TRAPIANTI RECORD E DONAZIONE DI ORGANI ALL’OSPEDALE NIGUARDA
Sono quasi 400 i trapianti d’organo che ogni anno vengono effettuati all’ospedale Niguarda di Milano: in media uno al giorno, festivi compresi. Ogni intervento è speciale, perché un trapianto può partire solo grazie a quel gesto di profonda solidarietà che è la donazione degli organi. Ma tra questi 400 ci sono due interventi ancora più speciali, perché si basano su tecnologie che estendono ulteriormente le possibilità di cura. Uno è il primo trapianto di rene gestito interamente da due robot chirurgici; l’altro è l’impiego di un cuore artificiale che, nel torace di un paziente, gli ha fatto guadagnare tempo prezioso in attesa del vero e proprio trapianto di cuore. I due interventi sono stati raccontati durante il NiguarDAY, una giornata di spettacoli e concerti gratuiti voluta dall’ospedale per sensibilizzare sull’importanza della donazione organi. Testimonial dell’evento Reginald e Maggie Green, genitori di Nicholas Green: esattamente 30 anni fa un proiettile uccise il bimbo, di soli 7 anni, durante una vacanza in Italia; donarono i suoi organi contribuendo grandemente a innescare la cultura della donazione nel nostro Paese.
“Dietro ogni singolo trapianto - sottolinea Alberto Zoli, direttore generale del Niguarda - ruotano ogni giorno centinaia di vite: quelle delle famiglie del donatore e del ricevente, ma anche quelle delle decine di professionisti che si prendono cura del paziente e che rendono materialmente possibile l’intervento. È uno sforzo logistico, organizzativo, chirurgico e clinico senza pari: ospedaliero, regionale e nazionale”. È però “necessario sensibilizzare costantemente la popolazione sull’importanza della donazione degli organi: perché ogni dono è una speranza di vita per i nostri pazienti e un passo in avanti per trattare le tante patologie che oggi vedono nel trapianto l’unica possibilità di cura”.
Il trapianto di rene con due robot chirurgici
Trapiantare un rene da donatore vivente è ormai una realtà concreta, e vede Niguarda tra i primi centri d’Italia sia per la qualità degli interventi sia per la casistica. Quello che è stato fatto ora è un avanzamento ulteriore: sono state infatti organizzate due sale operatorie adiacenti, ciascuna con un robot chirurgico, ed è stato ‘orchestrato’ contemporaneamente sia il prelievo dell’organo dal donatore vivente, sia il trapianto nel paziente ricevente. Rispetto al percorso tradizionale, poter contare sui due robot e sulla grande sinergia tra le squadre di specialisti ha permesso di abbattere i tempi dell’intervento, di ridurre al minimo l’invasività, di migliorare il recupero post-operatorio e di ottimizzare al massimo le condizioni dell’organo da trapiantare. Tutti fattori che hanno permesso di incrementare ancora di più la qualità di vita del paziente.
“La chirurgia robotica - commenta Luciano De Carlis, direttore Chirurgia Generale e dei Trapianti e professore ordinario di Chirurgia Generale dell’Università di Milano Bicocca - fa parte ormai del presente e del futuro dell’attività trapiantologica, soprattutto per il rene. Abbiamo iniziato a fare prelievi di rene robotici nel 2008, tra i primi in Italia, e ad oggi ne abbiamo già fatti oltre 200. Ora abbiamo un vero e proprio programma dedicato anche al trapianto: ne abbiamo già eseguiti 4 ed è un’attività che porterà grandi risultati perché la mininvasività, e soprattutto la rapidità di intervento, ci consentono di aumentare ulteriormente l’efficacia, a tutto vantaggio della persona trapiantata”.
Il Niguarda è uno dei pochi centri in Lombardia e in Italia ad effettuare trapianti per quasi tutti gli organi: cuore, polmone, pancreas, rene, fegato, senza dimenticare i trapianti di tessuti e cellule (come cornee, pelle, cartilagine e midollo osseo). Dal 1972 ad oggi sono stati effettuati oltre 3.000 trapianti di rene, 140 di pancreas e 2.600 trapianti di fegato di cui 125 da donatore vivente, rendendo Niguarda un centro di riferimento assoluto per l’attività trapiantologica nazionale. Significativi record sono stati raggiunti: nel 2001 il primo trapianto di fegato da donatore vivente in Italia così come il primo trapianto combinato fegato-pancreas pochi anni dopo. Inoltre ha acquisito una posizione di rilievo a livello internazionale nell’utilizzo e nella sperimentazione delle macchine da perfusione nel trapianto degli organi, cosa che ha consentito nel 2015 di eseguire, primi al mondo, un trapianto di fegato da donatore a cuore fermo (DCD). Un fattore che ha aperto la strada ad una nuova fonte di organi, e che ha consentito di incrementare le donazioni di fegato del 25%. L’ospedale è dotato inoltre di una Banca della Pelle, laboratorio specializzato nell’ingegnerizzazione di cute e cartilagine per interventi ricostruttivi. Una vera e propria “banca” dei tessuti in grado di sostenere il fabbisogno interno e rifornire altre strutture nazionali ed internazionali.
Il cuore artificiale che diventa vero
La tecnologia è stata determinante anche per un altro paziente di Niguarda con una grave cardiopatia avanzata e un grave scompenso cardiaco. Era in lista per un trapianto di cuore ma le sue condizioni generali si stavano rapidamente deteriorando, rischiando di compromettere anche gli altri organi. I cardiochirurghi hanno impiantato nel petto del paziente un cuore artificiale totale, in attesa di sostituirlo con uno vero. Spiega Claudio Russo, direttore Cardiochirurgia e Trapianto del Cuore: “Questo ci ha permesso di guadagnare tempo prezioso e di arrivare fino all’intervento definitivo, avvenuto circa 9 mesi dopo, in condizioni di compenso di circolo. Si tratta di un cuore meccanico totale, in tutto e per tutto simile ad un cuore nativo. Questo sistema meccanico viene impiantato in pochissimi centri al mondo, dotati delle maggiori esperienze nel trapianto di cuore nell’impianto di cuori artificiali. Rappresenta indubbiamente una risorsa in più per aumentare le possibilità di trapianto per i pazienti in lista d’attesa e, auspicabilmente, in un prossimo futuro di sostituire totalmente il trapianto”.
Il cuore vero per il trapianto è stato infine reso disponibile grazie a un donatore a cuore fermo (DCD). Questa è un’altra particolarità dell’intervento: l’accertamento di morte in caso di DCD, infatti, in Italia prevede 20 minuti di totale assenza di attività cardiaca con elettrocardiogramma piatto prima di poter procedere con il prelievo. Un tempo molto più lungo rispetto a quanto richiesto in altri Paesi, durante il quale tutti gli organi, cuore compreso, soffrono per la mancanza di circolazione sanguigna e ossigenazione. Per questo al termine dei 20 minuti di osservazione è stata immediatamente instaurata una circolazione extracorporea, che ha permesso di ripristinare la funzione cardiaca fino al recupero totale del cuore. Successivamente è stato impiegato anche un sistema di perfusione extracorporea mobile, in grado di mantenere il cuore battente durante il trasporto dell’organo dalla sede di prelievo fino alla sala operatoria di Niguarda. La macchina, grande quanto un piccolo frigorifero, ha permesso infatti all’organo di battere per altre 6 ore e mezza, tempo necessario per essere finalmente trapiantato nel paziente.
DISCORSO DI MAGGIE GREEN
Quando la maestra di Nicholas chiese a tutti i bambini quale lavoro avrebbero voluto fare da grandi, Nicholas rispose “Ogni lavoro del mondo”. Questo rifletteva la sua curiosità. Se pensate a tutte le persone che hanno ricevuto gli organi grazie all’effetto Nicholas, questi devono veramente star facendo ogni tipo di lavoro: autisti di autobus, medici, cuochi, insegnanti, giornalisti, operai e artisti, oltre a lavori che nemmeno esistevano 30 anni fa. Il suo sogno si è avverato: ha aiutato le persone a fare (quasi) ogni lavoro del mondo. Donare gli organi di Nicholas è stata la decisione importante più semplice che Reg ed io abbiamo mai dovuto prendere. L’agonia di quei giorni fu una serie di duri colpi: la prima scioccante scoperta che uno dei proiettili sparati contro di noi lo aveva colpito; lo sgretolarsi delle nostre speranze che potesse trattarsi solo di una escoriazione; la sensazione di totale impotenza mentre attendemmo due giorni terribili per vedere se avrebbe ripreso abbastanza forze da per essere operato, il rendersi conto che qualunque cosa fosse successa, la sua vita era in frantumi; la sensazione di vuoto totale quando ci dissero che era cerebralmente morto. Tutto questo fu il lato difficile. La decisione di donare fu piuttosto ovvia: lui se n’era andato, niente che potessimo fare avrebbe cambiato questo. Ma potevamo fare qualcosa che avrebbe impedito che questo insensato atto di violenza dall’essere una perdita totale. Nicholas aveva perso il suo futuro, ma qualcun altro poteva avere quel futuro grazie a lui – e sapevamo senza alcun dubbio che era quello che avrebbe voluto. E non ce ne siamo mai rammaricati nemmeno per un momento. Quattro brevi mesi dopo, avemmo il nostro primo incontro con i riceventi, tutti pieni di vita. Eppure, quattro mesi prima, cinque di loro erano in punto di morte, e gli altri due stavano diventando ciechi. Per dire solo di una di loro, Maria Pia Pedalà, una diciannovenne siciliana che era in coma terminale per insufficienza epatica il giorno in cui Nicholas morì. Ma invece di morire, si svegliò con un nuovo fegato e si rimise in buona salute, tanto da sposarsi due anni dopo il trapianto con il suo devoto fidanzato, Salvatore, e dopo ulteriori due anni avere un bambino che hanno chiamato Nicholas. Trent’anni dopo, Maria Pia può fare tutto ciò che fa una persona normale della sua età ed il suo Nicholas (che non sarebbe mai nato senza un trapianto) è un sottoufficiale della Marina Militare! Un grazie a tutti voi che rendete possibili delle cose così meravigliose.
ESTRATTO DEL DISCORSO DI REGINALD GREEN
Essendoci così tante persone che hanno lavorato per rendere possibile questo magnifico evento, vorrei chiedervi di perdonarmi se non esprimo i miei ringraziamenti individualmente, e ribadisco solo quanto Maggie ed io siamo grati a tutti coloro che ne sono stati coinvolti e che hanno servito la causa della donazione degli organi con cotanta eccellenza. Quello che stiamo facendo insieme oggi e che faremo nei prossimi giorni raggiungerà milioni di persone.
La campagna che abbiamo portato avanti per trent’anni con l’aiuto di un piccolo gruppo di amici, alcuni dei quali sono qui oggi, ha la più ovvia delle premesse: è molto più probabile che le persone donino gli organi se le loro menti sono preparate a ciò. Ma la morte cerebrale è una morte improvvisa e le famiglie sono totalmente impreparate quando sentono che qualcuno che amano, che era in perfetta salute poche ore prima, è ora morto o in punto di morte --- qualcuno a cui forse avevano detto “non fare tardi a cena” o “guarda sempre da entrambi i lati prima di attraversare la strada”. Le loro menti sono in subbuglio. Quasi tutti provano un senso di colpa per qualcosa che hanno fatto o non fatto. Tutti lottano per venire a patti con una vita che non sarà mai più la stessa. Nel mio caso, mi ricordo che pensai che non avrei più sentito Nicholas dirmi “Buonanotte, papà”. Avere a che fare lì e allora con una decisione su un argomento piuttosto spaventoso a cui avevano a malapena pensato è troppo per molte persone e dicono ‘no,’ rendendosi conto solo più tardi di aver rinunciato a quella che probabilmente è la migliore opportunità che avranno mai per rendere il mondo un posto migliore.
Così, abbiamo provato ad immaginare tutti i possibili modi per metterlo nelle loro menti, molto prima che si verifichi una qualsiasi tragedia. La nostra speranza è che anche nei momenti sconvolgenti in cui arriva la morte, qualche parte del loro cervello gli ricordi quanto fossero commossi quando avevano letto sui giornali o visto una storia in televisione su una famiglia che aveva contribuito a salvare degli sconosciuti dalla devastazione.
Abbiamo parlato con presidenti e primi ministri, cardinali e preti di piccole parrocchie; in prigioni e cattedrali; a bambini di prima elementare che, pur non conoscendo nulla sui trapianti, comprendono chiaramente che chiunque, per quanto piccolo, può aiutare altri che sono in difficoltà e, dall’altra parte, a pazienti anziani che sono entusiasti di sapere che possono ancora fare qualcosa di importante come la donazione degli organi e dei tessuti quando pensavano che le loro vite utili fossero finite.
Il messaggio è lo stesso per tutti: se qualcuno che amate subisce una morte cerebrale, avete la scelta tra il salvare molteplici famiglie da una vita di dolore o, in alternativa, distruggere gli organi che potrebbero salvarle. Mi chiedo spesso come qualcuno possa dubitare di quale sia la cosa giusta da fare. Non dimentichiamoci di quanto sia nuova questa scelta. Anche nella mia esistenza, l’idea che si potessero prelevare le parti del corpo di qualcuno già morto, metterle in persone morenti e ottenere da ciò delle persone sane era considerata fantascienza — e per molti di noi ancora lo è. Eppure, in questo breve lasso di tempo la medicina ha raggiunto questo quasi incredibile sviluppo verso il sogno più antico dell’umanità, ovvero di riportare alla vita dalla morte.
Oggi questa operazione è un evento quotidiano che ha luogo negli ospedali di tutto il mondo e non solo per pochi privilegiati, ma per 150.000 persone ogni anno, basato puramente sul bisogno. È un miracolo medico. E il fatto che avvenga regolarmente lo rende ancora più miracoloso, non meno. La donazione di Nicholas, che è andata a sette persone gravemente malate, ne ha salvate cinque da una morte prematura e ha ridato la vista ad altre due. Nei dieci anni successivi alla morte di Nicholas, i tassi della donazione degli organi in Italia triplicarono. Un aumento gigantesco come questo deve avere molte ragioni accessorie, inclusa l’instancabile dedizione dei professionisti del settore sanitario e un’armata di volontari, come le persone in questa sala. Ma poiché nessun altro Paese è mai andato neppure vicino ad una crescita di questo tipo, è evidente come la storia di Nicholas e la generosa risposta del popolo italiano a essa siano state le cause predominanti. Non credo che qualche altra nazione al mondo avrebbe mostrato la compassione per noi come ha fatto l’Italia.
In Italia ci viene spesso chiesto “Non odiate questo Paese?” La risposta per noi è perfettamente chiara. L’Italia non ha ucciso Nicholas. Due uomini sconsiderati, a cui non importava il danno che potevano causare pur di ottenere quello che volevano, lo hanno fatto. Sarebbe potuto accadere ovunque. Non ci siamo mai pentiti, nemmeno per un momento, della nostra decisione e riesco a ricordare a malapena qualcuna delle centinaia, forse migliaia, di famiglie di donatori che abbiamo incontrato negli ultimi trent’anni che l’abbiano rimpianta. Come noi, le famiglie lo vedono come un modo per recuperare parte di ciò che è stato perso in una vita che è stata appena spezzata.
Nicholas amava l’Italia e per essere un bambino aveva visto molto di essa: era eccitato dai bellissimi laghi e dalle montagne che non sono lontane da qui, dalle strade che si diffondevano da Roma verso i confini del mondo conosciuto, dalla gigantesca scacchiera a Marostica, dalle chiatte che raccoglievano la spazzatura a Venezia (così diverse dai camion che passavano vicino casa nostra). Aveva persino attraversato il Rubicone.
Una storia su di lui che mi piace raccontare riassume tutto ciò. Mentre eravamo in viaggio verso l’Italia in quell’ultima vacanza, facemmo un gioco in cui lui era un soldato dell’antica Roma che tornava a casa dopo molti anni alle frontiere: il Vallo di Adriano, le Alpi, la Normandia da dove Giulio Cesare aveva invaso la Britannia, tutti luoghi dove lo avevamo portato. “Quando arriverai a Roma, le persone scriveranno poemi su di te”, gli dicemmo. “I bambini celebreranno il tuo nome e ti sarà data una medaglia d’oro”. Era solo un gioco. Ma è diventato realtà. Con questa differenza: che come tutti i donatori di organi, Nicholas non ha conquistato con la forza delle armi, ma col potere dell’amore. E questo, ovviamente, è molto più forte. Grazie a tutti.