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tempi lunghi, enorme arretrato, pregiudizi per l’economia e per la credibilità del paese

Anche gli studi legali compiono gli anni, tra breve il mio celebrerà il 45esimo compleanno. Un bel traguardo e complessivamente un buon bilancio, per me e per i 26 tra colleghi, praticanti ed esecutivo che vi lavorano a Roma; mentre la filiale di Milano va per i 15 anni, con mia figlia Enrica al timone e 10 tra colleghi e collaboratori. Ogni compleanno impone un momento di riflessione, si tirano le fila del dove e del come stiamo andando. Affiorano i ricordi del percorso compiuto, nella specie fortunato, ancorché svolto su un terreno, quello giudiziario, divenuto sempre più «pesante», difficile e pieno di interrogativi. Le esperienze, le emozioni, ciò che abbiamo imparato e continuiamo ad imparare quotidianamente, costituiscono il nostro Dna, la nostra storia che è fatta di nomi, di persone, di giudici, colleghi e clienti che ci hanno lasciato parte della loro saggezza ed hanno contribuito a dare buone risposte giudiziarie in vicende che fanno parte della storia giudiziaria del Paese.
Per fare degli esempi senza parlare dei casi dei quali ci stiamo occupando, o ci siamo occupati nell’ultimo lustro, e nel rispetto quindi dell’abituale riservatezza, ricordo il concordato preventivo di Acqua Marcia prima facie, parlo degli anni 1991-1992, del concordato preventivo della Federconsorzi, il più grande crac italiano prima della Parmalat; delle battaglie legali per la revoca della dichiarazione di fallimento dell’Efim; di alcune privatizzazioni di società dell’Iri; della privatizzazione dell’Ente Tabacchi Italiani; della razionalizzazione delle partecipazioni Alitalia ed ancora del contenzioso Trevitex, e potrei continuare.
Pagine significative dello sviluppo economico italiano che, già all’epoca, ponevano l’accento sulle discrasie, ingigantitesi con il passare degli anni, che caratterizzavano il distacco sempre più grave tra la domanda di giustizia e le risposte che questa riusciva a dare, soprattutto nei tempi d’attesa delle decisioni, divenuti sempre più disumani. L’arretrato di 5 milioni di cause civili, e purtroppo le difficoltà crescenti che caratterizzano la gestione dell’ordinario, costituiscono la sintesi realistica di uno dei problemi più gravi del Paese. Il commento di Giovanni Maria Flick sulla «giustizia ritardata che equivale a giustizia negata», esprime tanto amaramente quanto icasticamente questa realtà.
Un baratro separa la capacità di coniugare la domanda giudiziaria con l’offerta di risposte adeguate e tempestive. Il tempo è, nei fatti giudiziari, una variabile indipendente che soffoca beni della vita di primaria necessità e condiziona il benessere e lo sviluppo sociale ed economico del Paese. L’insoddisfazione professionale che deriva da tale realtà impone, specie in occasione di significativi compleanni, una riflessione di taglio pragmatico e positivo sulle possibili soluzioni da individuare e realizzare con urgenza, che il Paese attende per riprendere il cammino dello sviluppo civile. Cicerone vedeva nel processo la risposta necessaria «ne cives ad arma veniant». In realtà i sette-otto anni di durata media dei nostri processi civili mettono davvero a dura prova le migliori virtù civiche ed imprigionano risorse ed interessi economici di grande rilevanza per i creditori e per la credibilità del Paese. Esaminiamo quindi gli ostacoli che hanno determinato e caratterizzano il «gap» di efficienza del nostro sistema Giustizia.
L’utente ha di fronte, in caso di lite giudiziaria, un’unica soluzione, quella assicurata dalla decisione, ovvero dalla sentenza emessa da un Giudice togato. Questo avviene perché in realtà altre soluzioni, allo stato attuale, non sono percorribili. Chi legge questa rubrica sa che numerosi tentativi per creare alternative sono stati fatti, ma i risultati sono scoraggianti. L’area degli arbitrati resta ristretta ad una domanda di giustizia aristocratica e benestante che assorbe una percentuale di contenzioso assolutamente minimale, nemmeno il 2 per cento della domanda giudiziaria, e presenta costi elevati. Anche se, nel caso di arbitrati che riguardano il settore pubblico, i compensi dei Collegi arbitrali, composti da tre arbitri, a prescindere dal valore della questione, non possono, per legge, superare in totale i 100 mila euro lordi. Ma parliamo di «molecole» di scarso effetto deflattivo rispetto alla totalità dei casi che giungono dinanzi ai Tribunali. Quindi il problema di fondo è quello di offrire ai portatori di domande giudiziarie un’alternativa efficace, veloce ed economica, rispetto a quella del Giudice togato.
Il penultimo Governo ha tentato di creare gli strumenti legislativi necessari a stimolare la comprensione e l’impiego di nuove forme di definizione del contenzioso. La mediazione, la conciliazione, l’arbitrato diffuso; strumenti deprocessualizzati capaci di elidere il ricorso al Tribunale attraverso l’intervento di un terzo non necessariamente giurista, ma anche psicologo, o commercialista, in grado di far superare alle parti gli elementi strutturali del dissidio, spesso dovuto a questioni «di principio». In realtà nei giudizi civili si tratta pur sempre di questioni di danaro, che spesso vengono vestite con paludamenti nobili, ma la sostanza resta la stessa, tanto da evocare Oscar Wilde: «Molti, i più, usano dei principi e della morale come si fa con la marmellata: meno se ne ha e più si spalma».
Questa soluzione, però, di affidare a terzi specialisti, imparziali e indipendenti, al di fuori dei Tribunali, la gran parte delle questioni, specialmente quelle prive di particolari contenuti giuridico-tecnici, ma che riguardano beni della vita di tutti i giorni e che costituiscono la stragrande maggioranza del contenzioso, dovrebbe assorbire più dell’80 per cento dell’attuale domanda giudiziaria. Si pensi al contenzioso condominiale, agli infortuni stradali, allo stesso settore giuslavoristico, a molte vicende di natura contrattuale: questo contenzioso potrebbe essere risolto con soluzioni alternative al ricorso al Giudice togato. Ma un tale risultato, per approdare a cifre notevoli, necessita di tempi medio-lunghi. La cultura degli addetti ai lavori, in primis degli avvocati, deve cambiare.
La nuova giustizia ha bisogno di una metabolizzazione non facile né immediata, che deve partire necessariamente dalle Università, le quali devono formare nuove categorie professionali, nuove mentalità e differenti culture atte ad offrire anche nuove occupazioni, rispondendo a domande di lavoro più moderne e più qualificate rispetto alla realtà dei «call center». Quindi mediatori, conciliatori, arbitri intesi come garanti di soluzioni giudiziarie eque, a basso costo e a largo raggio di impiego, senza appesantimenti burocratici né processuali. In fondo si tratta di un modello usato in tutti i Paesi industrializzati: le «alternative dispute solutions» assorbono il 95 per cento delle liti negli Stati Uniti d’America. Mentre, invece per noi ancora oggi il percorso obbligato, è quello del Giudice ordinario.
Bisogna uscire da questo «imbuto». Il cammino intrapreso dal Legislatore in questa direzione deve essere integrato ed incrementato, e il cittadino deve sapere che questa è la via maestra per ottenere giustizia in tempi più brevi e a costi ridotti. Nell’attesa un ulteriore ostacolo va velocemente rimosso. Si tratta dell’«interesse passivo». Il debitore, colui che sa di avere torto, trova un incentivo a resistere poiché è consapevole che più tardi paga più guadagna dall’impiego del denaro che dovrà al vincitore, a meno che i costi giudiziari, le spese di soccombenza e l’ammontare dei danni «punitivi» che rischia lo dissuadano e lo spingano verso soluzioni transattive.
Orbene la legislazione più recente, i decreti legge che si sono avuti alla fine del 2012 e precisamente il 192/2012, il decreto interministeriale 199/2012 e il decreto legge 216/2012 hanno definito il quadro che, in fondo, era stato già introdotto dal decreto legge 231/2002 ovvero: agli interessi legali del 3 per cento all’anno, succedono interessi moratori dovuti automaticamente e per legge (decorsi i primi 30 giorni ovvero quando sono previsti contrattualmente 60 giorni dalla ricezione della fattura), nella misura che oggi si aggira sul 9 per cento all’anno. Se questo risultato verrà coniugato con un’adeguata liquidazione, da parte del Giudice, delle spese di soccombenza, avremmo un effetto deflattivo sulle nuove cause in quanto gli operatori economici e tutte le parti in lite, dovrebbero voler accelerare i tempi di definizione del contenzioso.
Questa costituisce, senz’altro, una buona soluzione ed è quella più accreditata e collaudata a livello internazionale e dovrebbe fornire risultati apprezzabili in tempi brevi; invece, la prima, come abbiamo visto, è a medio-lungo termine, basta pensare ai tempi lunghi che caratterizzano l’emanazione dei necessari decreti attuativi, il che è avvenuto anche per l’introduzione nel nostro sistema della legge istitutiva della Conciliazione, Mediazione e Arbitrato.
Si tratta, quindi, di superare nel breve periodo un ulteriore ostacolo: le carenze negli organici giudiziari. Come? Potenziando gli uffici giudiziari dei Tribunali più oberati con l’aiuto dei Giudici e del personale ausiliario in forza presso Tribunali «minori» naturalmente senza bandire concorsi la cui conclusione sarebbe pluriennale. Dal punto di vista strutturale, gran parte è stato fatto con il riordino delle sedi dei Tribunali e spero che il disegno faticosamente tracciato diventi finalmente realtà. Ma anche il ministro, la professoressa Paola Severino, che molto si è battuta per l’eliminazione dei piccoli Tribunali, ha dovuto constatare che l’iter parlamentare della riforma e dei decreti d’attuazione, anche in questo caso, non è né breve, né agevole.
Allora, in una prospettiva virtuosa quanto innovativa, va introdotta una possibilità di carattere immediato, che potrebbe essere affidata ai Capi degli Uffici giudiziari, in particolare ai presidenti delle Corti d’Appello. Ovvero, molti Giudici, che sono titolari in quei Tribunali che non presentano un volume di affari tale da giustificarne l’assegnazione piena ed unica, potrebbero essere «co assegnati» come Giudici anche presso altri Tribunali, in modo da poter aumentare quegli organici, laddove ve ne sia più bisogno. È un’idea questa del presidente della Corte d’Appello di Torino che ha senz’altro un fascino sia perché è a costo zero, sia perché fonda su un migliore uso delle qualità e delle professionalità già esistenti.
Infatti oggi è amaro trovarsi di fronte ai cartelli, affissi sulle porte dei Giudici, in cui si legge che gli avvocati vengono ricevuti un solo giorno alla settimana e in orari estremamente ridotti. L’accesso alla giustizia rappresenta un bene cardine per qualsiasi democrazia che deve essere salvaguardato nel modo migliore attraverso il servizio che il magistrato rende, con piena consapevolezza del suo valore sociale. Inoltre il 10 per cento dei Giudici che ancora oggi sono destinati ad incarichi extragiudiziari va recuperato, la tempestiva risposta di giustizia va accelerata e ha bisogno di tutte le forze disponibili. Quale ulteriore strumento deflattivo è stato introdotto per le nuove cause,  come abbiamo visto per il filtro in Cassazione, un ulteriore filtro in Corte d’Appello che finisce per affidare a una valutazione non particolarmente approfondita la sorte di diritti che spesso per il cittadino rappresentano beni della vita di primaria importanza.
Quindi, va bene sfoltire, ma non introducendo forme di Giustizia sommaria e diseguale. A questo punto, se oggi non possiamo più permetterci l’attuale sistema di garanzie, sarebbe preferibile rinunciare al grado di Appello, in quanto la Costituzione non prevede i 3 gradi di giudizio. Il Giudice togato finora ha dato una risposta, se vogliamo lenta e fuori dal tempo, ma sempre di qualità e di grande profondità. La bontà dei risultati della nostra giurisprudenza ci viene riconosciuta da tutti.
Sacrificare questa bontà per ottenere un tipo di risposte che non soddisfino automaticamente né significativamente il problema dell’arretrato e del carico di lavoro delle Corti d’Appello, che oggi per molti osservatori rappresentano il vero «imbuto» giudiziario, costituisce un prezzo che per il sistema processuale giudiziario italiano potrebbe non essere bilanciato dai risultati profondamente deflattivi che si vogliono ottenere. In questo quadro di rimedi emerge un’ulteriore area giudiziaria da presidiare a costo zero. Se, infatti, ai tempi lunghi del giudizio si sommano le ulteriori lungaggini relative alla fase di esecuzione delle sentenze di condanna, si inspessisce quella sensazione di inaffidabilità, se non di delusione sociale, che attualmente connota i rapporti tra giustizia e cittadino.

CONTINUA NEL PROSSIMO ARTICOLO (GIUGNO 2013)

Tags: Maggio 2013 Lucio Ghia avvocatura

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