor Ciuffa
Silvio Berlusconi ha faticato tanto - lui sostiene «vent’anni» - per riformare la Giustizia italiana e non vi è riuscito; non è detto che avesse tutte le ragioni, ma neppure che avesse tutti i torti. E non è detto neppure che avrebbe riformato bene. Le vicende seguite al suo ostracismo hanno mostrato comunque che la situazione non è cambiata, è rimasta quella di prima. Non mi interessa discutere il caso di Berlusconi in quanto è un caso privato. È utile invece dibattere varie disfunzioni e ingiustizie annidate proprio nella Giustizia a danno di semplici cittadini e di imprese. La parte più inquinabile e criticabile della quale è quella amministrativa, perché i suoi operatori vivono nella massima contiguità con le amministrazioni centrali e locali di Stato, Regioni, Comuni ed enti pubblici vari; quindi sono più a rischio se non di corruzione, certamente di tentazione.
Con questa contiguità siamo tornati di fatto al sistema che, proprio con i Tar e con il Consiglio di Stato, si volle abolire, cioè le GPA. Che cosa erano le GPA? Pochi se ne ricordano. Fino all’istituzione delle Regioni, erano organi amministrativi che svolgevano funzioni di giustizia in quanto decidevano sui ricorsi presentati da dipendenti pubblici, cittadini e imprese contro i procedimenti amministrativi, ossia emanati da Comuni, Province, Stato. Per ricordare questi organi occorre averli studiati; e chi li ha studiati e per di più in quei tempi è stato anche un pubblico amministratore, oggi non può che rimpiangerli.
Come non può che rimpiangere una serie di istituti previsti dalla vecchia Legge comunale e provinciale la quale, a partire dalla nuova legge n. 142 del 1990, è stata smantellata pezzo per pezzo da un Parlamento, o meglio da una classe politica che, sorpresa alla fine degli anni 80 dalle manette di Antonio Di Pietro, ossia dalla Procura della Repubblica di Milano, per non correre più quel rischio ha via via, anno dopo anno, demolito quanto ancora era rimasto di freno alla corruzione, alla malamministrazione, all’appropriazione di fondi e beni pubblici.
Da una parte si aboliva, negli anni 90, l’immunità parlamentare, da un’altra si scaricavano le responsabilità sulla dirigenza e si creava per tutti, politici e dirigenti, una blindatura «scientifica» oltreché legislativa, o meglio antilegislativa. Perché in quest’ultimo quarto di secolo sono state ufficialmente approvate tante leggi apparentemente nell’interesse del cittadino, ma sostanzialmente contro di lui e nell’interesse di politici e burocrati. Siamo sempre pronti ad aprire un dibattito basato sulle prove.
Oggi tuttavia sul triangolo politica-burocrazia-giustizia si va manifestando qualche notivà, come del resto in tutto il Paese: la rapida e progressiva ascesa al vertice dell’Esecutivo prima di Mario Monti, poi di Enrico Letta, quindi di Matteo Renzi, dimostra che il Paese si sta rinnovando, sia pure col sacrificio di qualche giovane leader. Ma quello che importa, a chi non si sente né di destra, né di centro, né di sinistra, è tornare a sentirsi italiani, a riscoprire la dignità di esserlo.
Un’altra grande novità cui si va assistendo è il nascere da pochi mesi, e l’irrobustirsi, di un venticello in primo luogo sulla stessa Giustizia amministrativa, oltre che su quella civile e penale; un venticello che prima o poi riserverà qualche sorpresa, se è vero che, quando è matura, la pera cade da sola; basta, appunto, qualche stormire di fronde.
Un aspetto eclatante di quest’ultimo fenomeno è che il venticello è stato rilevato addirittura da un veterano della burocrazia e della politica, l’ex presidente del Consiglio italiano ed ex presidente della Commissione europea Romano Prodi, il quale ha proposto di abolire «sic et simpliciter» la Giustizia amministrativa, cioè i Tar e il Consiglio di Stato, la cui sola esistenza ritarda lo sviluppo economico, alimenta la persistenza degli amministratori nelle illegalità, inquina l’operato della burocrazia, e comunque la «induce in tentazione». Spesso infatti le sentenze riguardano vertenze in cui si dibattono appalti, autorizzazioni, realizzazioni multimiliardarie; mentre spesso, per altre strade, gli stessi giudici possono essere promossi ad incarichi milionari per sentenze che hanno emesso in passato; o viceversa possono emettere determinate sentenze, anziché altre, in vista di incarichi che potranno ottenere.
Una raffica di quel venticello che si va irrobustendo si è intrufolata perfino nell’aula del Senato niente di meno che durante il discorso che il neopresidente del Consiglio Renzi ha pronunciato il 24 febbraio scorso in vista del voto di fiducia, concessogli alla grande da entrambe le Camere. Da anemometro ha funzionato il consigliere coordinatore del Progetto amministrativo dell’Ordine degli avvocati di Roma, avvocato Antonino Galletti.
Premesso che «all’esito del dibattito sulla fiducia in Senato, tra gli operatori del diritto ha fatto scalpore la frase ad effetto del presidente incaricato Renzi secondo il quale in Italia sugli appalti lavorano più gli avvocati che gli operai, asserzione che fa seguito alla previsione singolare contenuta nel cosiddetto job act di sottrarre la possibilità ai Tar di emettere le ordinanze cautelari ovvero sospensive», l’avv. Galletti ha dichiarato: «Finalmente si pone al centro del dibattito la Giustizia amministrativa e questo è certamente un bene, ma non si può procedere a colpi di slogan e cinguettii; quando vengono in rilievo questioni di interesse economico nevralgico per il Paese e la tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini e delle imprese contro l’arroganza dei pubblici poteri, occorre procedere con attenzione, altrimenti si rischia di fare un regalo alla criminalità e alla corruzione».
A detta dell’avvocato Galletti, «la Giustizia amministrativa va curata senza colpi di mano, ma coordinando ogni azione nel doveroso contraddittorio con l’Avvocatura che, certo, non ha intenzione di sottrarsi e porterà un contributo di qualità all’indispensabile processo riformatore. Sarà impossibile non ascoltare preventivamente la voce degli Avvocati i quali ben conoscono i congegni della macchina giudiziaria e hanno idee, soluzioni e proposte per il recupero dell’efficienza del sistema Giustizia, indispensabile e non più trascurabile motore per la ripresa del Paese». Forse si sta alzando qualcosa di più di un venticello. Osserveremo in che direzione.