CORTE EUROPEA: LA NOZIONE DI VITTIMA NON INCLUDE LE PERSONE GIURIDICHE
La Corte di giustizia delle Comunità europee, nella sentenza del 28 giugno 2007, ha stabilito che la nozione di vittima nel processo penale, alla luce delle disposizioni contenute nella decisione quadro n. 220 del 2001 del Consiglio d’Europa, è limitata alle persone fisiche e non può essere estesa alle persone giuridiche. Alla Corte europea si erano rivolto il tribunale di Milano sulla scia della sentenza «Pupino» del 16 giugno 2005, con la quale la stessa Corte aveva stabilito che i tribunali nazionali devono interpretare il diritto interno in modo conforme, alla luce della lettera e dello scopo delle decisioni quadro del Consiglio d’Europa.
Questa decisione era scaturita dopo che l’insorgenza di contrasti interpretativi sulle norme interne in merito alla restituzione, ad alcune società appartenenti al gruppo Eni tra cui la Saipem costituitasi parte civile, di ingenti somme di denaro distratte da alcuni dipendenti mediante il pagamento di consulenze fittizie a società offshore, che erano state sottoposte a sequestro conservativo in seguito all’apertura di un procedimento penale nei loro confronti, sfociato nella condanna divenuta definitiva per i reati di false comunicazioni sociali, di appropriazione indebita aggravata e di illecito finanziamento ai partiti politici.
In seguito a ciò la Saipem aveva ottenuto la restituzione delle somme di denaro sottoposte a sequestro, ma il provvedimento del giudice era stato annullato dalla Cassazione con rinvio ad altro giudice per la decisione sulla restituzione delle anzidette somme di denaro al legittimo proprietario. Sicché il giudice di rinvio aveva chiesto all’alta Corte di giustizia se le disposizioni della decisione quadro n. 200 del 2001 - in base alle quali i beni appartenenti alla vittima e sequestrati nell’ambito di un procedimento penale sono restituiti ad essa senza ritardo -, potessero essere interpretate nel senso della loro applicabilità, oltre che alla persona fisica, anche alla persona giuridica che ha subito un pregiudizio dalla commissione del reato.
Questo anche perché la direttiva comunitaria n. 80 del 2004, riguardante l’indennizzo delle vittime di reato, non fornisce alcuna definizione di vittima, lasciando quindi aperta la possibilità di applicare le suddette disposizioni anche alle persone giuridiche. A questa domanda la Corte ha risposto con un secco no, affermando che la decisione quadro e la direttiva comunitaria regolano materie diverse.
Invero l’articolo 1 della decisione quadro stabilisce che per vittima del reato deve intendersi «la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti od omissioni che costituiscano una violazione del diritto penale di uno Stato membro». Il testo della norma appare chiaro. In essa si parla, infatti, soltanto di persona fisica e non giuridica, indicando tipologie di danni, quali quelli fisici o mentali, propri delle persone fisiche.
Tali elementi, secondo la Corte, non ammettono alcuna possibilità di estendere in via interpretativa la nozione di vittima, contenuta nella decisione quadro, alle persone giuridiche. Al contrario, diverse disposizioni comunitarie confermano che lo scopo del legislatore europeo è stato quello di prendere in considerazione unicamente le persone fisiche, vittime di un pregiudizio causato da una violazione del diritto penale. Al riguardo basti ricordare la disposizione che impone agli Stati membri di adoperarsi affinché alla vittima del reato sia garantito un trattamento debitamente rispettoso della sua dignità personale, attraverso un livello adeguato di protezione dei familiari o delle persone ad essi assimilabili.
Quanto alla direttiva sull’indennizzo alle vittime del reato - per la quale l’Italia ha in corso una procedura d’infrazione per non averla ancora recepita nel proprio ordinamento - essa non vale ad estendere in via interpretativa la nozione di vittima alle persone giuridiche. Tale direttiva istituisce, infatti, un sistema di cooperazione volto a facilitare alle vittime di reato l’accesso all’indennizzo soltanto in situazioni transfrontaliere. Essa, cioè, mira ad assicurare che, nel caso in cui il reato sia stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui la vittima risiede abitualmente, quest’ultima sia indennizzata dallo Stato in cui esso è avvenuto.
Per contro, la decisione quadro si propone esclusivamente lo scopo di ravvicinare la legislazione degli Stati membri in virtù della salvaguardia degli interessi della vittima del reato nell’ambito del procedimento penale. Essa è diretta, cioè, a garantire soltanto il risarcimento, da parte dell’autore del reato, del pregiudizio subito dalla vittima. Nella sentenza si precisa, poi, che le disposizioni di una direttiva comunitaria, adottate sul fondamento del Trattato europeo, non possano in alcun modo incidere sull’interpretazione delle disposizioni di una decisione quadro, fondata sul Trattato stesso. Sicché la nozione di vittima ai sensi della direttiva comunitaria non può essere interpretata nel senso che essa riguarda anche le persone giuridiche. In altri termini la decisione quadro e la direttiva comunitaria non si trovano in un rapporto tale da imporre un’interpretazione uniforme della nozione di vittima del reato. Resta, peraltro, ferma l’applicazione dei principi generali e inderogabili, come il divieto di un’interpretazione contra legem che finirebbe per intaccare il principio della certezza del diritto.
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