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CESARE DAMIANO: PRIMA I POSTI DI LAVORO, POI QUELLI DELLA POLITICA

a cura di LUIGI LOCATELLI

Due economisti italiani, Tito Boeri e Agar Brugiavini, rispettivamente professori di Economia nell’università Bocconi di Milano e di Economia Politica nell’università Ca’ Foscari di Venezia, bocciano la proposta del presidente della Commissione Lavoro della Camera dei deputati Cesare Damiano di riforma delle pensioni perché causerebbe la crescita del numero di ultra 55enni senza lavoro. E la riforma di Elsa Fornero, ministro del Lavoro nel passato Governo Monti? Va modificata. Quando ragionano sull’argomento hanno le idee chiare. Se l’impianto costruito dal Governo Monti ha bisogno di una maggiore flessibilità per dare respiro ai lavoratori, la strada indicata da Damiano non gli sembra adatta. Perché? Perché secondo tale proposta, per ora bloccata a causa della mancata copertura finanziaria, dal primo gennaio prossimo le lavoratrici e i lavoratori che hanno maturato un’anzianità contributiva di almeno 35 anni dovrebbero accedere al pensionamento flessibile al compimento del requisito minimo di 62 anni di età fino al requisito massimo di 70 anni, purché l’importo dell’assegno, secondo i rispettivi ordinamenti previdenziali di appartenenza, sia almeno pari a una volta e mezza l’importo dell’assegno sociale. Boeri e Brugiavini citano stime preliminari secondo le quali la riforma potrebbe costare circa 30 miliardi di euro in dieci anni: «E i costi potrebbero addirittura essere sottostimati».
Damiano ha elaborato una tabella di incentivi e penalizzazioni sulla base dell’età del ritiro dal lavoro. Nel caso di pensionamento effettivo a 62 anni si applicherà la percentuale di riduzione dell’8 per cento, a 63 quella del 6, a 64 anni del 4, a 65 del 2 per cento. A 66 anni, invece, non ci saranno bonus o malus. Dopodiché scatteranno gli incentivi secondo questo schema: a 67 anni il 2 per cento, a 68 anni il 4, a 69 anni il 6, a 70 anni l’8 per cento. Secondo gli esperti, si tratterebbe di una retromarcia che rischia di vanificare gli effetti positivi in termini di risparmio sia per la finanza pubblica sia per la credibilità del Paese.
Il 28 aprile 2010 Damiano presentò un emendamento al disegno di legge in materia di lavoro allora in discussione alla Camera dei deputati. Nonostante il parere fortemente contrario da esso espresso, il Governo fu battuto per un voto di scarto: 225 sì, 224 no e nessun astenuto; l’emendamento fu approvato. Il testo mutò profondamente il provvedimento stabilendone che «le Commissioni di certificazione accertano l’effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie insorte (non ‘che dovrebbero insorgere’) in relazione al rapporto di lavoro».
In questo modo il lavoratore poteva o meno scegliere l’arbitrato solo dopo che la controversia fosse sorta, e non all’inizio del suo rapporto di lavoro. Ma in Senato il testo fu riportato alla forma originale. Tuttavia, dopo le perplessità del Capo dello Stato, fu deciso di accogliere alcuni punti dell’emendamento presentato dall’opposizione che stabilivano: «La scelta dell’arbitrato non può essere fatta prima della conclusione del periodo di prova (quando il lavoratore si intende ‘più debole’), oppure prima del trascorrere di 30 giorni dalla stipula del contratto di lavoro».

Ex sindacalista, ministro del Lavoro nel secondo Governo Prodi e attualmente presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati, ritenuto generalmente e con ragione il massimo esperto del Pd e non solo sui temi del lavoro e del welfare, Cesare Damiano non appare molto soddisfatto dell’andamento dei problemi politici, in particolare in materia di lavoro, che costruiscono il nucleo dei suoi interessi politici e culturali.
La vita della politica, a suo avviso, oggi è influenzata da questioni che possono essere anche di importanza e di interesse generale, ma che non debbono in alcun modo sostituire i programmi. E l’uomo politico appare più interessato al proprio incarico nel partito che ad elaborare iniziative e proposte programmatiche. Per sensibilizzare maggiormente il proprio partito, domenica 8 settembre ha adottato un’iniziativa inconsueta, per non dire rivoluzionaria nell’attuale mondo politico, impegnato più a seguire particolari problemi di carattere personale piuttosto che ad elaborare iniziative di interesse generale.
Alla festa nazionale del proprio partito, a Genova, ha presentato la Costituente delle Idee. Otto punti chiari e brevi, con l’obiettivo di suscitare un confronto in vista del congresso del Partito democratico. «Non abbiamo in mente di costruire un’altra corrente, né di sostenere alcun candidato», è scritto nella prima riga di presentazione del documento. Alla domanda sulle ragioni reali che l’hanno spinto, insieme a Vannino Chiti, a Pietro Folena e a Mimmo Lucà, firmatari con lui del documento presentato alla direzione del partito e sottoscritto da ventuno componenti della direzione nazionale, oltre ad almeno cinquanta parlamentari, risponde semplicemente che l’obiettivo è di influenzarne la politica del partito stimolandola all’impegno sui contenuti, piuttosto che sulle candidature.
In effetti, nel testo di presentazione della Costituente è affermato chiaramente di essere «interessati a capire qual è il ruolo del Partito democratico nell’attuale situazione politica, un ruolo che per noi si fonda sul suo essere sinistra plurale, moderna ed europeista, la casa di tutti i riformisti, un partito che vorremmo unitario, partecipato, aperto e rinnovato». Estraneo, inoltre, a lobbies e salotti, interessato ai problemi delle persone individuando le risposte giuste per risolverli in chiave solidale, con precisi punti programmatici quali il sì convinto al sogno degli Stati Uniti d’Europa, il no al pensiero liberista, il no al presidenzialismo, per la centralità del lavoro e dell’impresa in tutte le sue declinazioni, dello stato sociale e dello sviluppo sostenibile, con un Governo parlamentare forte. Otto punti programmatici che riaffermano «l’esigenza di un forte intervento di riforma della politica, capace di ridurre sensibilmente i suoi costi, contrastare ogni forma di corruzione, approvare la legge sul conflitto di interessi, promuovere la partecipazione attiva dei cittadini, assumere la cultura della responsabilità, della legalità, delle regole».

«Abbiamo inviato il nostro documento– spiega Damiano–, ai candidati alla segreteria del Pd, Pippo Civati, Gianni Cuperlo e Gianni Pittella, ottenendo una risposta positiva per un incontro. Matteo Renzi ci deve ancora rispondere.  Noi pensiamo che vadano privilegiati i contenuti e che sia sbagliato, in questa fase, pronunciarsi a favore di un leader senza conoscere quali siano i suoi programmi, secondo un atteggiamento che appartiene alla vecchia politica. E noi non intendiamo saltare sul carro di un presunto vincitore. Vogliamo che il nostro documento entri nel dibattito congressuale e lavoriamo per aggregare le forze che si riconoscono in un progetto di sinistra plurale. Non crediamo che il Congresso sia già predeterminato e con un candidato unico: vogliamo, viceversa, che gli iscritti e gli aderenti al Partito democratico possano scegliere tra chiare alternative di programma, prima che di persone, che consentano di affrontare le difficili sfide politiche e sociali che attendono il nostro Paese. Apprezziamo il fatto che Cuperlo abbia voluto partecipare al nostro dibattito e continueremo il nostro confronto con gli altri candidati».

Nato nel 1948 a Cuneo, dopo la maturità Damiano ha lavorato come impiegato in un’azienda metalmeccanica di Torino. Nel 1970 si è iscritto alla Fiom-Cgil e fu nominato presto rappresentante aziendale e responsabile del lavoro tra impiegati e funzionari. Nel 1976 entra nella Segreteria della Fiom-Cgil diventandone segretario generale dal 1980 al 1989 per il Piemonte. Nel 1990 entra nella segreteria della Cgil di Torino e l’anno successivo diventa segretario generale della Camera del Lavoro della stessa città.
Segretario generale aggiunto della Fiom nazionale fino al 1996, nel marzo 2000 fu nominato segretario generale della Cgil del Veneto, fino al dicembre 2001 quando cominciò la carriera politica con l’elezione nella segreteria nazionale dei Democratici di Sinistra. Dal maggio 2006 al maggio 2008 fu ministro del Lavoro nel secondo Governo di Romano Prodi. Lo scorso dicembre si è candidato in provincia di Torino alle primarie del Pd, indette per eleggere i candidati al Parlamento nelle elezioni politiche del 2013.
Damiano ha ottenuto il primo posto con 5.998 preferenze; è stato quindi eletto al parlamento nelle elezioni della scorsa primavera. Autore di vari saggi e libri sul movimento sindacale, il suo nome è legato all’attuazione della riforma della previdenza complementare e al protocollo del 23 luglio del 2007. «Con la Costituente delle Idee–dice–, ci rivolgiamo a quanti sono interessati alla politica come soluzione dei problemi comuni, a coloro che cercano un confronto con le idee. In base a questi criteri abbiamo chiesto di incontrarci ai possibili candidati che riteniamo interessati ai programmi da attuare e non agli incarichi da assegnare. L’abbiamo chiesto anche a Matteo Renzi, ma non ha risposto. Probabilmente lo farà in seguito. Gli altri sono interessati, e noi vogliamo conoscere i loro programmi».
Gli otto punti del documento indicano con chiarezza quello che Damiano e i suoi amici intendono perseguire: potrebbero rappresentare le linee base di programma di un Governo intenzionato ad affrontare concretamente i più gravi e urgenti problemi del Paese, in particolare nell’ambito del lavoro. «Sicuramente è un momento difficile, una transizione eterna. Aspettiamo anche di vedere quello che può capitare con il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi che provoca una forte altalena di umori con il rischio di minare la stabilità del Governo. A me sta a cuore il sistema Paese che è impegnato duramente per uscire dalla crisi e attende i necessari interventi. Il tema del lavoro, soprattutto di quello giovanile, dovrebbe essere al centro del programma, come il presidente Enrico Letta sottolinea in ogni occasione».

Parla poco, frasi brevi, tono deciso, concreto. Riflette prima di enunciare valutazioni o citare episodi. «Al tempo del Governo Prodi c’era una generale ripresa economica. Era più agevole reperire risorse per tutti. Oggi i problemi del lavoro, della disoccupazione sono aggravati e senza soluzione a livello mondiale. È inutile discutere e scrivere di disoccupazione giovanile mentre arrivano di continuo molti immigrati, un vero carico da novanta, per lo più di giovani disposti a qualsiasi lavoro faticoso anche per piccole cifre, e lavori manuali che spesso i nostri giovani non vogliono. Non dico che dovrebbero accettarli, ma neppure essere disposti solo ai lavori più pregiati. Soprattutto in situazioni di necessità». E ancora: «È un problema che richiede una rieducazione globale, non basta chiedere il rispetto dei diritti, serve maggiore disponibilità, insieme ad un’integrazione tra scuola e lavoro, dando impulso alla crescita dell’economia attraverso una diminuzione delle tasse sul lavoro e sulle imprese. Da parte delle imprese e sulle imprese. Se non c’è sostegno alla crescita non si creano occasioni di occupazione, per questo il problema dello sviluppo è una priorità».
Una richiesta analoga di una riduzione della pressione fiscale sul lavoro l’ha avanzata il presidente della Confindustria Giorgio Squinzi: «È sicuramente utile–è la replica di Damiano–, ma a condizione che si traduca in investimenti. Le risorse finanziarie del taglio del cuneo fiscale operato dal Governo Prodi, per esempio, sono andate prevalentemente a profitto. Inoltre bisognerebbe aumentare le retribuzioni dei dipendenti rilanciando i consumi e capire se è il caso di  diminuire il cuneo fiscale su tutto il lavoro dipendente o su un settore selezionato, per esempio ad alta intensità di occupazione».

Intanto si ha l’impressione che il Governo Letta abbia relegato in fondo alla lista dei propri interventi il tema delle pensioni. «Spero non sia in fondo alla lista, anche se c'è troppo silenzio sull'argomento–è la risposta immediata–. È necessario ripristinare l’equità nel sistema pensionistico. La proposta di legge che ho presentato disegna la flessibilità in uscita, con una finestra temporale che si apre per i lavoratori tra i 62 e i 70 anni di età, durante la quale si può scegliere di andare in pensione».
E Damiano così continua: «Un lavoratore che abbia maturato 35 anni di contributi e compiuto 62 anni può andare in pensione con una penale dell’8 per cento sull’assegno pensionistico. Penale che si riduce a zero al compimento dei 66 anni di età, e diventa un incentivo per chi rimane al lavoro a partire dei 67 anni fino ai 70. Nessuna penale per i lavoratori cosiddetti precoci, ossia che hanno 40 anni di contributi. Sono convinto che occorre mettere mano sensibilmente alla riforma Fornero. È un tema che merita più attenzione di quella avuta fino ad oggi e il mio impegno è di sollecitare costantemente il Governo».

Intanto il 13 settembre scorso, quindici giorni prima dell’incontro all’Hotel Santo Stefano di Torino sulla Costituente delle Idee, il Gruppo Riva ha annunciato la messa in libertà in tutta Italia dei dipendenti dei propri impianti siderurgici, come conseguenza del sequestro preventivo di impianti e conti correnti bancari da parte della magistratura di Taranto.
«Annunciare 1.400 esuberi in questa fase è molto grave–è stata la sua immediata reazione–. Riguarda diversi impianti in Italia, da Lesegno in provincia di Cuneo, a Taranto. Auspichiamo che il Gruppo Riva abbia senso di responsabilità verso il Paese intero e riveda le decisioni annunciate. Non si possono far ricadere sui lavoratori le conseguenze di azioni giudiziarie su altri impianti». 

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