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meritocrazia, formazione, controllo, competitivita'

di COSIMO MARIA FERRI  sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia

Le dottrine economiche spiegano che l’apertura del mercato alle libere professioni e non solo agli altri fattori produttivi, quali risorse naturali e capitale finanziario, sviluppa crescita e benessere nella società. La libera circolazione dei servizi è uno dei pilastri dell’Unione Europea fin dai suoi primi passi istitutivi. La libertà di prestare servizi e la libertà di stabilimento, di cui agli attuali articoli 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, sono essenziali per il buon funzionamento del mercato interno: gli operatori economici possono condurre un’attività stabile e continua in uno o più Stati membri e prestare servizi temporanei in un altro Stato membro senza l’obbligo di esservi stabiliti.
La trama dell’impostazione legislativa vale per ogni professione intellettuale. Il mondo forense ed in particolare quello dell’Avvocatura, tuttavia, spiccano per interesse in materia. Quotidianamente si sente parlare di grandi studi legali di formazione anglosassone che operano e concludono impegnativi contratti in India, in Cina o in America Latina. Gli standard giuridici inglesi vengono così applicati ed imitati oltre i confini transazionali. Il rapporto tra mondo delle libere professioni e globalizzazione, quindi, porta con sé alcuni aspetti da tenere in debita considerazione e da cui nessun legislatore, nazionale o europeo, può prescindere.
Basti un semplice accenno ai seguenti nodi cruciali. In primo luogo, la necessità che un’eccessiva deregolamentazione del sistema non conduca ad esternalità negative come l’aumento del contenzioso processuale. Inoltre, ormai è un dato di fatto quello che, al giorno d’oggi, riescono ad affacciarsi sul mercato europeo ed internazionale solo i professionisti che, con un notevole impiego di risorse finanziarie, sono capaci di abbattere i costi transattivi e di sfruttare le economie di scala. Ulteriore aspetto da considerare è che, nella gran parte delle situazioni professionali, gli operatori giuridici sono strettamente legati al territorio nazionale. Questo legame però non è dettato da competitività specifica rispetto ad altri operatori concorrenti stranieri. Spesso manca ai professionisti, soprattutto italiani, un vero e proprio supporto, che li metta in grado di operare con il mondo globalizzato.
Esiste poi un’ulteriore criticità che rappresenta, in qualche modo, l’altra faccia della medaglia rispetto al problema precedentemente illustrato, soprattutto per il contesto economico italiano. Nel nostro Paese i professionisti di alto profilo che riescono ad emergere sul piano europeo o internazionale tendono a voler lasciare, con tendenza definitiva, il sistema nazionale. Professionisti con profili adeguatamente globali si muovono verso Paesi più attrattivi in termini di risorse economiche, mentre in Italia immigrano professionisti abilitati in nazioni con tradizioni di sviluppo storico intellettuale più recente. Secondo gli ultimi dati Istat in materia, l’Italia ha un saldo negativo di «esportazione intellettuale» soprattutto con Gran Bretagna e Svizzera e un saldo positivo con Paesi come Romania, Polonia, Ungheria.
Anche alla luce di quanto esposto, qualsiasi intervento del legislatore in materia di globalizzazione delle professioni deve contemperare due esigenze. Da un lato, far sviluppare il mercato professionale eliminando il più possibile gli ostacoli al libero accesso al mercato dei servizi, anche facilitando le operazioni transfrontaliere. Dall’altro, regolamentare a sufficienza lo stesso mercato non perché risulti protetto dall’esterno, ma affinché determinati standard qualitativi siano garantiti ai consumatori finali. Non bisogna dimenticare, infatti, l’importanza della tutela dei clienti che si rivolgono al professionista.
Anche nel regolamentare la materia, è quindi necessario tenere in massimo conto che l’utente finale è sempre colui che deve, attraverso il rapporto con il professionista, trovare la propria soddisfazione ed il proprio vantaggio. L’opera intellettuale rimane pur sempre basata sull’intuitu personae, ossia su quel rapporto «brevi manu» tra operatore professionale e cliente che permette al primo, a guisa di un sarto, di ritagliare la prestazione d’opera al caso concreto. Nessun Paese può oggi permettersi, nella competizione globale, di sopportare le conseguenze dannose derivanti da un’indiscriminata deregolamentazione che potrebbe determinare la concentrazione del mercato in mano ad operatori professionali con notevole forza finanziaria e caratterizzati da una standardizzazione molto spinta dei servizi offerti ai clienti, in grado di spezzare quel tradizionale rapporto personale che distingue il contratto d’opera intellettuale. Ecco allora alcune ipotesi di studio ed interventi che il Legislatore potrebbe prendere in considerazione.
La prima. Consolidare il cammino attuato con la direttiva 2005/36/CE la quale, recepita in Italia con il decreto legislativo 206 del 2007, ha modernizzato e semplificato 15 direttive approvate tra il 1977 e il 1999 in tema di professioni al fine di creare un mercato delle regole di accesso alle professioni più uniforme, trasparente e chiaramente interpretabile.
Secondo il cosiddetto rapporto Monti «Una nuova strategia per il Mercato Unico» (2010) in tema di mobilità transnazionale dei lavoratori e dei professionisti in particolare, un ostacolo allo sviluppo della mobilità transfrontaliera è, oggi, costituito dalle complesse modalità di riconoscimento internazionale delle qualifiche professionali. Il riconoscimento automatico delle qualifiche si applica solo a 7 professioni su oltre 800. Negli altri casi le prassi e le irregolarità amministrative, i ritardi accusati dai processi di riconoscimento a livello nazionale rendono più costoso e difficile l’esercizio di un’attività all’estero.
Bisognerebbe arrivare all’integrale riconoscimento reciproco delle abilitazioni professionali in un contesto giuridico in cui sia permesso di svolgere liberamente la propria opera ed il controllo pubblico intervenga soltanto ex post, con eventuale possibilità di integrazione delle competenze entro un certo termine, a pena di decadenza dall’abilitazione.
La seconda. Abbattere la barriera linguistica è il primo vero passo per la creazione di un mercato unico anche in ambito professionale. Per affrontare questo ostacolo, ed anche per intraprendere il cammino di cui al punto che precede, bisognerebbe ripensare la formazione professionale a livello transnazionale anche nel settore universitario. Ci sono materie, perfino in ambito giuridico che è tradizionalmente legato alla nazionalità, per le quali vale la pena di formare il professionista direttamente sulla letteratura e sull’«acquis» nella lingua di riferimento del mercato globale: si pensi, ad esempio, a Competition Law, International Commercial Arbitration, Istitutional Issues. Anche per altre professioni, meno legate a necessità domestiche, l’abbattimento della barriera linguistica già in sede di formazione del giovane professionista rappresenta un elemento di cogente importanza.
La terza. Incentivare fiscalmente, con accordi bilaterali, significativi percorsi di studio e di formazione all’estero per i giovani professionisti, non solo in ambito europeo, ma anche tra Stati di più recente evidenza nello scacchiere globale. Basti pensare a cosa potrebbe significare, soprattutto in chiave attrattiva di foreign direct investments, avere dei professionisti italiani effettivamente in grado, non solo all’interno delle grandi corporations o di grandi studi legali internazionali, di ricoprire posizioni di operatori e giuristi cross-borders.
La quarta. Approfondire la materia degli standard deontologici paneuropei con un codice di condotta che, per esempio in materia giuridica, continui il tracciato segnato dalla carta dei principi fondamentali dell’avvocato europeo e dal codice deontologico de crei nuove e sempre più selettive norme di condotta – concretamente verificabili periodicamente – che guidino i professionisti, sotto pena di sanzioni per l’inosservanza, in un nuovo contesto globalizzato. Fare, inoltre, della deontologia professionale e della formazione continua non solo un momento collettivo con riferimento ai vari ordini di appartenenza, ma un momento di crescita, di valutazione e di distinzione.
La quinta. Costruire percorsi, anche di formazione post universitaria, che, sfruttando i vantaggi competitivi dell’Italia, riescano ad attrarre degli operatori professionali dall’estero non solo per farli rimanere nel nostro Paese e contribuire alla crescita dello stesso, ma anche affinché esportino quel know-how imparato in Italia all’interno dei Paesi di origine. Obiettivo degli interventi del legislatore nazionale ed europeo, dunque, deve essere quello di cambiare prospettiva ed attribuire un più corretto significato al termine «concorrenza».
Lo stesso concetto, infatti, andrebbe declinato nella sua più giusta forma di «competitività» da intendersi con un’accezione di positiva intraprendenza e non come oggi viene percepito il termine «concorrenza», spesso intuitivamente legato anche all’aggettivo «sleale». Competitività non equivale ad una mera riduzione dei costi professionali con l’obiettivo di redistribuire quote di mercato attualmente appartenenti ad altri, ma è un selettivo accrescimento professionale ed il raggiungimento ad alto profilo culturale tra antagonisti, anche in ambito europeo. Solo in questa situazione di agonismo professionale e di selezione meritocratica sin dalla formazione, i giovani professionisti di oggi, i quali a breve si affacceranno su un mercato globale, saranno messi in grado di svilupparele proprie competenze specifiche e quindi di metterle in evidenza, nel rapporto con operatori giuridici stranieri così da evidenziare quelle doti, quelle qualità e quelle attitudini culturali, anche tipicamente italiane, potenzialmente attrattive per il mercato globale delle regole.
In questo contesto i giuristi, soprattutto di formazione italiana, potranno essere ricercati per le loro peculiarità. Dopo tutto non bisogna dimenticare che per secoli la lex mercatoria di derivazione dal diritto romano è stato l’unico vero diritto globale.   

Tags: Settembre 2013

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