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LE DISUGUAGLIANZE AUMENTANO NEL MONDO MA LA PRINCIPALE VITTIMA SARà LA DEMOCRAZIA

di MAURIZIO DE TILLA presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

La principale vittima delle disuguaglianze sarà la democrazia, in quanto i mezzi di sopravvivenza e di vita dignitosa, sempre più scarsi, ricercati e inaccessibili, diventano oggetto di contrasto violento e brutale fra i privilegiati e i bisognosi lasciati senza aiuto. L’accendersi dell’ultima crisi finanziaria ha evidenziato l’incremento di un distacco enorme tra il reddito al vertice della piramide sociale e il reddito reale della fascia al fondo della piramide.
La ricchezza accumulata al vertice della società ha mancato clamorosamente di filtrare verso il basso. L’organizzazione internazionale del lavoro ha calcolato che tre miliardi di persone vivono sotto il livello di povertà fissato in due dollari di reddito al giorno. Zygmun Bauman, nel libro «La ricchezza dei pochi avvantaggia tutti. Falso!», ha sottolineato che la disuguaglianza sociale sembra essere sempre più vicina a diventare nella storia il primo caso di moto perpetuo che gli uomini siano riusciti finalmente ad inventare e a realizzare dopo gli infiniti tentativi andati a vuoto.
Così Daniel Dorling: «Il decimo più povero della popolazione del mondo è regolarmente affamato, solo raramente può assicurare l’educazione più elementare ai propri figli, quasi sempre vive in luoghi dove non esiste la sicurezza sociale». In Italia esistono circa undici milioni di persone che percepiscono meno di mille euro al mese di pensione, quasi quattro milioni di lavoratori precari ai quali si aggiungono un milione di professionisti senza continuità, e quasi tre milioni di persone disoccupate, con un’alta percentuale di giovani.
Secondo i più cinici, le difficoltà sul lavoro, che comportano forti disuguaglianze, incentivano il riscatto delle categorie più deboli. In realtà accade il contrario. L’assenza e la precarietà del lavoro creano frustrazioni e disaffezioni che provocano talvolta reazioni violente su se stessi e sugli altri. Il problema non è di coloro che sono in gravi difficoltà, ma di tutte le persone di una collettività, e l’azione solidale deve essere promossa proprio da parte di coloro che risentono meno della crisi.
E ciò tanto più che il nostro Paese si colloca al quinto posto per il livello di disuguaglianza di reddito fra i trentaquattro Paesi dell’Ocse, superato solo dal Messico, dalla Turchia, dal Portogallo e dagli Stati Uniti. Gli altri Paesi dell’Unione Europea hanno un livello di disuguaglianza economica più basso. Alla forte disuguaglianza si uniscono la scarsa mobilità e flessibilità anche tra le generazioni. In altri termini, le disuguaglianze esistenti tra i genitori tendono a riprodursi in modo simile tra i loro figli.
Bisogna correre ai ripari con un intervento pubblico molto forte a favore dei giovani a livello di formazione e di avviamento al lavoro, stanziando appositi fondi e facilitando il tirocinio. Un vero e proprio «salario» per l’apprendimento, nello stesso modo in cui si fa in altri Paesi come la Germania e la Francia. Sarebbe un atto di grande rilievo che qualificherebbe la politica e il Governo. Ma per fare ciò ci vuole l’apporto e il concorso di una classe politica e dirigente capace e di largo spessore.
L’effetto della disuguaglianza è che la cittadinanza politica progredisce mentre regredisce la cittadinanza sociale. Questa lacerazione della democrazia è il fenomeno principale del nostro tempo, portatore delle più terribili minacce. La crescita delle disuguaglianze è nello stesso tempo l’indizio e il motore di questa lacerazione. È il tarlo latente che produce una decomposizione silenziosa del legame sociale e, simultaneamente, della solidarietà. Sono parole di Pierre Rosanvallon, nel libro «La società della disuguaglianza», su cui bisogna riflettere.
Le disuguaglianze derivano principalmente dall’accumulazione della ricchezza in una circoscritta minoranza. Negli Stati Uniti d’America il 20 per cento degli individui possiede il 93 per cento degli averi finanziari. In Francia l’uno per cento dei più ricchi possiede il 24 per cento di tutta la ricchezza esistente nel Paese, e il 10 per cento dei più ricchi il 65 per cento. C’è una inversione di tendenza rispetto al passato. E l’aumento della forbice deriva dal capitalismo finanziario e dalla concentrazione del potere nelle mani di una ristretta cerchia di cittadini.
In definitiva viviamo in una società ingiusta. Manca, in sostanza, una politica seria di redistribuzione del reddito, che tra l’altro è ostacolata dai privilegi della classe dirigente e dalla loro incapacità di effettuare scelte determinate ed integre. Tra i tanti obiettivi bisogna combattere la disuguaglianza dei punti di partenza. In Germania si eroga uno stipendio dopo la laurea per il tirocinio professionale. Negli Stati Uniti i giovani possono studiare all’Università, dopo la selezione, e contraggono un debito che sconteranno nel momento in cui lavoreranno. Ma tutto viene attuato in una logica rigorosa, senza favoritismi e con criteri premiali.
Fabrizio Onida sostiene che combattere la disuguaglianza dei punti di partenza rafforza la meritocrazia in quanto ne consente una promozione intelligente, allargando la platea della competizione tra meritevoli e riducendo il potere delle rendite familistiche e oligarchiche. Siamo d’accordo. Ma l’affermazione può essere meramente teorica se non si individuano i rimedi per un sistema che spesso impone disuguaglianza negli studi e all’università.
La disuguaglianza si combatte con forti, e non irrisori, sostegni finanziari pubblici per coloro che non hanno i mezzi per affrontare gli studi e per coloro che sono meritevoli e non hanno strumenti per proseguire. Salari di formazione, borse di studio, sussidi, affidati a un controllo serio ed effettivo di legalità per evitare abusi e distorsioni.  

Tags: Novembre 2013 libri Maurizio de Tilla

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