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BANKITALIA: BILANCIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE

L’indagine sul bilancio delle famiglie italiane, relativo al quadriennio 2016-2020, pubblicata dalla Banca d’Italia, mostra almeno tre aspetti fondamentali: il piccolo miglioramento dei redditi dei ceti più poveri a partire, almeno dal 2019, anno di avvio del reddito di cittadinanza; le difficoltà per oltre la metà delle famiglie di avere un reddito sufficiente per giungere a fine mese e l’aumento delle diseguaglianze.

L’indagine statistica, prodotta con una metodologia diversa, molto più attagliata alla realtà del Paese, rispetto a quelle precedenti, ha affrontato analiticamente le varie tematiche che incidono sulle famiglie italiane ma i temi proposti sembrano quelli che meritano un approfondimento, partendo da una precisazione molto importante.

I dati forniti riguardano il quadriennio 2016/2020 quindi precedente sia la pandemia, il cui esplodere è datato 7 marzo 2020, sia la guerra contro l’Ucraina, sia le varie crisi energetiche e alimentari che la guerra ha alimentato.

Non si può avere certezza dei risultati della prossima indagine, nella speranza di sbagliare, è molto più di una profezia immaginare che i dati saranno peggiori e che a fronte degli interventi pubblici, europei a nazionali, economici e sociali, e delle “trasformazioni” che, particolarmente la pandemia ha prodotto nella vita di ognuno, l’indagine potrebbe avere conclusioni diverse rispetto al quadriennio precedente.

Nel merito si è scritto che sono leggermente migliorati i redditi dei ceti più poveri, grazie al reddito di cittadinanza.

Una valutazione valida ma non certa. Il reddito di cittadinanza ha aiutato i ceti più poveri ma non in maniera completa: poco più della metà ha acquisito il diritto ad ottenerlo e si vista la nascita di un nuovo malaffare legato al percepimento fraudolento del RdC da parte di decine di migliaia di soggetti.

Non può essere poi dimenticato che il reddito di cittadinanza è stato erogato mediamente per meno di 600 euro mensili, ovvero meno dell’indicatore delle povertà assoluta, per non parlare di quello dalla povertà relativa.

Inoltre, i fondi del RdC sono stati utilizzati non solo per aiutare i nuclei familiari, mono o pluri-componenti, ma anche per una malintesa interpretazione delle politiche attive del lavoro: un sostanziale fallimento avendo consentito l’accesso al lavoro per pochi soggetti per periodi abbastanza brevi, lo sfruttamento del lavoro nero e non solo da parte di chi ha sommato i proventi del lavoro nero al sussidio, ma anche di imprenditori che hanno sfruttato quella mano d’opera a “buon mercato” e hanno contemporaneamente evaso il fisco.

Una piccola considerazione finale. Prima del RdC non c’era il vuoto assoluto: era prevista un’altra misura con la stessa funzione, il reddito di inclusione-REI.

Il REI aveva due aspetti positivi e uno negativo che però ha avuto il sopravvento su qualunque positività. Il primo fatto positivo era che si occupava esclusivamente di aiuto contro la povertà e non c’era dispersione di fondi in varie direzioni, il secondo che aveva coinvolto gli enti locali, attraverso i segretariati sociali, le istituzioni che meglio conoscono le reali situazioni delle loro comunità. L’aspetto negativo è stato lo scarso finanziamento della misura che, pur se prevedeva un aumento progressivo, era dotata di pochissimi fondi, motivo unico e incontrovertibile del suo fallimento.

Il secondo elemento riguarda la difficoltà di giungere a fine mese della maggioranza delle famiglie italiane. Un dato, incontrovertibile: è necessario, però, ricordare la crisi economica che dal 2008 ha colpito tutto il mondo e che in Italia è proseguita per molti anni a seguire, anche quando altri Paesi ne stavano uscendo: non è, quindi, ugualmente, un caso se il reddito medio riportato nell’indagine fosse ancora inferiore di oltre otto punti percentuali rispetto al 2006.

A questo si aggiunga che le retribuzioni dei lavoratori italiani sono le uniche diminuite in Europa nell’ultimo trentennio e che gli stessi lavoratori non hanno potuto beneficiare dei proventi derivanti dall’aumento della produttività molto più bassa di quella europea e che solo nel 2020 ha visto un buon recupero.

Una difficoltà reddituale che, analizzando altre statistiche, è confermata dall’aumento medio dell’indebitamento delle famiglie, dalla diminuzione degli acquisti, sia di beni durevoli sia non durevoli.

Il terzo elemento da analizzare è l’aumento delle diseguaglianze.

Le differenze tra le classi sociali povere, medie e alte sono aumentate anche perché sono cambiati i patrimoni. Chi ha potuto investire in maniera “intelligente” ha potuto godere dell’esplosione di alcuni comparti industriali, mentre il ceto medio ha visto depauperato il valore del patrimonio immobiliare per la perdita di valore che il comparto ha subito e almeno in parte ha subito la sospensione del reddito di lavoro dovendosi “accontentare” della NASPI, il ceto più povero, infine, è stato costretto, tra molte difficoltà, come si dice, “a mettere insieme il pranzo con la cena”.

Senza voler minimizzare in alcun modo la portata delle diseguaglianze si deve anche in questo terzo elemento di analisi, quanto meno, indicare la mancata valutazione dell’incidenza del lavoro nero, da alcuni valutata fini al 15/20 percento del PIL nazionale, l’evasione fiscale che ammonta a oltre cento miliardi l’anno e le forti differenziazioni territoriali esistenti, i nove mesi di pandemia e di lockdown che hanno colpito particolarmente i liberi professionisti, molti dei quali sono usciti dal ceto medio per entrare in quello dei working poors.

Un’indagine che rispecchia la realtà del Paese per cui le negatività pesano in maniera evidente sullo stato di salute delle famiglie italiane che, purtroppo non possono vedere in maniera maggiormente positiva il futuro alla luce del perdurare, pur con minore forza, della pandemia, il protrarsi della guerra e la situazione interna in cui, senza entrare su aspetti politici, devono essere rinnovati i contratti di lavoro di svariati milioni di lavoratori.

Una volta si parlava di “stellone italico” che in qualche modo ci avrebbe salvato, questa volta rischia di non essere sufficiente.

Tags: famiglie banca banche Fabio Picciolini disoccupazione lavoratori Banca d'Italia Luglio Agosto 2022

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