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LE «BIOBANCHE» DI CELLULE STAMINALI TRA LA DISCIPLINA NAZIONALE E QUELLA EUROPEA

La raccolta e la conservazione delle cellule staminali derivate da cordone ombelicale costituiscono un fenomeno in espansione, sia in Italia che nel resto d’Europa, cui il pubblico guarda con favore in considerazione delle applicazioni terapeutiche attese da tali tipi di cellule. L’istituzione di biobanche di cellule staminali cordonali forma oggetto di numerosi interventi normativi sia sul piano nazionale che comunitario, e ha assunto una pregnante rilevanza biogiuridica. Sul piano nazionale, le misure in materia di cellule staminali cordonali sono dettate dall’ordinanza del ministro della Salute del 4 maggio 2007 (ordinanza Turco), che ribadisce, non senza modifiche di una certa rilevanza, la disciplina introdotta dall’ordinanza del 30 dicembre 2002 (ordinanza Sirchia), più volte reiterata.

Peraltro, la materia ricade nell’ambito di applicazione della direttiva n. 23 del 2004 del Parlamento e del Consiglio europeo sulla «definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani». La materia, quindi, è destinata ad essere interessata dalla normativa di recepimento della direttiva medesima. In questa prospettiva è opportuno fare chiarezza su alcuni aspetti problematici della questione in esame, tenuto conto della mutata sensibilità dell’opinione pubblica sull’argomento e dell’accresciuta consapevolezza delle ricadute, anche economiche, derivanti dall’eventuale apertura di biobanche private, com’è accaduto recentemente in Svizzera e San Marino.

Il primo aspetto problematico, comune a tutte le questioni bioetiche, è quello di natura scientifica. La conservazione del sangue cordonale presenta un’efficacia ancora incerta, essenzialmente in ragione della difficoltà di conservare inalterate nel tempo le potenzialità delle cellule staminali in esso contenute. Eppure la conservazione, in specie per uso autologo e cioè a beneficio della stessa persona da cui le cellule sono prelevate, ha incontrato un diffuso sostegno mediatico, evidentemente perché evoca la possibilità di realizzare interventi terapeutici «sicuri» in quanto fondati sull’uso di materiale biologico personale e, quindi, compatibile.
Altro aspetto problematico è quello semantico. È infatti evidente che il termine «donazione», che tanto favore incontra da parte dei media, è improprio se usato con riferimento alla conservazione autologa: la «donazione» di cellule staminali cordonali potrà avvenire solo nel contesto della conservazione allogenica - quella realizzata a beneficio di persone diverse da quella da cui le cellule sono prelevate -, e a condizione che tale conservazione sia finalizzata a scopi solidaristici.

Un ulteriore profilo problematico è costituito dalla strumentalizzazione politica e normativa degli aspetti scientifici e semantici evidenziati. Pochi commentatori ricordano che l’ordinanza Sirchia consentiva espressamente la conservazione ad uso autologo delle cellule staminali derivate dal sangue cordonale, nonché la conservazione di tali cellule a beneficio di consanguinei affetti da patologie sensibili. L’ordinanza Turco, diversamente, autorizza la conservazione allogenica per fini solidaristici; la conservazione per uso dedicato al neonato o al consanguineo affetto da patologia sensibile; la conservazione per uso dedicato nel caso di famiglie ad alto rischio di trasmissione di malattie geneticamente determinate. Per quanto riguarda la conservazione a scopo autologo, l’ordinanza Turco ri0nvia espressamente a futuri provvedimenti legislativi.

Né l’una né l’altra ordinanza hanno affrontato un aspetto centrale, e cioè quello relativo all’individuazione del soggetto cui ricondurre la disponibilità del sangue cordonale. L’ordinanza Turco in proposito si limita a rinviare all’articolo 3, comma 3, della legge n. 219 del 2005 sulle attività trasfusionali e gli emoderivati, che attribuisce alla donna il ruolo di donatore del sangue cordonale previa espressione del consenso informato e accertamento dell’idoneità fisica. Com’è agevole osservare, l’individuazione del soggetto cui ricondurre la disponibilità del sangue cordonale si rivela determinante sia ai fini della qualificazione autologa o allogenica della conservazione delle cellule staminali cordonali che dell’eventuale attribuzione di oneri economici; sembra pacifico, infatti, che i costi della conservazione dovrebbero gravare solo sul soggetto che chiede per sé la conservazione del sangue cordonale.

Questi aspetti dovranno essere disciplinati con maggiore coerenza sistemica in sede di recepimento della direttiva comunitaria sulle biobanche di cellule umane, che costituirà anche l’occasione per chiarire l’ambito di applicazione della normativa sul sangue e gli emoderivati. Infatti l’ordinanza Turco richiama espressamente la legge n. 219 del 2005, che regola nel proprio ambito anche le cellule staminali cordonali, mentre la direttiva comunitaria esclude dal proprio ambito di applicazione il sangue e i suoi prodotti, ad eccezione delle cellule staminali cordonali.

È poi praticamente inevitabile che il recepimento della direttiva comunitaria incida sulla riserva normativa, introdotta dall’ordinanza Sirchia e confermata dall’ordinanza Turco, in favore delle strutture sanitarie pubbliche, le sole autorizzate alla conservazione di sangue cordonale. È infatti evidente che il monopolio pubblico si rileva incompatibile con le norme comunitarie sulla concorrenza, la libera prestazione dei servizi e il mercato interno. La futura disciplina italiana potrebbe allora orientarsi verso un regime misto, una specie di «intramoenia» della conservazione del sangue cordonale, salvo l’eventuale accreditamento di strutture private assoggettate a un regime di efficace controllo pubblico.

Occorre tuttavia ricordare che la direttiva comunitaria, coerentemente con gli scopi mercantilistici dell’Unione europea, si muove nel senso della creazione di un mercato comune di cellule e tessuti umani. Non stupisce, quindi, che l’atto comunitario preveda la possibilità di accordare «indennità» per la donazione di cellule e tessuti, che si estendano anche agli «inconvenienti» sofferti dai donatori.

Nella prospettiva delle innovazioni conseguenti al recepimento della direttiva comunitaria è quindi necessario fissare almeno i seguenti punti fermi: l’uso delle cellule staminali cordonali può essere esteso a persone diverse da quelle da cui sono prelevate a condizione che esso rispetti il divieto di ricavare profitto dal corpo umano o dalle sue parti; la raccolta e la conservazione delle cellule staminali cordonali, se autorizzate presso strutture private, devono essere sottoposte a un regime di autorizzazioni che consenta l’effettivo esercizio delle forme di controllo pubblico previste dalla direttiva comunitaria; l’indennità eventualmente prevista in favore dei donatori deve essere riferita al rimborso delle spese sostenute per la donazione. Gioverebbe, infine, la predisposizione di idonei strumenti di informazione del pubblico non specialistico in ordine alle realistiche applicazioni terapeutiche, confortate dagli sviluppi delle conoscenze scientifiche, delle cellule staminali derivate da cordone ombelicale, nonché la creazione di effettive possibilità per i cittadini di accedere alle «biobanche» anche mediante la razionale distribuzione nel territorio di tali strutture.

 

di LUCA MARINI, docente di diritto internazionale alla Sapienza di Roma, vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica

Tags: Giugno 2007 staminali

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