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Abuso di dipendenza economica del professionista: proposta di legge del CUP Campania

di MAURIZIO DE TILLA presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

Gli ordini professionali sono stati di fatto schiacciati dalla tumultuosa crescita degli iscritti, più che raddoppiati nell’ultimo ventennio. Questo abnorme fenomeno ha evidenziato il blocco del mercato del lavoro dipendente e il conseguente rifugio di centinaia di migliaia di giovani negli albi professionali. L’incremento incontrollato dell’offerta di prestazioni professionali non ha incontrato un corrispondente aumento nella domanda: è evidente che, in conformità ai basilari principi di economia, ciò ha determinato un abbattimento del prezzo della prestazione. Per prezzo si intende il costo che l’utilizzatore è disposto a pagare e non il valore della prestazione.
Oggi, quindi, per i più è divenuta una chimera l’applicazione delle tariffe professionali nella determinazione del compenso del professionista; chi chiede la prestazione professionale può scegliere in un ambito molto vasto e probabilmente finirà per preferire il professionista che offre il prezzo più basso anche a scapito della qualità del servizio. Questi professionisti rappresentano la frontiera più avanzata della precarietà nel mondo del lavoro per la carenza assoluta di tutela; inoltre lavorano mediamente 10 ore al giorno, correndo rischi elevati per possibili sanzioni civili e penali, come i commercialisti per le attività di sindaco e i medici per le attività connesse all’emergenza, e non hanno sistemi stabili di protezione in caso di mancata produzione del reddito, ad esempio la Cassa integrazione guadagni.
I giovani professionisti sono di fatto rappresentanti di un «sapere precario». In questo contesto la crisi economica sta abbattendo i redditi reali e nominali dei liberi professionisti in maniera incisiva. Non si tratta  solo di una battuta d'arresto, ma di un’inversione della tendenza di crescita demografica e reddituale degli iscritti agli Albi negli ultimi vent'anni. Più colpiti sono i giovani, il Sud rispetto al Nord, le donne rispetto agli uomini. Avvocati, commercialisti, ingegneri e architetti risentono di più della crisi.  È da rilevare, poi, che proprio i professionisti hanno salutato con favore l’introduzione dell’equo compenso al praticante; in tal senso il decreto «Liberalizzazioni», con la prevista eliminazione dell’indennizzo, va ulteriormente a sfavore dei giovani professionisti.
La stragrande maggioranza dei professionisti non riesce a raggiungere un reddito decoroso, che ripaghi almeno dello sforzo effettuato negli studi e nel superamento dell’esame di abilitazione. Nel Centro-Sud Italia il reddito medio dei professionisti si aggira intorno ai 25-30 mila euro prima delle imposte; ciò significa che la maggioranza dei professionisti giovani o di sesso femminile ha un reddito ben al di sotto di tale forbice. Secondo il primo Rapporto sulle Casse di previdenza private, infatti, i redditi dei professionisti, in termini sia nominali che reali, mostrano un andamento molto più contenuto sia nella fase espansiva che in quella recessiva, durante gli anni 2005-2010. Contrariamente al settore industriale, però, continuano a decrescere anche nell’anno 2010. L’aumento dei redditi nominali ha raggiunto il massimo nel 2007, registrando un incremento di circa l’8 per cento rispetto al 2005.
Negli anni successivi si è registrata una graduale diminuzione dei redditi medi a un tasso medio dell’1,5 per cento. La contrazione dei redditi è continuata anche nel 2010, con una diminuzione del 2,9 per cento rispetto al 2009. I redditi reali hanno mostrato un andamento molto simile a quelli nominali. Essi sono risultati in aumento nel 2006 del 4,8 per cento per segnare poi incrementi negativi  a partire dal 2007. Negli anni 2007 e 2008 l’inflazione ha colpito i redditi medi dei professionisti facendo registrare perdite per circa il 5,8 per cento del loro valore reale, di fronte a una diminuzione di solo lo 0,5 per cento dei redditi nominali.
Nel 2010 è continuata la riduzione del reddito medio reale causata da un tasso di inflazione relativamente alto, registrato nel corso dell’anno. In termini reali il reddito medio dei professionisti iscritti alle Casse di previdenza è diminuito del 4,5 per cento tra il 2009 e il 2010. La precarietà è sempre accompagnata dal fenomeno dello sfruttamento del lavoro attraverso l’«abuso di dipendenza economica».  Ora le professioni dicono no a questo abuso proponendo un disegno di legge  che preveda: la nullità dei contratti nei quali il professionista è sfruttato e la conseguente riqualificazione economica da parte dei magistrati; una severa sanzione penale per i soggetti, pubblici e privati, che commettono questo reato. I comportamenti sperequati nei confronti dei lavoratori sono da sempre oggetto di tutela, sia in sede civile che penale, e la recente legislazione ha introdotto nuove fattispecie di reato.
Nel diritto penale italiano vigente si rinviene anche la norma che condanna il comportamento di chi, con violenza o minaccia, costringe uno o più persone a fare o ad omettere qualcosa traendone un ingiusto profitto con altrui danno. La giurisprudenza di legittimità è unanime nel configurare il reato di estorsione anche nel comportamento intimidatorio del datore di lavoro che concorda con i propri dipendenti salari non adeguati alle ore di lavoro prestate. Nel rapporto con i professionisti questo comportamento consiste nell’imposizione, da parte del datore di incarico, della scelta alternativa tra tariffa  o revoca dell’incarico. Va tenuto conto che è ingiusto il profitto non tutelato né direttamente né indirettamente dall'ordinamento giuridico, che nello svolgimento della propria attività il professionista non deve essere svilito o frustrato, che l’ordinamento penale sanziona gravemente chi abusa dei lavoratori, che pertanto la norma proposta deve inquadrarsi nel titolo XII libro II nel Codice penale, tra i delitti contro la persona, e non può non tener conto delle pene e delle fattispecie già previste dall’ordinamento vigente.
L'articolo 12 del decreto legislativo  numero 138 del 13 agosto 2011, in vigore dallo stesso giorno e convertito con modificazioni nella legge numero 148 del 14 settembre 2011,  la cosiddetta manovra bis, ha introdotto nel Codice penale il nuovo articolo 603-bis contenente il nuovo reato di «Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro», ed ha evidenziato  gli indici dello sfruttamento delle prestazioni di lavoro. Nei rapporti con i professionisti, i quali nella maggior parte dei casi non sono soggetti ai contratti collettivi nazionali di lavoro ma svolgono liberamente la loro attività, si dovrà tener conto esclusivamente del primo indice di sfruttamento sancito dalla normativa vigente.
Per il legislatore costituisce indice di sfruttamento la sussistenza di una o più delle seguenti circostanze:  sistematica retribuzione dei lavoratori in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali di lavoro o comunque sproporzionato rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato; sistematica violazione della normativa relativa all'orario di lavoro, al riposo settimanale, all'aspettativa obbligatoria, alle ferie; sussitenza di violazioni della normativa in materia di sicurezza ed igiene nei luoghi di lavoro tale da esporre il lavoratore a pericolo per la salute, la sicurezza o l'incolumità; sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza o situazione alloggiative particolarmente degradanti.
Per quanto riguarda la prima circostanza, il testo della norma riguarda  letteralmente le modalità della retribuzione, ma deve ritenersi riferito principalmente al quantum, prendendo come parametro le retribuzioni previste dalle tariffe anche minime, o comunque il costo effettivo delle attività da svolgere e dei mezzi necessari all’espletamento delle stesse. Quindi la sistematica retribuzione dei professionisti in modo difforme alle tariffe minime, o comunque in violazione dei costi effettivi che il professionista deve sopportare per l’organizzazione e lo svolgimento della sua attività.

Proposta di legge sull’abuso della dipendenza economica dei professionisti redatta dal Cup, Comitato Unitario dei Professionisti della Campania e rilanciata dall’Anai, Associazione degli Avvocati

Articolo 1. Professionista. Si definisce professionista il lavoratore autonomo, persona fisica o giuridica, che esercita una professione intellettuale per la quale la legge prevede la necessaria iscrizione in appositi albi o elenchi, come previsto dall’articolo 2229 e seguenti del Codice civile. Si definisce cliente qualsiasi soggetto, persona fisica, persona giuridica privata, persona giuridica pubblica, che usufruisca della prestazione fornita dal professionista.
Articolo 2. Abuso di dipendenza economica. Nell’esercizio delle professioni intellettuali di cui agli articoli 2229 e seguenti del Codice civile è vietato l'abuso, da parte del soggetto cliente, dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi riguardi, il professionista. Si considera dipendenza economica la situazione in cui il cliente sia in grado di determinare, nei rapporti con il professionista, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, ovvero una rilevante sproporzione tra prestazione fornita dal professionista e controprestazione anche economica del cliente. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità, per la parte che abbia subito l'abuso, di reperire sul mercato alternative soddisfacenti.
L'abuso può anche consistere nell’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, o nell’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto. Il patto, nella parte in cui realizza l'abuso di dipendenza economica, è nullo.
Articolo 3. Legittimazione attiva. Tale nullità può essere fatta valere soltanto nell’interesse del soggetto per cui è posta la norma violata.
Articolo 4.  Regime processuale. Il giudice, anche d'ufficio, dichiara la nullità dell'accordo e, avuto riguardo all'interesse del creditore alla corretta prassi commerciale ed ogni altra circostanza, riconduce ad equità il contenuto dell'accordo medesimo.
Articolo 5. Sanzioni penali. Chiunque nell’esercizio della funzione pubblica o privata, usufruisca delle professionalità di cui agli articoli 2229 e seguenti  del Codice civile abusando della dipendenza economica nei termini e nei modi di cui all’articolo 2 comma 2, determini un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, ovvero una rilevante sproporzione tra prestazione fornita dal professionista e controprestazione anche economica del cliente, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da  50 mila a 200 mila euro.   

Tags: Maggio 2013 professionisti professioni Maurizio de Tilla previdenza

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