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la nuova casa del cobat

Nella foto: Giancarlo  Morandi

Il Cobat cambia casa. Da agosto il Consorzio ha lasciato la storica sede di via Toscana per entrare in quella nuova di via Vicenza 29, sempre a Roma: si tratta del Villino Macchi di Cellere, un fabbricato risalente alla seconda metà dell’Ottocento, ristrutturato e arredato dalla Pezzini Contract sotto la guida dell’architetto Paolo Antonio Rotellini e del suo staff creativo-progettuale.
La storia del villino narra un aneddoto davvero speciale: ad inizio Novecento ospitò uno dei due fratelli Wright, Wilbur, il pioniere del volo. La sua proprietaria di allora, la contessina Mary Macchi, per una casualità diventò la prima «donna volante italiana». La vicenda è stata raccontata dal giornalista Carlo Mercuri in un articolo de Il Messaggero, pubblicato il 19 aprile 2009: «Wilbur Wright... venne a Roma con un incarico preciso e assai ben remunerato, quello di dare lezioni di pilotaggio a due ufficiali italiani... L’aereo utilizzato fu il Flyer che Wright portò smontato in treno da Parigi... Il «Club degli Aviatori» che finanziò l’operazione sistemò Wright e il suo aereo in un capannone sul limitare del pratone... La contessina Mary Macchi di Cellere, proprietaria del fondo su cui ci sarebbe stata l’esibizione aerea, si incuriosì per quell’uomo che dormiva in terra accanto a quella strana macchina volante, e lo invitò nella sua villa. Wilbur accettò e ricambiò la cortesia offrendo alla contessina la possibilità di fare un giro sul suo aereo: fu così che, per bizzarria della storia, la nobildonna divenne anche la prima donna ‘volante’ d’Italia».
Il villino ha una forma estremamente razionale, sviluppata su tre ordini orizzontali. L’architetto Rotellini ci illustra la filosofia della ristrutturazione: «Siamo intervenuti a livello conservativo per dare al fabbricato le stesse coordinate originarie. Quando fu costruito doveva essere un’abitazione, poi fu trasformato in uffici anche stravolgendo la sua natura originaria. Con un po’ di pazienza e tanta buona volontà siamo riusciti a tornare, ovviamente con le varianti del caso e le nuove tecnologie, allo spirito delle origini, databili tra il 1850 e il 1870. Internamente l’edificio si presentava ormai amorfo. Non erano del tutto sparite le connotazioni con cui era stato costruito, ma c’era uno stato quasi di oblìo. La struttura nel tempo era stata modificata e siamo dovuti intervenire con opere di consolidamento. Abbiamo rifatto completamente gli impianti tecnologici, installando pannelli solari per adattare il fabbricato alle nuove esigenze e attuando operazioni di risparmio energetico come la realizzazione di un ‘cappotto’ isolante interno con pannelli di stiferite che ha messo il fabbricato nella condizione di raggiungere una classe energetica più adeguata. L’impianto elettrico è stato realizzato ex novo. I servizi sono stati automatizzati sia in senso orizzontale che verticale. L’obiettivo è stato anche quello di ridurre per il futuro i costi di gestione. Tutti gli impianti sono stati messi sotto controllo: se ci fosse un guasto, in remoto sarebbe possibile sapere immediatamente che cosa si è rotto e dove».
La ristrutturazione è stata improntata alla sobrietà e alla funzionalità, ma la tecnologia è presente al massimo livello: «Il fiore all’occhiello è l’ampio raggio di connettività interna ed esterna che consente a tutti i consorziati Cobat di intervenire in remoto durante le riunioni o per qualsiasi esigenza. In un fabbricato adiacente è stata ricavata la sala conferenze multimediale, fondamentale per l’attività del Consorzio. Abbiamo curato molto l’insonorizzazione, gli arredamenti sono sobri ma di livello. Il tavolo per le riunioni è stata una sfida: è in tek di massello, è lungo oltre 15 metri e pesa due tonnellate, perché vi si devono accomodare 30 persone. È stata una sfida così particolare che nella mia carriera non pensavo l’avrei mai affrontata, ma la buona intesa e le soluzioni studiate con l’impresa Pezzini Contract ci hanno permesso in più occasioni di risolvere problemi di non poco conto».
Trattandosi di Cobat, la sede non può che essere green e improntata ad evitare gli sprechi energetici: «Abbiamo usato lampade a led, che consumano un quarto o anche meno delle lampade a incandescenza. Abbiamo modificato le volte per ottimizzare l’illuminazione e abbiamo predisposto l’edificio a sostenere minori consumi possibili, in linea con normative sul risparmio energetico vigenti e con le tendenze architettoniche attuali».
Tecnologia innovativa e sobrio ritorno alle origini. La filosofia di questo intervento si potrebbe sintetizzare con i versi di Giovanni Pascoli: «C’è qualcosa di nuovo oggi nel Sole, anzi di antico». L’architetto Rotellini usa uno slogan dal significato non molto dissimile: «Le cose belle rimangono nel tempo, quelle brutte hanno vita breve».
Nel nuovo ufficio di Presidenza di Cobat come parte funzionale dell’arredamento l’artista bolognese, ma che vive a Roma, Luca Giannini ha realizzato l’opera «Revolution», raffigurante due mondi: a sinistra il Pianeta Terra di oggi, inquinato, sfruttato, impregnato di piombo, bitume e cenere; a destra quello di domani, nel quale il metallo vile, appunto il piombo, è trasformato nel metallo più nobile, l’oro. I molteplici significati e i materiali impiegati nell’opera presentano un’affinità con le attività e con la mission del Cobat, al quale il lavoro è dedicato.  

Tags: Ottobre 2013 Cobat

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