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le ristrettezze della crisi sono note, ma proprio per questo occorre cercare altre risorse

del sen. TIZIANO TREU vicepresidente della commissione  lavoro e politiche sociali

I provvedimenti relativi al lavoro presentati dal Governo per la legge di stabilità concentrano il massimo sforzo nella riduzione del cosiddetto «cuneo fiscale» a favore in parte delle imprese in parte dei lavoratori. Si tratta di misure richieste unanimemente dalle parti sociali e opportunamente proiettate nei prossimi anni. La quantità di risorse impegnate è tuttavia ritenuta non sufficiente a dare una «spinta» adeguata ai redditi di lavoro e di impresa. Le ristrettezze della crisi sono note. Ma proprio per questo occorrerebbe ricercare altre risorse.
Le aree della spesa da ridurre sono state individuate da tempo: dai tanti incentivi alle imprese, sparsi a pioggia, che la stessa Confindustria ha suggerito di sfoltire, alle migliaia di aziende partecipate da enti pubblici, in maggioranza inefficienti e inutilmente costose. Ma altre risorse potrebbero ricavarsi correggendo i tanti squilibri del nostro welfare, a cominciare da quello fra la spesa pensionistica e gli altri capitoli di spesa sociale, quelli per la famiglia, quelli per la formazione professionale e per le politiche del lavoro.
Qui l’Italia ha un grave deficit sia finanziario sia organizzativo rispetto ai Paesi vicini. In particolare, è presente un grave squilibrio fra politiche passive e politiche attive del lavoro. Lo squilibrio, inutilmente denunciato, dura da anni: dal 2009 al 2013 abbiamo speso oltre 8 miliardi di euro in casse integrazione in deroga. Si tratta di risorse erogate per anni senza criteri di priorità relative ai bisogni dei lavoratori, e spesso per situazioni aziendali non suscettibili di risanamento. Mentre l’Italia per le politiche attive spende molto meno della media europea e anche ora fatica a trovare risorse adeguate per la «Garanzia giovani». Il Governo ha definito criteri più selettivi per le Casse integrazione guadagni, ma fra forti resistenze e ancora senza un pieno consenso delle Regioni. Sarebbe necessario definire e approvare rigorosamente tali criteri. Inoltre non c’è motivo di riservare ai lavoratori cassaintegrati in deroga trattamenti più favorevoli dell’indennità che spetta ai disoccupati, come in effetti sono questi cassaintegrati.
Anche le Casse Integrazione Guadagni Straordinaria dovrebbero avere un limite temporale e un maggior «décalage» dei trattamenti, come in altri Paesi europei. Le risorse risparmiate in questi capitoli sarebbero meglio investite nel sostegno all’occupazione giovanile: le parti sociali non possono opporsi, né essere indifferenti, se vogliono dimostrare di aver a cuore il futuro dei giovani e non sostenere forme di assistenza indifferenziata a favore degli «insider». Sarebbero più credibili anche nella richiesta di convogliare risorse adeguate per la riduzione del cuneo fiscale, giustamente ritenuta necessaria per aiutare il reddito dei lavoratori e per ridare fiato alle imprese.
Per l’efficacia di questi ammortizzatori sociali non basta riequilibrare la distribuzione delle spese: occorre investire di più per renderli attivi, affinché servano a favorire la rioccupazione delle persone e la loro mobilità dalle aree e aziende in crisi a quelle in sviluppo, che esistono anche nell’attuale congiuntura.
La scarsa occupabilità delle persone è dovuta a vari motivi, a cominciare dalle carenze formative del nostro sistema scolastico denunciate giustamente dal ministro del Lavoro Enrico Giovannini e dall’Ocse. Ma è dovuta anche alla carenza dei nostri servizi all’impiego pubblici. Qui non è questione di leggi, ma di migliore organizzazione e di più risorse, anzitutto umane. Lo squilibrio con i Paesi vicini è enorme: non solo la Germania ha oltre 115 mila persone dedicate a questo compito, molte delle quali operano a stretto contatto con le aziende, ma la stessa Gran Bretagna «liberista» ne impiega circa 100 mila: di fronte a neppure 10 mila persone impiegate da noi, spesso in modo «temporaneo e precario».
E poi occorre rendere più efficiente l’organizzazione. Da tempo si propone anche da noi un’Agenzia nazionale, in forma federale, competente per il governo centrale delle politiche attive. All’Agenzia dovrebbero far capo non solo i servizi alle persone in cerca di lavoro, in collaborazione con gli operatori privati, ma anche le funzioni di pagamento degli ammortizzatori sociali. Se non si supera l’attuale separazione fra chi fa le offerte di impiego cioè i centri all’impiego periferici, e chi paga le indennità ovvero l’Inps, è quasi impossibile applicare la condizionalità degli ammortizzatori all’accettazione di offerte congrue da parte dei lavoratori beneficiari.
Il programma «Garanzia giovani» può essere l’occasione per avviare un modo efficiente di fare politiche attive del lavoro, mobilitando tutte le risorse disponibili, funzionari pubblici e operatori privati, ma anche tutor messi a disposizione dalle imprese, come ha chiesto il ministro Enrico Giovannini.  

Tags: Novembre 2013 Tiziano Treu

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