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NESSUNA SOCIETà HA UNA LUNGA VITA QUANDO è PRIVA DI ETICA: IL CASO DELL’ATTUALE POLITICA

di Maurizio De TIlla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

Alla coscienza e alla volontà di libertà si riconducono tutte le virtù morali e tutte le definizioni che sono riferibili all’etica. Con l’alto profilo etico si formano classi intellettuali e dirigenti politici. Senza etica nessuna società ha lunga vita. E la politica priva di etica pubblica finisce per deteriorare il tessuto sociale. Ma anche la libertà e l’etica conclamate vanno verificate. Secondo Benedetto Croce, l’assenso morale che si dà a particolari istituzioni non si riferisce alla loro astratta forma, ma alla loro efficacia pratica in dati, tempi, luoghi, circostanze e situazioni.
Anche il Montesquieu, che formulò la famosa teoria dei tre poteri - esecutivo, legislativo e giudiziario -, non era in grado di poter tranquillamente sostenere che con questo meccanismo istituzionale si generasse e si mantenesse libertà e si impedisse servitù. In realtà la tripartizione dei poteri elaborata dal Montesquieu ha trovato collocazione a volte solo formale nelle Costituzioni repubblicane. L’etica è legata alla libertà. La libertà è poi legata alla legalità. Così scriveva Piero Calamandrei nel libro «Non c’è libertà senza legalità», che è stato ristampato recentemente.
Calamandrei continua il proprio discorso affermando che solo la legalità assicura, nel modo meno imperfetto possibile, quella certezza del diritto senza la quale praticamente non può sussistere libertà politica. Certezza del diritto, cioè certezza dei limiti entro i quali si estende la libertà di ciascuno e al di là dei quali comincia la libertà dell’altro: certezza del diritto, ossia possibilità pratica per ciascuno di conoscere, prima di agire, quali sono le azioni lecite e quelle vietate, cioè quali sono le azioni che egli può compiere per esercitare la propria libertà senza violare insieme la libertà altrui.
Ma come si può parlare di legalità nella società attuale? Non abbiamo più alcuna riservatezza, siamo circondati da affaristi, corrotti e politici compiacenti; un’opera pubblica costa il doppio del dovuto; si approfitta e si evade senza consapevolezza, con la dizione ridicola «A mia insaputa»; si simula un rapporto sincero ed onesto per mascherare furbizia e profittamento indebito. Perché non ci diamo tutti una regolata ed assimiliamo i concetti espressi autorevolmente da Piero Calamandrei?
Quando si parla di etica non si può fare a meno di parlare di vita politica e di partiti. I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Raitv, alcuni grandi giornali. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data e un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta solo di riconoscimenti dovuti.
Sono parole di Enrico Berlinguer, molto attento alla questione morale, che riferiva il quadro degenerativo del potere ai partiti di governo, escludendo ovviamente il Partito comunista da tale rappresentazione. La feroce critica riguarda, invece, tutti i partiti, vecchi e nuovi. La politica si avvale in parte dei propri apparati e in parte della burocrazia che ha in larga parte insediato e che concorre fortemente all’opacità del sistema.
In politica devono scendere - o salire - in campo solo persone di grande integrità morale. I partiti e i movimenti politici devono candidare cittadini selezionati per capacità ed etica. Il che non viene comunemente praticato. La politica ha abdicato al proprio ruolo, i partiti sono incapaci di selezionare il proprio personale e i propri candidati, si susseguono molte candidature di indagati, di imputati e persino di condannati.
Lionello Mancini nel proprio libro «L’onere della toga» così esclama: «Ma cosa dire di politici e amministratori eletti o nominati, che restano ai loro posti anche quando i giornali segnalano comportamenti a rischio («Non sono stati indagati!»), anche quando le Procure li indagano («Non sono stati rinviati a giudizio!»), o i Tribunali li condannano («Sono innocente fino alla sentenza definitiva»). A nostro avviso, i comportamenti dei politici e dei ministri devono essere cristallini anche a prescindere dall’inizio di giudizi penali. Non si può continuare a fare il ministro quando si sono commessi abusi edilizi o evasioni fiscali.
L’etica riguarda anche l’economia e l’impresa. Il capitalismo italiano deve liberarsi dalle furbizie, dalle scatole cinesi, dalle società-marsupio, dagli accordi di blocco, dai castelli di carta ecc. Chi alza la bandiera dell’etica deve avere le carte in regola del buon imprenditore che affida i propri successi all’esercizio della impresa e alla crescita della propria azienda. Senza concedere nulla alle speculazioni di borsa e al capitalismo finanziario.
Il capitalismo di relazione deve avere le proprie regole trasparenti. Succede talvolta che una società partecipante acquista un bene, un’azienda dalla controllante, pagando un prezzo elevato e così scaricando il costo sugli azionisti di minoranza. L’operazione di acquisto dalla controllante dovrebbe essere in assoluto vietata. Ma così non è. Il tutto è affidato alla buona fede e alla correttezza di chi è preposto a guidare la procedura di approvazione di siffatta operazione, che è in astratto rigorosa ma che deve fare i conti con i conflitti di interesse, che non vengono compiutamente regolati nel nostro Paese.
L’economista Luigi Zingales ha richiamato la decisione del Tribunale di Parma che ha condannato il «capitalismo di relazione». I giudici di Parma hanno sancito, per gli amministratori indipendenti, l’obbligo di chiedere chiarimenti, di dubitare, di chiedere garanzie sulla scelta dell’advisor e sul prezzo dell’acquisizione. Altrimenti che ci stanno a fare? Ma la realtà è ben diversa: spesso il management si risente per i dubbi espressi sull’operazione, mettendo la questione sul piano dell’onestà e della fiducia nei suoi confronti. Che spesso è mal riposta. La soluzione è radicale: vietare interscambi e passaggi di valore con trasferimenti all’interno delle società quotate in borsa.
Tra le ragioni a fondamento della crisi economica sta il fatto che alcuni banchieri senza scrupoli, specie negli Stati Uniti, per accrescere le stock options avevano tutto l’interesse a far salire il prezzo delle azioni delle loro aziende, anche con operazioni di contabilità creativa. Più alto era il corso azionario, un maggior vantaggio derivava a loro. Uno dei metodi più semplici per aumentare gli utili dichiarati era quello di manipolare il bilancio, facendo sparire le perdite con una mano e ricevendo redditizie commissioni nell’altra.
Nel potentissimo schema di incentivi della finanza, quei banchieri senza etica e senza responsabilità partecipavano alle revisioni degli utili, ma non delle perdite. I bonus non si basavano sui risultati nel lungo periodo, ma su quelli del breve. Ma come è potuto accadere tutto ciò? Cosa è venuto meno? Anzitutto, sono mancati i comportamenti etici dei banchieri beneficiati, che hanno danneggiato l’immagine dell’intera categoria. L’avidità ha pervaso l’attività di alcune persone che per i propri indebiti interessi lucrativi e personali hanno abdicato ai propri doveri deontologici di tutela dei risparmiatori e degli investitori.  

Tags: Ottobre 2013 Maurizio de Tilla

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