Giustizia amministrativa. vince chi non ottempera
L'editoriale di Victor Ciuffa
Quando la mattina del 24 gennaio scorso, in occasione della tradizionale inaugurazione del nuovo anno giudiziario, il presidente della Corte d’Appello di Milano Giovanni Canzio, riferendosi alle vicende processuali relative all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ha affermato che la Magistratura è stata sottoposta ad una «infamante gogna mediatica», non ha fatto distinzioni tra «media», ovvero tra giornali e giornalisti, come non le ha mai fatte del resto lo stesso Berlusconi rivolgendo innumerevoli volte a tutti indistintamente i giudici l’accusa di militanza politica, e di molto peggio, a suo danno. La frase di Canzio non è completa, esige una precisazione relativa a quella parte dei «media», ossia dei giornalisti come è più appropriato e corretto chiamarli, i quali, come non hanno condiviso gli attacchi indiscriminati dell’ex presidente del Consiglio alla Magistratura, così non possono condividere la lamentela e l’accusa rivolta in massa anche a loro dall’illustre magistrato milanese.
Abituati a dire pane al pane e vino al vino come dovrebbe fare tutta la categoria dei giornalisti operanti in strumenti di informazione di proprietà privata o pubblica che sia, non possiamo non fare alcune considerazioni. La prima è il richiamo dell’antico proverbio che consiglia di non fare di ogni erba un fascio; Berlusconi non avrebbe dovuto rivolgere le proprie fondate o infondate accuse indistintamente a tutto l’ordinamento giudiziario coinvolgendo di fatto gli oltre 10 mila magistrati italiani. Ma neppure i massimi rappresentanti della Magistratura possono rivolgere le loro lamentele ai «media» includendo nel termine tutti indistintamente i giornalisti.
Anzi, se per i magistrati si dovrebbe presumere la non appartenenza a partiti politici e la loro stretta e obbligatoria osservanza e applicazione delle leggi, non altrettanto può avvenire per i giornalisti, impegnati in strumenti di informazione di proprietà sia pubblica - come la Raitv che è anzi l’esempio della spartizione tra partiti -, sia di gruppi economici privati. Ma è ovvio e notorio che i dipendenti di emittenti radiotelevisive pubbliche e private parteggino per chi garantisce loro posti, stipendi, visibilità e onori; un po’ meno questo avviene nella carta stampata, ma anche in questa si verificano da alcuni anni atteggiamenti e interventi non certo ispirati ad obiettività.
I massimi organi della Magistratura devono inoltre tener presente che fino ad un certo punto i «media» influenzano l’opinione pubblica. Anzi, più i contrasti tra politici, tra partiti, tra istituzioni sono aspri, meno i «media» hanno presa su di essa; arriva sempre un punto in cui per stanchezza, delusione, difficoltà, anziché un’espansione del consenso nell’opinione pubblica si registra un rigetto. Mentre giornali e giornalisti solitamente obiettivi sono seguiti da masse di cittadini, le cosiddette «maggioranze silenziose» di un tempo.
Né le masse si lasciano ingannare da inesplicati «sondaggi» dell’opinione pubblica i cui presunti risultati sono posti sempre più spesso, acriticamente, a base di tesi, dibattiti, convegni e trasmissioni televisive; e che, più che la realtà, rivelano l’identità dei loro committenti ovviamente paganti. Ma la stessa capacità di giudizio, di condivisione di idee o di rigetto mostrano i cittadini nei riguardi della Magistratura in quei casi, non molti, di comportamenti non corretti o semplicemente disdicevoli.
Mesi fa l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi propose l’abolizione in blocco della Giustizia amministrativa, ossia dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato, perché allungano a dismisura le vertenze tra privati o imprese e Pubblica amministrazione, ritardando ed ostacolando le attività e lo sviluppo economico della società. Non meno autorevolmente il 24 gennaio scorso nell’articolo di fondo sul Corriere della Sera intitolato «Qual è il vero potere forte», Ernesto Galli della Loggia ha parlato di un «blocco burocratico-amministrativo formidabile, accentrato nel cuore dello Stato», inserendovi Consiglio di Stato e Tar, il cui potere «consiste principalmente nella possibilità di condizionare, ostacolare o manipolare il processo legislativo e in genere il comando politico».
Ed ha aggiunto che, «specialmente di fronte alla componente giudiziario-burocratica del blocco in questione, il ceto politico-parlamentare che apparentemente ha il potere di decidere e fare le leggi, si trova invece virtualmente in una situazione di sostanziale subordinazione» in quanto Consiglio di Stato e Corte dei Conti, avendo anche poteri e mansioni burocratiche come il vaglio dei regolamenti attuativi delle nuove leggi, possono paralizzare o manipolare quanto Governo e Parlamento hanno approvato. Oggi mancano 852 regolamenti per attivare le leggi approvate durante i Governi Monti e Letta; 117 riguardano la recente legge di stabilità.
Così si conclude l’articolo del Corriere della Sera: «La gabbia di ferro del blocco burocratico-corporativo e degli interessi protetti ha soffocato la politica». Modestamente, ma per lunga esperienza personale, posso sostenere anche l’opposto: ovvero a sua volta il potere politico ha soffocato la componente giudiziaria del blocco in questione. Esiste una tacita alleanza, una collaborazione tra Amministrazione pubblica, cioè politici, e Giustizia amministrativa. Lo dimostra la più recente conquista procedurale del Consiglio di Stato, il «giudizio di ottemperanza» a carico di pubblici amministratori che non attuino le sentenze da esso emanate.
Ebbene, anche le sentenze di ottemperanza non vengono ottemperate. Il Consiglio di Stato dovrebbe affidarne l’attuazione a un commissario ad acta. Ma non succede nulla, tollera la violazione di leggi e sentenze da parte di pervicaci pubblici amministratori fuorilegge, che di conseguenza lucrano consistenti benefici economici personali, se non altro quelli di non essere condannati a risarcire il danno prodotto alle controparti e all’ente pubblico disamministrato. Che deve pensare il ricorrente, deluso dopo anni e giudizi in primo e secondo grado? Che giudici e amministratori pubblici siano complici? Non credo che ne abbiano bisogno: il Messaggero del 26 gennaio scorso riportava un articolo dal titolo a piena pagina: «In arrivo 14 milioni di aumenti. Solo per i giudici amministrativi».