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EMERGENZA CARCERI. IL NECESSARIO CONTRIBUTO DEI MAGISTRATI

di COSIMO MARIA FERRI, segretario di Magistratura Indipendente

Non merita un atteggiamento di tipo allarmistico, generato dalla gravità del momento ma destinato poi ad un rapido oblio, il dibattito che si è sviluppato sulla questione della cosiddetta «emergenza carceri», dovuta principalmente al sovraffollamento degli istituti di pena ma anche alla carenza di risorse destinate al miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti e al ripianamento dei larghi vuoti esistenti nell’organico degli uffici di sorveglianza e della Polizia penitenziaria. È necessario, invece, affrontare il problema con pragmatismo, immaginando e quindi proponendo nelle opportune sedi soluzioni praticabili anche nell’attuale congiuntura economica, tempestive e veramente efficaci, avendo ben presente che la situazione è grave e complessa, frutto di numerosi problemi sedimentatisi nel corso degli anni che è irrealistico pensare di risolvere in breve tempo, ma che richiedono in ogni caso un adeguato e immediato intervento da parte delle istituzioni.
In questa prospettiva la magistratura associata, pur nella diversa sensibilità delle sue articolazioni associative, sta dando e deve ancora offrire il proprio importante contributo sul piano delle idee e delle azioni positive. L’attuale sistema penitenziario non garantisce, purtroppo, condizioni di vita in linea con i principi di umanità e dignità della persona, e mancano le risorse economiche, strutturali e umane per rendere il sistema carcerario adeguato e finalizzato all’attuazione del processo rieducativo del condannato e al suo graduale reinserimento nella società, come esige una concezione moderna della pena e come stabilito dalla Carta Costituzionale.
Il primo e preliminare intervento deve riguardare le strutture e il personale, attraverso un incremento del personale giudiziario e amministrativo dei Tribunali e degli Uffici di sorveglianza; delle risorse umane assegnate agli Uffici dell’esecuzione penale esterna e alle aree trattamentali delle Case di reclusione e delle Case circondariali (educatori e psicologi), così da metterle in grado di far fronte in tempi ragionevoli alla massa di procedimenti relativi alle misure alternative alla detenzione la quale al momento mette il sistema in affanno per il numero esorbitante delle istanze rispetto alle risorse umane disponibili.
Deve essere, inoltre, completato il ripianamento dei vuoti nell’organico della Polizia penitenziaria e vanno messi in opera tutti gli interventi necessari ad assicurare, alle strutture penitenziarie già esistenti, condizioni strutturali e di funzionamento tali da evitare la perdurante violazione delle condizioni di umanità e dignità nella detenzione. Sul piano dei numeri della popolazione detenuta, occorre agire in tempi rapidi sul fronte della massiccia depenalizzazione, valorizzando il sistema delle sanzioni di tipo alternativo alla pena detentiva.
Dal momento che non può essere in alcun modo ulteriormente minato il principio della certezza dell’esecuzione della pena e non possono essere erose le garanzie per la sicurezza dei cittadini, appare necessario, inoltre, arrivare a un significativo ridimensionamento della popolazione carceraria attraverso strumenti di natura ordinaria e non indulgenziale. A tale risultato si può giungere attraverso il progressivo aumento del numero di condannati in grado di accedere a misure alternative alla detenzione.
In questa direzione sembra necessario procedere all’eliminazione per via legislativa dei rigidi automatismi che precludono a talune categorie di condannati l’accesso ai benefici penitenziari a prescindere da un’adeguata valutazione di merito effettuata dal giudice sull’eventuale percorso di rieducazione già in atto, soprattutto per quanto riguarda i «blocchi» normativi all’accesso alle forme di detenzione domiciliare: ad esempio il divieto di accesso alla detenzione domiciliare di cui all’articolo 47 ter comma 1 bis dell’Ordinamento penitenziario ai cosiddetti «recidivi reiterati».
Al fine di rendere più rapida la procedura dovrebbe essere ampliata la competenza monocratica del giudice di sorveglianza, superando la diffidenza, più volte ingiustificatamente manifestata nei confronti della discrezionalità di tale magistratura, assegnando al giudice monocratico la competenza diretta ai fini della concessione di tutte le misure alternative, con la possibilità di ricorso per Cassazione ex art. 111 della Costituzione avverso le dette decisioni, eliminando un grado di giudizio con un consistente risparmio di energie processuali e abbattendo drasticamente i tempi di decisione.
Occorre liberare la magistratura di sorveglianza da una serie di incombenze meramente amministrative quali le autorizzazioni alle visite, al ricovero ospedaliero dei detenuti (articolo 11 O.P.), alle telefonate all’esterno del carcere ecc. È possibile pensare di assegnare la competenza alla concessione della periodica liberazione anticipata per buona condotta (articolo 54 O.P.) alle direzioni degli istituti di pena, trattandosi di decisioni seriali e legate all’esame della condotta intramuraria del soggetto, salva la possibilità di reclamo all’autorità giudiziaria.
È necessario, nel contempo, rafforzare il ruolo della magistratura di sorveglianza quale organo di controllo della legalità all’interno delle carceri, riconoscendo l’efficacia vincolante, nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, delle decisioni assunte dal giudice di sorveglianza in materia di violazione dei diritti dei detenuti (articoli 35, 69 O.P.). Una seria riflessione sul sovraffollamento, inoltre, non può prescindere dal considerare che circa il 40 per cento dei detenuti presenti nelle nostre strutture carcerarie è rappresentato da cittadini stranieri, per i quali l’accesso alle misure esterne al carcere è di fatto precluso o perché si tratta di clandestini (con conseguente elevato pericolo di fuga) o per ragioni legate all’assenza di risorse esterne sul territorio, quali il lavoro, la famiglia o il domicilio; potrebbe essere potenziato lo strumento dell’espulsione quale sanzione alternativa applicabile da parte del magistrato di sorveglianza ai sensi dell’art. 16 comma 5 del decreto legislativo 286/98.
In ogni caso, la soluzione al problema del degrado delle condizioni di vita negli Istituti penitenziari non può che passare attraverso un deciso impegno dell’Italia verso accordi internazionali con i Paesi europei e del bacino mediterraneo che consentano agli stranieri condannati di scontare la pena nel Paese di origine; l’attuale scenario, in rapida evoluzione in seguito all’ondata di democratizzazione che sta attraversando il Maghreb, sembra favorevole al rilancio di tali accordi, che potrebbero essere inclusi in più ampie intese di cooperazione bilaterale o multilaterale, anche di natura economica.
La ricerca di tempestive ed efficaci soluzioni per questo delicato tema non può comunque prescindere dalla ripresa del dialogo con gli operatori chiamati ad applicare concretamente le norme, in un clima di costruttiva collaborazione che potrebbe essere favorita, credo, dall’istituzione di forme permanenti di consultazione, per consentire l’indispensabile apporto tecnico alla politica cui è demandata la responsabilità della sintesi legislativa.

Tags: Cosimo Maria Ferri giustizia magistratura Novembre 2011 carceri

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