Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

PROBLEMI DEL GIOCO: LA PRIMA COSA DA FARE È LA LORO CONOSCENZA

di FRANCESCO TOLOTTI, vicepresidente della Fondazione Unigioco

Avendo affrontato per dovere istituzionale - da componente prima e vicepresidente poi della commissione Finanze - le problematiche del gioco lecito, mi sono reso gradualmente conto che si tratta di una realtà importante, complessa e che merita di essere affrontata seriamente, e non soltanto perché il gioco, come dimostrano le indagini condotte da Eurispes, è ormai la terza industria del Paese e smuove rilevanti interessi e risorse economiche. Queste considerazioni, assolutamente vere e condivisibili, non esauriscono quanto si deve dire del gioco: esso esprime un bisogno, una dimensione fondamentale dell’uomo, e ciò vale anche per il gioco d’azzardo, spesso tanto vituperato dal sistema dei media e dall’opinione pubblica per gli innegabili profili di rischio individuale e sociale che lo connotano.
La centralità della dimensione ludica nell’esperienza umana è una verità sottolineata da molteplici studi condotti con metodi diversi e riguarda il gioco non solo nella sua componente infantile, formativa, pedagogica, espressiva, ma anche il gioco d’azzardo che, come sosteneva uno dei più importanti studiosi della materia, il francese Roger Caillois, è l’unica forma di gioco tipicamente e autenticamente umana, perché solo gli uomini sono stati in grado di inventarsi una forma di gioco che non si basasse su un’abilità fisica o su una determinata caratteristica attitudinale, ma dipendesse esclusivamente dal caso.
Io penso che questo sia un approccio importante, che va nel senso di un approfondimento serio, scientificamente fondato, su queste tematiche; mi rifaccio a quanto affermato nel corso di un convegno, promosso a Roma agli inizi dello scorso novembre dalla Fondazione Unigioco, da uno studioso italiano, il professor Roberto Verona, autore di un interessante testo «L’azienda casinò», quando ricordava che in Italia manca una letteratura scientifica sull’argomento e che nel mondo accademico è diffuso, riguardo a questa materia, quell’atteggiamento tra supponenza e distacco, che si ha nei confronti di una materia per la quale si deve ancora decidere se possa essere considerata «sdoganata» o meno.
Il problema è che non si decide a tavolino se sdoganare o meno, come oggetto di interesse scientifico, un’attività che è la terza industria del Paese; piuttosto si può decidere come affrontare una tale realtà. E se ci si mette da questo punto di vista è del tutto evidente che le semplificazioni non funzionano. Non funzionano la semplificazione e il lassismo ad oltranza, per cui c’è qualcuno che pensa, per esempio, che si debba concedere di tutto e di più, che non si debbano mettere regole, e soprattutto crede nelle «magnifiche sorti e progressive» di una domanda di gioco destinata a crescere in maniera irrefrenabile.
A questa illusione un po’ positivistica non è sfuggita neppure la produzione normativa nostra; si pensi alla decisione, rivelatasi non certo felice, di passare dalle due alle tre estrazioni settimanali del lotto, oppure a quando si sono incentivate a dismisura forme di gioco e di lotterie che erano esauste e non stavano più in piedi. Quindi, c’è un problema di serietà dal punto di vista normativo, ma c’è anche un’esigenza culturale di conoscenza scientifica, e sarebbe davvero opportuno che gli operatori del settore più avveduti e più consapevoli investissero in questo senso. Ma c’è bisogno di conoscenza anche sotto altri profili; ritengo sbagliato, ad esempio, rifugiarsi in un atteggiamento che nega che l’esercizio del gioco a livelli di massa sollevi problemi di natura sociale. Questi problemi ci sono e sarebbe irresponsabilmente miope negare i rischi sociali e i fenomeni legati al gioco compulsivo, non controllato, non responsabile.
Sono d’altra parte convinto che non ce la caviamo semplicisticamente con un atteggiamento ottusamente proibizionistico; il proibizionismo in ogni sua forma è stato smentito dalla storia e quindi mi pare che non dovrebbe neppure essere in campo un’ipotesi di questo genere. Ma non ce la caviamo neanche fermandoci alla superficie del problema; le campagne sul gioco sicuro e responsabile condotte dall’AAMS sono giuste, doverose e apprezzabili, ma c’è bisogno di qualche cosa che vada più in profondità. Anche in questo ambito abbiamo bisogno di conoscenza perché, se non conosciamo la realtà, difficilmente potremo prendere dei provvedimenti adeguati a fronteggiarla.
Ciò vale anche per questioni controverse e di difficile accertamento, quali ad esempio l’incidenza sul totale del gioco illegale o clandestino. Persino nel recente dibattito che si è svolto in Senato in seguito all’importante relazione proposta dalla commissione Antimafia si sono fatte affermazioni basate su stime la cui scientificità e plausibilità sono tutte da provare, per esempio affermando in maniera perentoria che in questi anni sono cresciuti il gioco legale e contemporaneamente quello illegale.
Io penso che abbiamo bisogno di ragionare su dati concreti, e che limitarsi a stime o, peggio, affidarsi al repertorio dei luoghi comuni sia estremamente pericoloso, perché ci porta ad avanzare proposte non adeguate a risolvere i problemi. Come ho detto, i problemi ci sono e sono seri ed è bene che non solo la politica e le istituzioni diano risposte efficaci, ma che gli operatori del settore facciano la loro parte. Del resto, proprio perché traggono vantaggi e profitti leciti e significativi da un’attività di questo genere, dovrebbero essere i primi interessati a che questa attività si svolga in condizioni regolate che, oltre ai loro interessi e ai proventi dell’erario, garantiscano in primo luogo il cittadino consumatore.
Su questo punto va avviata una seria riflessione; per questo la Fondazione Unigioco è molto interessata al lavoro svolto nell’università di Salerno da un’equipe condotta dalla professoressa Ornella De Rosa, che tra l’altro partecipa al board della Fondazione; si tratta di un’indagine sui comportamenti a rischio e sulla propensione al gioco dei giocatori in Campania, che fornisce per la prima volta non semplici stime basate su analogie con dati che desumiamo a livello mondiale ed europeo, ma ci permette di discutere su dati scientificamente validati e relativi alla situazione italiana.
Se il modello elaborato darà, come mi auguro, buoni risultati, penso sarà compito e impegno della Fondazione di estenderlo e riproporlo in ambiti diversi e più ampi perché, non mi stanco di ripeterlo, abbiamo bisogno, in primo luogo, di conoscenza.

Tags: dicembre 2011 giochi e scommesse Francesco Tolotti

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa