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PROPOSTE E LINEE GUIDA SULLA GIUSTIZIA E SULLA FUNZIONE DIFENSIVA

di MAURIZIO DE TILLA presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

L'avvocatura è una componente essenziale della giurisdizione che trova fondamento nel fatto che l’avvocato, con la difesa del cittadino, assume la veste di protagonista nel processo. Se è vero che il processo risulta essere la sede dell’esercizio della funzione giurisdizionale, è innegabile che la rilevanza costituzionale di quest’ultima debba estendersi a tutti i soggetti che ad esso partecipano da protagonisti: giudici ed avvocati. Magistratura e l’avvocatura sono, con pari dignità, le componenti della giurisdizione. La rilevanza della pari dignità assume il significato di un concreto bilanciamento all’interno dell’assetto costituzionale della giurisdizione, che si presenta come garanzia di neutralizzazione di possibili distorsioni e degenerazioni. L’avvocato diventa, quindi, il depositario e l’affidatario della quota di sovranità appartenente alle parti processuali, che non possono restare nella totale disponibilità del giudice.
L’avvocatura assume il ruolo di indispensabile sostegno della correttezza e pienezza del ruolo del giudice per la rappresentazione della situazione giuridica delle parti. Se la presenza dell’avvocato è garanzia di terzietà del processo, l’avvocatura deve concorrere, con propri rappresentanti, all’amministrazione della giustizia nelle diverse articolazioni, con bilanciamento di ruoli e funzioni. La recente riforma dell’ordinamento della professione forense parla, all’articolo 1 numero 2, di specificità della funzione difensiva e di «primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è proposta». Ma la dicitura legislativa non è sufficiente, appare necessaria una riforma costituzionale.
L’avvocatura ha, infatti, proposto di modificare il titolo IV della seconda parte della Costituzione intitolandolo «La Giurisdizione» e articolandolo in tre sezioni: la prima dedicata ai principi fondamentali della funzione giurisdizionale; la seconda ai principi riguardanti la magistratura; la terza ai principi che regolano la difesa e l’avvocatura. Verrebbe così rafforzato il principio costituzionale del diritto di difesa come funzione essenziale in ogni procedimento giudiziario, e costituzionalizzata l’attività dell’avvocato nella sua funzione di rilevanza pubblica.
La riforma forense è un primo passo. Ma non basta. Occorre porre immediato rimedio al sovraffollamento degli albi degli avvocati con regole selettive per l’accesso alla professione. Su questo punto la riforma è completamente carente avendo il Parlamento disatteso alcune indicazioni dell’avvocatura su selezione nell’accesso al tirocinio e all’esame di Stato, limite di età, scadenza del certificato di abilitazione, eliminazione delle iscrizioni di diritto ecc. Sul tema bisogna intervenire con incisività e urgenza stabilendo il numero chiuso per l’iscrizione all’albo e, se con ciò non fosse possibile, il numero programmato all’Università nelle iscrizioni e nel corso del quinquennio di laurea. Non c’è altra soluzione. La presenza record di 240 mila avvocati rende difficile l’esercizio di una qualificata difesa del cittadino. In Francia gli avvocati sono 47 mila e l’Inghilterra ha 10 mila barrister, cioè gli avvocati che esercitano nel processo, ai quali si aggiungono 120 mila solicitors che hanno funzioni anche non forensi e non svolgono, in massima parte, funzioni difensive.
L’ingerenza dello Stato nella formazione dei regolamenti attuativi della riforma forense è eccessiva. Il potere di autonomazione è molto diffuso negli ordinamenti forensi europei, l’autonomia e l’indipendenza delle avvocature europee sono facilitate con la predisposizione di regole da parte delle organizzazioni forensi con il controllo dello Stato. Con la recente riforma forense in Italia è avvenuto il contrario. Quasi tutto il potere regolamentare è attribuito al Ministero della Giustizia con il parere delle Commissioni parlamentari competenti e del Consiglio Nazionale Forense. Anzitutto è da segnalare che le modalità per il riconoscimento del titolo di specialista vengono stabilite dal Ministero e i corsi formativi sono organizzati esclusivamente nelle facoltà di Giurisprudenza, espropriando di ogni potere Ordini e Associazioni.
Ma vi è di più: le Università provvedono a tanto nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. E poiché i fondi mancano, le specializzazioni vanno in malora. Anche in tema di assicurazione per la responsabilità civile e contro gli infortuni vi è l’ingerenza dello Stato laddove si stabilisce che le condizioni essenziali e i massimali minimi delle polizze sono stabiliti e aggiornati ogni 5 anni dal ministro della Giustizia. Che probabilmente non terrà alcun conto dei giovani e della parte debole dell’avvocatura, che versa in grave difficoltà per la grave crisi economica e per le liberalizzazioni selvagge.
Con un regolamento emanato dal ministro della Giustizia, sentiti CNF e le Commissioni parlamentari, sono altresì disciplinati la tenuta e l’aggiornamento dell’albo, degli elenchi e dei registri, le modalità di trasferimento, le cancellazione e le relative impugnazioni di provvedimenti adottati in materia dei Consigli degli Ordini, dei quali si è esclusa qualsiasi autonomia. Compete inoltre al ministro della Giustizia adottare il regolamento che disciplina una serie di attività.
Su pregi e difetti della riforma forense qualcuno si è chiesto se valeva la pena di dare il consenso a un testo che sottopone l’avvocatura a una disciplina imposta dal Ministero della Giustizia e da Commissioni parlamentari, senza alcuna innovativa politica legislativa di selezione nell’accesso al tirocinio e all’esame di Stato. Per qualcun altro qualche risultato positivo c’è: l’eliminazione, se e quando sarà approvato il decreto legislativo del Governo, dei soci di capitale dalle società tra avvocati; il ripristino del procedimento di formazione delle tariffe che impone di sentire il CNF, senza però reintrodurre i minimi di tariffa.
Altro tema, la demolizione di mille uffici giudiziari su mille. Eliminare due terzi delle sedi giudiziarie può significare la soppressione dei diritti dei cittadini nel territorio. Insieme ai sindaci e ai cittadini l’avvocatura ha reagito, Oua, Cnf, Ordini e Associazioni hanno promosso iniziative giudiziarie che hanno già colto nel segno: i Tribunali di Pinerolo, Montepulciano ed Alba hanno rimesso la legge alla Corte costituzionale; i Tar di Basilicata e Lombardia hanno annullato i provvedimenti di soppressione di sezioni distaccate; quelli del Lazio, Emilia Romagna, Puglia, e Sardegna sono in procinto di emettere altri provvedimenti; a Sulmona, Melfi e Rossano sono stati annullati o sospesi gli spostamenti del personale.
L’Anai insiste nel chiedere la sospensione dei decreti legislativi 155 e 156 del 2012 e l’emanazione di uno o più decreti correttivi salvaguardando l’operatività degli uffici giudiziari sedi di Tribunali o di Sezioni distaccate. Invita ad individuare le vere cause delle disfunzioni della giustizia nel ritardo del processo telematico, nelle carenze di personale e di giudici, nello scarso impiego di giudici laici. L’offerta dell’avvocatura riguarda l’elaborazione di un serio piano di smaltimento dell’arretrato, prima condizione per garantire una prospettiva di recupero di efficienza del sistema, con il necessario coinvolgimento della stessa avvocatura in un reclutamento responsabile e selezionato. E ciò insieme a una riforma della magistratura laica che le garantisca l’autonomia e dignità professionale che il suo ruolo ormai insostituibile esige.
Diversamente si corre il pericolo di ripetere l’infausta esperienza della media conciliazione obbligatoria, che la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale. Le questioni di incostituzionalità sollevate dai Tribunali di Pinerolo, Montepulciano e Alba sono fondatissime. Vi si legge, tra l’altro, che la disciplina contenuta nella legge 148 del 2011, volta a riorganizzare la distribuzione degli uffici giudiziari, è stata introdotta per la prima volta nella legge di conversione, senza che il decreto-legge convertito ne facesse cenno, e senza la dichiarazione di straordinaria necessità ed urgenza; e che la norma «intrusa», oltreché eterogenea, non ha direttamente disciplinato la materia, perché la riorganizzazione territoriale degli uffici giudiziari è stata ulteriormente delegata al Governo con violazione degli articoli 70, 72 primo comma e 27 secondo comma della Costituzione.
La procedura delineata da questa, consistente nell’adozione di un decreto legge seguito da legge di conversione, è stata sostituita da una sequenza diversa: decreto legge seguito da legge di conversione, seguita a sua volta da decreto legislativo delegato in una materia del tutto estranea al decreto convertito, ma riferita ad altro e diverso decreto già convertito con altra legge. Di fronte ai provvedimenti giudiziari che accolgono le istanze di avvocatura e sindaci e annullano provvedimenti di soppressione o pongono seri dubbi di incostituzionalità della legge di revisione della geografia giudiziaria, il Ministero della Giustizia continua imperterrito ad attuare una revisione ogni giorno inficiata e che cadrà probabilmente per illegittimità costituzionale.
Il Capo del Dipartimento del Ministero della Giustizia il 28 dicembre 2012 ha trasmesso una nota che fissa consistenze e modalità di piante organiche e di dotazione di uffici senza un’idonea indagine sugli uffici accorpanti e sulla possibile evaporazione dei giudizi pendenti, che rischiano di essere bloccati a tempo indeterminato. Si fa riferimento ad efficienze e produttività che non esistono e che il Ministero farebbe bene ad accertare con sopralluoghi locali, che non sono stati mai fatti. Invece di bloccare gli improvvisati provvedimenti di alcuni presidenti dei Tribunali, che sono stati puntualmente annullati, il Ministero della Giustizia va avanti senza alcuna razionalità, con una cocciutaggine che rischia di fare la fine della mediaconciliazione obbligatoria. Formula percorsi inesistenti, con piantine geografiche e strutture mal individuate, che ricordano la meravigliosa tela di Bruegel «La parabola dei ciechi» che si può vedere nel Museo di Capodimonte di Napoli, nella quale i ciechi in fila, con una mano sulla spalla, si avviano a cadere tutti nel pendio di un sentiero.
La nota ministeriale manca di qualsiasi empirismo e si propone come quegli studi teorici che solitamente leggiamo nei dipartimenti universitari, poi smentiti dalla realtà. Lo stesso Ministero sa che i mali principali sono la forte scopertura di magistrati negli uffici giudiziari pari a 1.273 giudici in 9.605 posti in organico. La palese insufficienza degli organici specie nei Tribunali metropolitani, la pessima utilizzazione dei giudici laici e di pace. Invece di sopprimere mille uffici giudiziari per migliorare la giustizia peggiorando la tutela dei diritti, basta introdurre seriamente e diffusamente il processo telematico, attuando l’informatizzazione della giustizia. Sono necessari ingenti investimenti e cambiamenti di mentalità per ottenere la massima produttività di giudici, dirigenti e personale. È stato giustamente sottolineato che il processo civile telematico può portare a formidabili risparmi di ore di lavoro e ad incrementi di qualità. Va subito accelerata la sua obbligatorietà eliminando l’ibridismo tra fascicolo cartaceo e telematico. Il Tribunale telematico è la più seria proposta presentata dall’avvocatura, che va al più presto esaminata con la collaborazione di Cisia, Ordini e Associazioni di avvocati.
Dove finiscono i fondi dell’Ammi-nistrazione della giustizia ammontanti a più di 7 miliardi di euro l’anno? Quanto si è speso finora per il processo telematico? Sono state usate bene le risorse impiegate? Nella giustizia manca la trasparenza su investimenti, introiti, spese, somme e beni gestiti, risorse impiegate, obiettivi perseguiti e raggiunti. Non si potrebbe affidare a una commissione paritetica, formata da cittadini, avvocati, giudici e personale, il controllo delle ingenti spese?    

Tags: Aprile 2013

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